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L'inchiesta / Giugliano in campania

Il pentito che ha incastrato Michele “'o bumbular”

Ecco perché la collaborazione di Filippo Caracallo è stata fondamentale per le indagini sul clan Mallardo e Michele Olimpio

Aveva percepito che qualcosa non andava. Aveva capito che quell'uomo poteva rappresentare un problema per lui. “Vallo a prendere non farmi tenere un altro pensiero in testa” diceva al figlio a telefono. Non sapeva se aveva deciso di collaborare o era stato ascoltato su un singolo fatto, ma sapeva che sarebbe bastato poco per creargli dei problemi. Soprattutto sapeva che lui sapeva e avrebbe potuto raccontare tutto alle forze dell'ordine. C'è un nome centrale nell'inchiesta contro il clan Mallardo che ha portato all'arresto di 25 persone. Si chiama Filippo Caracallo ed è un collaboratore di giustizia. Uno dei tanti inseriti nelle carte dell'inchiesta ma forse il più importante perché incastra colui che viene ritenuto il reggente del clan parte dell'Alleanza di Secondigliano: Michele Olimpio. Lo chiama Michele “'o bumbular” ed è “grazie” a lui che ha deciso di collaborare. Il suo pentimento avviene per un motivo molto semplice quanto esplicativo della potenza criminale del clan. Teme di essere ucciso per aver intascato i soldi di un'estorsione e non averla data al clan.

Perché Olimpio vuole incontrare Caracallo di persona

Si presenta in caserma ai carabinieri di Giugliano il 6 aprile 2018. Poche ore prima è stata rigettata la richiesta di Olimpio di tornare in città per le cure mediche. Il ras capisce che qualcosa non va e attribuisce a lui il diniego dell'autorità giudiziaria che finora aveva sempre assecondato le sue richieste. Ma come fa Michele Olimpio ad associare i due eventi? I “problemi” con Caracallo per Olimpio risalgono nel tempo e nelle ultime settimane erano diventati ancora più pressanti. Aveva intenzione di parlare personalmente con lui in occasione della sua venuta a Giugliano. Quando però gli viene negato il permesso, Olimpio chiede al figlio Raffaele di portargli Caracallo direttamente a Torino per incontrarlo di persona. In un'intercettazione ambientale del 23 marzo 2018, nel salotto di casa in provincia di Torino, si sente Olimpio che chiede al figlio Raffaele di “trovare Caracallo urgentemente, per una questione urgente”.

Il 27 marzo continua a sollecitare il figlio a portare Caracallo di persona a Torino. Lo esorta a organizzare un viaggio in aereo e di non badare a spese, l'importante è che possa incontrare Caracallo di persona in Piemonte. Richiesta che il figlio riesce a esaudire il giorno dopo organizzando il viaggio per il 6 aprile. Una giornata cruciale per le sorti di Olimpio e del clan. La mattina della partenza, però, Raffaele Olimpio non riesce a trovare Caracallo. Avvisa il padre che gli chiede di cercarlo dappertutto e l'intera rete sul territorio entra in fibrillazione alla sua ricerca. E fa bene. Caracallo non è a casa. Nessuno può “buttarlo giù dal letto” come chiede Olimpio senior.

Il pentimento di Caracallo 

Caracallo di mattina presto si è recato ai carabinieri di Giugliano con un pensiero già ben definito e maturato in quei giorni: vuole collaborare con la giustizia. Lo fa perché teme per la sua vita. In due interrogatori, il 6 e il 9 aprile, Caracallo racconta di far parte del clan dal 1991 e di sapere perché Olimpio voleva incontrarlo. Pochi mesi prima aveva effettuato due estorsioni su due cantieri in città. Presentandosi insieme a un complice come gli “amici di Giugliano”, aveva intascato un totale di cinquemila euro. Di questi, però, mille li aveva tenuti per sé. Questo sarebbe bastato per subire una dura punizione da parte del clan di cui si sarebbe potuto incaricare Olimpio. Una prima “lezione” gli era stata data una settimana dopo quando venne convocato presso una pompa di benzina da alcuni membri del clan e picchiato. Dopo pochi giorni un'altra minaccia gli arrivò presso un bar di corso Campano. Come affiliato del clan Mallardo percepiva uno stipendio ma per diverso tempo non l'aveva ancora ricevuto. Quando gli venne consegnato, 1.500 euro come sempre, gli venne però spiegato che per lui “le cose non si erano messe bene”. È questo il modo in cui capisce che vogliono ucciderlo, o almeno teme per questo. Tanto gli basta perché non si presenti all'appuntamento, spenga il cellulare e corra in caserma.

La notizia del pentimento e le fibrillazioni nel clan

Le ore successive all'inizio della sua collaborazione sono convulse e le voci in città girano e arrivano direttamente all'orecchio di Olimpio che comincia a essere nervoso. L'8 aprile parla con la moglie del fatto che sono stati visti dei carabinieri andare nell'appartamento della convivente di Caracallo per prendere dei suoi indumenti. Questo poteva significare qualcosa di grave. La notizia della sua collaborazione gli arriva dopo poche ore e ne chiede anche conferma al figlio Vincenzo su Facebook. Poi con il figlio Raffaele comincia a fare ipotesi. Si rende conto che in caso anche di una sola deposizione, quello che Caracallo poteva dire agli investigatori potrebbe valergli un'accusa per associazione mafiosa. Si preoccupa meno di un'altra cosa, “il fatto”, qualcosa di cui Caracallo è a conoscenza e su cui è un po' più criptico. Lo spiega meglio alla moglie e non usa mezzi termini. Si tratta di un omicidio, l'assassinio di Mario Di Lorenzo su cui però spiega che agli investigatori servono dei riscontri. Non basterebbero le dichiarazioni di un pentito a incastrarlo.

Le ipotesi sulle accuse di Caracallo 

Il giorno dopo Olimpio continua a confrontarsi con la moglie su cosa Caracallo potesse raccontare agli investigatori. Conferma la circostanza secondo cui il collaboratore era stato picchiato a causa dell'estorsione intascata e che al massimo si sarebbe potuto accusare e accusarlo di quel reato. Lo stesso giorno Olimpio, sempre nel soggiorno di casa sua, spiega ai presenti la sua associazione d'idee. Secondo il suo punto di vista il permesso a scendere a Giugliano gli era stato negato proprio perché Caracallo aveva cominciato a collaborare. Una sensazione sbagliata rispetto a quel provvedimento ma non rispetto al quadro generale di cui si lamentava già a dicembre con la moglie. In un'altra intercettazione si sente dire che secondo lui le cose a Giugliano non vanno per il verso giusto. In particolare le spiega che quando lui scende in città, per i cinque giorni canonici del certificato medico, si comportano tutti “come dei soldati”. Appena va via però torna il caos e questo lo attribuisce alla mancanza di una guida sul territorio. Una guida che lui non potrà più svolgere a partire da quel momento sia perché era stato scoperto il modo con cui riusciva a gestire il clan nonostante i domiciliari sia perché ormai gli investigatori stavano cominciando a incastrare i pezzi del puzzle grazie ai collaboratori di giustizia.

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