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Cultura

Storia e significato del “Miracolo di San Gennaro"

La prima notizia storica relativa al "prodigio" di San Gennaro è data da un autore siciliano che il 17 agosto 1389 annota il fenomeno della “liquefazione” del sangue. Il miracolo si ripete da allora tre volte l’anno: il 19 settembre, il 16 dicembre e la prima domenica di maggio

Il sangue si è sciolto. Il “Miracolo” di San Gennaro, patrono di Napoli, si ripete ancora una volta. Ma qual è la storia e il significato di questo “prodigio” così atteso dai napoletani?

I primi documenti che raccontano la storia e la passione del Santo sono gli “Acta bononiensia”, risalenti al VI secolo d.C. Secondo questi scritti San Gennaro nacque a Napoli nella seconda metà del III secolo, e fu eletto vescovo di Benevento. Perseguitato da Diocleziano perchè cristiano, venne martirizzato a Pozzuoli, nei pressi della Solfatara, il 19 settembre del 305. Si racconta che durante il suo martirio una nobildonna, di nome Eusebia, raccolse il sangue del Santo conservandolo gelosamente in due ampolle. Dopo l'editto di Costantino un vescovo di Napoli fece traslare le ossa del santo da Pozzuoli a Napoli. Si dice che durante il tragitto Eusebia regalò al vescovo le due ampolle contenenti il sangue del martire. Da quel momento il culto di San Gennaro iniziò a diffondersi rapidamente: la tomba divenne meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che venivano attribuiti al Santo. Nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione. Iniziò così l’usanza di invocarlo nei terremoti, nelle eruzioni e in un tutti i casi di pericolo. A partire da quell’anno San Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono e protettore principale della città. Durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie. Successivamente fece costruire in suo onore, accanto alla Basilica di S. Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta “Stefania”, sulla quale alla fine del secolo XIII venne eretto il Duomo: qui vennero riposti, nella cripta, il cranio e la teca con le ampolle del sangue.

Questa decisione preservò le reliquie dal furto del longobardo Sicone, che, durante l’assedio di Napoli dell’831, entrò nelle catacombe e rubò le altre ossa del santo portandosele a Benevento, sede del ducato longobardo. Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (Avellino), dove rimasero per tre secoli. Delle ossa poi si persero le tracce finché, durante alcuni scavi effettuati nel 1480, furono per caso ritrovate sotto l’altare maggiore. Il 13 gennaio 1492, dopo numerose trattative con i monaci dell’abbazia verginiana, le ossa furono riportate a Napoli nel Duomo. Intanto, le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento (donato da Carlo II d’ Angiò nel 1305 al Duomo di Napoli) e le ampolle incastonate in una teca preziosa (fatta realizzare da Roberto d’ Angiò). Successivamente, nel 1646, il busto e la teca furono poste nella nuova Cappella del Tesoro, oggi ricca di capolavori d’arte d’ogni genere. Le altre reliquie conservate in un’antica anfora, rimasero, invece, nella cripta del Duomo, su cui s’innalza l’abside e l’altare maggiore della grande Cattedrale.

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