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Il 'Sarrismo' è morto definitivamente venerdì sera al Maradona

Il Napoli ha perso una partita e tre punti, ma il pubblico napoletano si è probabilmente messo definitivamente alle spalle un'utopia, liberandosi finalmente dal fantasma di quella che è stata solamente una candida illusione

"Through the barricades" (attraverso le barricate) cantavano gli Spandau Ballet in uno splendido brano icona degli anni '80. E sono proprio le barricate il mezzo attraverso il quale la Lazio di Sarri è giunta al risultato pieno venerdì sera al Maradona. Il Napoli ha perso una partita, è vero, ma il pubblico napoletano si è probabilmente messo definitivamente alle spalle un'utopia, liberandosi finalmente dal fantasma di quella che è stata solamente una candida illusione. 

Già, perché finalmente dopo 5 anni è calato definitivamente il sipario sulla narrazione del cosiddetto 'Sarrismo'. Che forse non è mai esistito, visto e considerato che l'allenatore toscano non è mai più riuscito a riproporre quella tipologia e filosofia di gioco dopo l'esperienza all'ombra del Vesuvio. Probabilmente quel Napoli aveva una rosa altamente qualitativa e particolarmente adatta a quel 'calcio', una mentalità e dei concetti inculcati ed incanalati bene già nei due anni precedenti da Rafa Benitez, ma aveva bisogno di far crescere nel tempo ed in continuità alcuni calciatori, forti, che erano arrivati da giovani in azzurro, come ad esempio Koulibaly, Ghoulam e Jorginho su tutti. Su questo impianto, poi, Sarri ci ha messo del suo con grande intelligenza, capacità e lavoro sul campo, sublimando al meglio la crescita di quel gruppo e facendo sognare i tifosi con quella squadra. Forse, però, a distanza di anni si può pensare che alla fine sia stato quel Napoli a fare la fortuna di Sarri e non, per forza, viceversa. 

Il 'nuovo' Sarri

35% di possesso palla, lanci lunghi dalla difesa all'attacco, squadra bassa rintanata nella propria metà campo predisposta alle barricate e concentrata solo ed esclusivamente a bloccare le linee di passaggio azzurre. Nessun palleggio, trame di gioco dal sapore 'iberico' o altro, nonostante nei ranghi capitolini ci siano giocatori di livello come Romagnoli, Milinkovic Savic, Vecino, Luis Alberto, Felipe Anderson, Zaccagni, Immobile, Pedro. Un vero e proprio sacrilegio nella narrazione Sarrista che per anni ci è stata propinata dai cantori del tecnico di Figline Valdarno. Eppure, piaccia o meno, è così che la Lazio è riuscita a portare via i tre punti a Fuorigrotta, tanto da essere elogiata nel post partita per praticità, concretezza, cinismo e spirito di sacrificio. 

Sembrano lontanissimi i tempi in cui i portatori sani della filosofia sarrista si esaltavano per aver dominato per 60 minuti complessivi tra andata e ritorno il Real Madrid in Champions League: poco importava se nei 180 minuti complessivi i gol al passivo furono alla fine 6 contro i 2 realizzati, perchè la vittoria in fondo non era poi tutto. Dimenticate, dunque, la retorica della mentalità e dell'identità da mantenere a tutti i costi, delle 11 facce di c.... che dovevano palleggiare in faccia al Manchester City, di palazzi da conquistare attraverso rivoluzioni. Il 'nuovo' Sarri ammirato venerdì sera al Maradona, infatti, sembra quasi aver fatto suo il noto motto di una squadra a lui tanto cara: "Vincere è l'unica cosa che conta".

Viene da chiedersi a questo punto se il Napoli di Sarri, in nome di questa concretezza esibita oggi e senza rincorrere a tutti i costi un'identità ed una mentalità da agitare quasi come un feticcio, non avesse preso gol in ripartenza nel finale da Zaza in quella maledetta sera del 13 febbraio 2016 allo Juventus Stadium di Torino come sarebbe finito quel campionato. E se, in quel maledetto venerdì 1° dicembre 2017, Higuain non avesse segnato nell'allora San Paolo il gol vittoria per la Juve, sempre rigorosamente su una ripartenza, e dato il via alla rimonta bianconera in classifica, come sarebbe finita la stagione, nonostante l'indimenticabile arbitraggio di Orsato nell'ormai celebre Inter-Juventus. A tutti questi interrogativi, però, non ci sarà mai una risposta. 

E allora non resta che goderci questo Napoli, quello di Spalletti, senza continuare a paragonarlo in maniera continua ed ossessiva a quello di Sarri. Questa squadra è sicuramente 'originale', costruita dal suo tecnico prima sulle 'macerie' del post Napoli-Verona e poi con la rivoluzione di questa estate. Il Napoli è il Napoli, sempre e comunque, a prescindere da allenatori, presidenti e calciatori (tranne uno). Non ha bisogno di essere un piccolo Barcellona o di scimmiottare altre squadre. Non ha bisogno di essere altro. È stato il club del più grande calciatore di tutti i tempi e solo questo basta e avanza per restare unico. Napoli è l'unica grande città nel mondo che vanta un'unica squadra di calcio ed un unico popolo. Non ha bisogno di sacrificare la sua unicità per identificarla con qualcos'altro. E questo Spalletti lo ha capito sin dal primo giorno e non ha mai cercato di mettere se stesso davanti alla storia di questo club, ma sta provando, esclusivamente attraverso il lavoro sul campo, a scrivere un pezzo importante di storia del club. Ed è per questo che è lui a meritare, più di altri, di entrarci per davvero nella gloriosa storia azzurra e di farne parte per sempre. 

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