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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Covid-19, il prof. Niola: “La pandemia ha sferrato un duro colpo alla società liquida”

“Il processo di globalizzazione subirà un arresto perché con questa emergenza abbiamo capito che i benefit e i malefit del sistema mondo viaggiano alla stessa velocità”. L’intervista all’antropologo napoletano Marino Niola

L’emergenza Coronavirus e la quarantena forzata ci hanno imposto un stop. La società liquida - così come definita da Bauman - ha improvvisamente rallentato il suo corso, veloce e frenetico. Da un giorno all’altro abbiamo cambiato le nostre abitudini quotidiane, ci siamo adeguati a un nuovo modo di lavorare, a un nuovo modo di studiare, abbiamo ridotto i consumi e rinunciato agli incontri fisici. Improvvisamente la nostra percezione dell’altro è cambiata, come è cambiata la nostra percezione del tempo. Un tempo che sembra essersi dilatato, ci sta offrendo la possibilità di riflettere e capire cosa è veramente importante per ognuno di noi. Da società guidata da un individualismo sfrenato, dove nessuno era più compagno di strada ma antagonista dell’altro, ci siamo riscoperti “comunità”, insieme di individui solidali che si fanno forza a vicenda per combattere un nemico invisibile. Pensiamo ai canti sui balconi, alle comunità virtuali nate per offrire un supporto psicologico a chi ne ha più bisogno, alla spesa solidale. Sono tante le iniziative nate da individui che condividono un sentimento unico: la paura del contagio da una parte, e la voglia di sopravvivere dall’altra. Non tutti i mali vengono per nuocere. Se impareremo una lezione da questa pandemia, vorrà dire che il nuovo Coronavirus non ci avrà terrorizzato invano. Abbiamo voluto affrontare il tema con il Prof. Marino Niola, antropologo, giornalista e divulgatore scientifico, nonché docente di Antropologia Culturale e di Antropologia dei Simboli presso l’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa, dove dirige il laboratorio “MedEatResearch” sulla Dieta Mediterranea, che ci ha offerto tanti spunti interessanti su cui riflettere.

- Cosa ha significato per le nostra Società la diffusione del nuovo Coronavirus?

“Ha significato, innanzitutto, un cambio brusco del nostro modo di vivere, delle nostre abitudini quotidiane, lavorative e e domestiche. E’ stato come ricevere uno schiaffo in piena faccia. Improvvisamente ci siamo resi conto di quanto la nostra società sia fragile. Una società così complessa e tecnologicamente avanzata è stata messa fuori combattimento da un virus, un organismo elementare, una delle forme di vita più semplici che esistano”.

- Credevamo di vivere nella società del controllo, non eravamo abituati all’imprevisto. La perdita di certezze ha sgretolato quel senso di “onnipotenza” in cui confidavamo, svelando tutta la nostra fragilità. Questa “condizione” che risvolti avrà sulla comunità?

“Secondo me avrà risvolti positivi. L’irrompere del coronavirus ci ha costretto improvvisamente a velocizzare dei processi, a fare cose che non avremmo mai fatto. Pensiamo alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, allo smart working, all’insegnamento digitale: in pochi giorni siamo stati costretti a fare quello che non avremmo fatto in 10 anni. La società digitale è diventata improvvisamente realtà. E tutti, senza differenze, ci siamo dovuti adeguare. Ma questa emergenza sta anche consentendo a nuovi talenti, nuove competenze, di manifestarsi. Un’emergenza come questa fa anche da mixer, agita la società, scompiglia le posizioni consolidate, consente a chi ha idee e talento di venire fuori”.

- Sembra che la nostra società stia perdendo le caratteristiche della ‘società liquida’ - così come definita da Bauman - per ritrovare un sentimento comune che ci rende tutti legati dalla paura. Il pericolo collettivo ha fatto riemergere il vecchio modello relazionale soppiantando quello basato sull’individualismo e sul soggettivismo. Il coronavirus ci imporrà, secondo lei, una revisione della nostra gerarchia di valori?

“In parte lo sta già facendo. Pensiamo ai primi giorni di quarantena, quando sono cominciati i cori dai balconi, gli scambi solidali. La società è diventata, improvvisamente, meno egoistica, più conviviale, più mutuale, più solidale. Pensiamo anche a quello che sta accadendo sul web: sono nate comunità virtuali dove trovare supporto e conforto, si scambino di consigli via social, impazzano tutorial su come preparare piatti. E’ emerso un sentimento comune, di solidarietà che sin ad ora non si era ancora manifestato. Sicuramente c’è anche un altro aspetto da tener conto: le frontiere. Le frontiere sono state chiuse per necessità, ci siamo dovuti chiudere all’interno dei nostri confini, e questo è un colpo alla società liquida, una società nata come conseguenza della globalizzazione. Il processo di globalizzazione subirà un rallentamento, o un arresto, perché, con questa emergenza, abbiamo capito che i benefit e i malefit del sistema “mondo” viaggiano alla stessa velocità”.

- Il virus globale non rispetta alcuna frontiera, ma rinchiude ciascuno di noi in confini preventivi fatti di distanze fisiche e personali. Come è cambiato il significato di “confine” con questa emergenza?

“Probabilmente questa emergenza rafforzerà i confini. Non so se torneremo agli stati nazionali, ciascuno con un suo confine, ma sicuramente, si starà molto più attenti nello spostarsi da un Paese all’altro. Di sicuro ne risentiranno i viaggi, le compagnie aree, almeno nel breve periodo. Noi eravamo abituati a un turismo no limits, le distanze si erano ridotte. Adesso questa percezione cambierà. Non sarà più così facile spostarsi da una parte all'altra del mondo. I confini saranno maggiormente custoditi: è vero che il virus non ha confini, ma le persone sì, e il virus è trasportato da corpi. Quale è stata la prima cosa che ha fatto Wuhan, la prima città colpita dal Covid-19? Ha imposto il coprifuoco, ha impedito ai corpi di muoversi e di entrare in contatto con gli altri. Tutto questo, sicuramente, influenzerà nei prossimi anni i rapporti tra gli stati, i rapporti personali, e, probabilmente, anche l’economia si adeguerà a questo. Dopo le guerre o le catastrofi naturali come i terremoti, le società rinascono ma più forti. Accadrà questo anche quando supereremo l’emergenza coronavirus, ma sicuramente cambierà anche il concetto di “confine”.

Questa emergenza potrebbe riportarci alla condizione preesistente alla globalizzazione? Potrebbe farci fare un balzo indietro, nel passato?

"Nel passato no, ma sicuramente ci porterà a una mediazione tra questo presente che correva troppo e un passato che, a nostro avviso, era superato. Quando l’emergenza finirà, cercheremo una buona mediazione tra le due cose. Questi stop, questi stenti forzati sono per le persone un’occasione per fare un bilancio, una pausa di riflessione. Tutti in questa quarantena abbiamo cominciato a pensare a cosa è veramente importante per noi. Negli ultimi anni non avevamo più il tempo per pensare, correvamo solamente. Il coronavirus ci ha imposto uno stop. Il tempo si è improvvisamente dilatato offrendoci la possibilità di “riflettere” e di soffermarci su noi stessi”.

In questa condizione di “isolamento”, quale ruolo stanno giocando le nuove tecnologie? Una società abituata alla folla e al contatto fisico può ritrovare nella tecnologia uno strumento utile, capace di colmare il distanziamento sociale?

“Per il momento sì perché è l’unica cosa che abbiamo. Adesso che i nostri corpi non si posso toccare, i nostri occhi non si possono guardare, la tecnologia ci viene in aiuto e diventa una nostra approssimazione, ci consente di non perdere i contatti sociali, di superare il buio comunicativo e affettivo che, altrimenti, ci sarebbe. Menomale che ci sono le tecnologie! La community virtuale non sarà la comunità reale ma, in questo caso è un buon succedaneo".

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