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Trocchianiello, lanzuno e altri indispensabili accessori dei pizzaioli napoletani di un tempo spiegati dal pizzachef Giuseppe Vesi

Oltre 300 anni di storia ma - fortunatamente - la pizza resta un cibo a portata di tutti

Affondano come mani nella farina del tempo i racconti di Giuseppe Vesi, tra i più noti e osannati pizza chef napoletani. Ecco cosa dice della storia della pizza - quella vera - napoletana: 

La storia della pizza narrata da Giuseppe Vesi

La storia della pizza affascina per tanti aspetti - spiega Vesi - innanzitutto perché è nata e continua ad essere un prodotto per il popolo. Non a caso le prime versioni erano vendute ai passanti e il successo nelle vendite era decretato dai venditori ambulanti di cui fino a noi sono arrivati i campionari di “voci” che gridavano per strada.

“‘Na pubbreca, ‘na pubbreca”, ad esempio, indicava il costo della mercanzia: la “pubblica” era infatti la moneta di rame del regno di Napoli emessa a partire dal 1599 e in vigore per tutto il '700, prima del valore di 1 Tornese e poi, dal 1624, 6 Tornesi.

I venditori ambulanti portavano la pizza in giro all’interno di una specie di “stufa”, detta trocchianiello. Sottobraccio l’ambulante portava poi  ‘o lanzuno, un tavolino pieghevole che, alla bisogna, veniva aperto e sul quale venivano appoggiate le stufe. La pizza poteva anche venire venduta a fette.

La madre di tutte le pizze

Il disco di pasta era legato al mare e non a caso una delle più consumate pizze all’epoca era proprio la marinara. Forse la “madre” di tutte le pizze è la mastunicola: una sorta di focaccia condita con olio o strutto, che all’epoca si usava tantissimo, basilico e origano. Qualcuno ne fa addirittura risalire le origini tra il ‘400 e il ‘500. In ogni caso la pizza è popolare e la sua nascita si colloca tra storia e leggenda.

Farina e farine

La farina di grillo la userei per due ragioni: la mia filosofia si basa su evoluzione e ricerca; la preferisco a tanti altri prodotti, come alcune marche di wrustel che se penso a come sono realizzate mi danno i brividi. Se però vogliamo parlare della vera pizza napoletana, quella che rispetta i canoni classici dobbiamo parlare esclusivamente di farina macinata a pietra, quella che oggi uso correntemente nei miei locali, perché la ricetta della tradizione resta quella del ‘700: all'epoca la farina raffinata non esisteva perchè non esistevano i molini a cilindro, ma solo le macine a pietra. Per cui, per riprodurre quei sapori originali bisogna necessariamente utilizzare una farina non raffinata, quella che uso oggi. Questo tipo di farina, la base per ottenere una pizza salutare e gustosa, è un po' più grossolana di quella macinata a cilindri, perché i frammenti sono di dimensioni meno regolari. In generale è più saporita, più nutriente e più digeribile. Questo accade perché la farina macinata a pietra mantiene intatte tutte le proprietà benefiche del chicco e tutti i suoi nutrienti. Ma non è solo una questione di benefici. Infatti, la presenza di queste proprietà è capace di influenzare perfino il gusto e il profumo della farina stessa, e di dare forza e ricchezza diverse. E i nostri avi lo sapevano bene.

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