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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Lettera a Giulia Cecchettin da una studentessa napoletana

Una ragazza che frequenta il Liceo Pansini ha affidato al giornale della scuola il suo pensiero sull'omicidio della giovane in Friuli

L'omicidio di Giulia Cecchettin ha sconvolto l'Italia e ha scatenato manifestazioni e flash mob in tutto il Paese. Da Napoli, arriva una lettera scritta da una giovane studentessa del Liceo Pansini, Francesca Tierno, affidata al giornale della scuola Pausa Caffè. La riportiamo integralmente

Mettere in ordine i pensieri è difficile, è sempre difficile. Adesso però la nostra tristezza ha lasciato spazio alla rabbia, perché non possiamo più sopportarlo. Non possiamo più tollerare la cultura dello stupro e della violenza che vige nella nostra società, non possiamo più tollerare la normalizzazione dei femminicidi. Non è comprensibile che appena si parli di una donna scomparsa, conosciamo già il finale della storia. L’omicidio di Giulia Cecchettin diventerà solo un altro numero da aggiungere a una statistica, ma così non può essere. Una ragazza di 22 anni strappata da sua sorella, da suo padre, dalla sua laurea, dalla sua vita, per colpa di un ex-fidanzato geloso. Filippo Turetta non era un folle, non era un mostro, non era in preda a un raptus. Filippo Turetta ha agito consapevolmente e a sangue freddo. L’omicidio di Giulia Cecchettin era premeditato. Eppure i giornali così non fanno sembrare: era buono, l’amava, sapete che le faceva i biscotti? Conoscete la sua vita, il suo percorso di studi? Nulla ci interessa della vita di un assassino. La deresponsabilizzazione del carnefice, questo è quello che alimenta i femminicidi.

Sin da piccolə, impariamo a proteggerci: inviare la posizione quando si esce, evitare di camminare da solə, non essere provocantə, non rispondere male (“che non sai mai come può reagire!”). No, non può essere così. Non possiamo avere paura di prendere un treno, un bus, di camminare per le nostre città, di frequentare bar, discoteche. Non si può vivere in un mondo in cui noi siamo privatə della nostra libertà perché gli uomini non sanno contenere questi fantomatici “istinti animali”. Ci insegnano a proteggerci dai mostri, ma ad ucciderci sono gli uomini. Ci prendono per pazzə, per esaltatə, quando diamo voce alla nostra rabbia, quando protestiamo, quando ci opponiamo. Dobbiamo stare zittə. Quando diciamo che la cultura dello stupro parte dai piccoli gesti, dalle battute sessiste, dalle molestie, ci dicono che esageriamo, che siamo noiose, che dovremmo riderci su. Come potremmo mai ridere di cose del genere? Come possiamo vivere con la consapevolezza di non essere mai al sicuro? Come possiamo svegliarci ogni giorno e leggere la notizia di unə sorellə uccisə?

No, non può essere questa la nostra esistenza. Non possiamo essere zittitə. Non dobbiamo essere noi a proteggerci, sono gli uomini che devono essere educati al rispetto. E non rispondeteci che “non siete tutti così”. Perché il patriarcato si insinua in ogni singolo individuo, nessuno escluso.

Siamo arrabbiatə, siamo furiosə, per tutte le nostrə sorellə uccisə dallo Stato. Uccisə doppiamente: non solo dai figli sani del patriarcato, ma anche dal disinteresse, dal silenzio, dalla complicità di un sistema malato.

Cara Giulia Cecchettin, per te e per le altre bruceremo tutto. Non sarai solo un numero tra i tanti. Mai.

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