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Danger mouse & Sparklehorse: arriva Dark night of the soul”  

Nell’album collaborazioni con David Lynch, Flaming Lips, Iggy Pop, Julian Casablancas, Suzanne Vega e molti altri

cover-album-dangermousemfLa storia ormai è più che nota. Riassumiamo per chi si fosse distratto: Danger Mouse (produttore e metà dei Gnarls Barkley) e Mark Linkous, meglio conosciuto come Sparklehorse, si riuniscono – e riuniscono una quantità spropositata di artisti – per realizzare quello che da più parti viene preventivamente chiamato "il disco del secolo", un grande album di pop alternativo distorto e psichedelico, a cui le guest star aggiungono tocchi di punk, noise e intellettualismo cinematografico.
L’album contiene 13 tracce per 11 ospiti illustri chiamati a collaborare alla rinnovata unione tra Danger Mouse (Brian Burton, ovvero Mr. Gnarls Barkley) e Sparklehorse (il talentuoso Mark Linkous). Tra questi David Lynch, reclutato da Danger Mouse (estimatore di vecchia data del regista feticcio), i Flaming Lips, Iggy Pop, Julian Casablancas e Suzanne Vega, solo per citarne alcuni.
 
Questa la tracklist del disco: “Revenge” (feat. Mark Linkous & The Flaming Lips), “Just War” (feat. Gruff Rhys), “Jaykub” (feat. Jason Lytle), “Little Girl” (feat. Julian Casablancas), “Angel’s Harp” (feat. Black Francis), “Pain” (feat. Iggy Pop), “Star Eyes” (I Can Catch It) (feat. David Lynch), “Everytime I’m With You” (feat. Jason Lytle), “Insane Lullaby” (feat. James Mercer), “Daddy’s God” (feat. Mark Linkous), “The Man Who Played God” (feat. Suzanne Vega), “Grim Augury” (feat. Vic Chesnutt), “Dark Night Of The Soul” (feat.  David Lynch).
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Il titolo "The Dark Night Of The Soul" (preso da uno scritto di Giovanni della Croce, sacerdote cattolico del sedicesimo secolo) dà un'idea dello svolgimento: le canzoni si snodano attorno a temi come la solitudine, l'amore perduto e sogni inquietanti, e ad accompagnarle c'è la perfetta produzione di Danger Mouse, splendidamente integrata con il sound di Sparklehorse.
Ogni ospite, poi, dà un'impronta personale e riconoscibile ed aggiunge quel tocco in più ad ogni canzone: "Revenge", che apre il disco, ad esempio, potrebbe essere benissimo inserita in una produzione dei Flaming Lips, da quanto è convincente l'interpretazione della band stessa, con Wayne Coyne che canta su un sottofondo di campane e xilofoni. Il Super Furry Animal Gruff Rhys intepreta una delle tracce più pop del disco e la prima ad esserne svelata a suo tempo, una "Just War" che è un inno anti-guerra anche nel sound, arioso, tra chitarre banjo e uno spensierato fischiettìo finale. In "Jaykub" la voce angelica dell'ex Grandaddy Jason Lytle (che ritroveremo più avanti in "Everytime I'm With You") ben si combina con un letto di chitarre country mentre Julian Casablancas degli Strokes dà voce a uno degli episodi migliori, una "Little Girl" che, con le sue linee di chitarra anni '50 e una batteria surf rock, scorre contagiosa e accattivante. Black Francis e Iggy Pop interpretano i pezzi più rock, il primo con una canzone grunge style ("Angel's Harp"), il secondo con una cavalcata punk in puro stile Stooges ("Pain"). E' questo, probabilmente, il punto di forza: Danger Mouse e Linkous sembrano aver cucito addosso i pezzi ai propri interpreti, a seconda dello stile di ognuno, ed il risultato è a dir poco perfetto.
"Stars Eyes (I Can't Catch It)" è la prima delle due canzoni a cui il maestro Lynch presta la voce, un sussurrato lamento amoroso, per il pezzo più atmosferico e trascendente; "Insane Lullaby" è proprio come dice il titolo: una ninna nanna cullante che esce dai canoni, con la voce di James Mercer degli Shins a illuminare il sottofondo di rumori elettronici e violini. Nina Persson si unisce all'unica apparizione canora di Linkous nella semplice ma bellissima “Daddy's Gone”, altro highlight del disco, mentre la seconda vocalist femminile, Suzanne Vega, presta la sua voce sussurrata ma potente a "The Man Who Played God", una efficace ballata stile country.
Gli ultimi due pezzi sono i più intriganti: Vic Chesnutt canta di un rituale pre-banchetto nella sinistra "Grim Augury" e, nella conclusiva title track, Lynch ci pervade di brividi lungo la schienacon un cantato ipnotico sopra un ripetitivo piano jazz anni '20, immergendoci in un'atmosfera visionaria.

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