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Chi era Raffaele La Capria, la voce più rivoluzionaria di Napoli

Quasi cento anni di letteratura, cinema, giornalismo, e uno sguardo unico sulla città

Il cantore di Napoli come metafora della vita, tra vizi e virtù, lo scrittore che ha raccontato "l'armonia perduta" per spiegare il suo rapporto con la città che "ti ferisce a morte o t'addormenta, o tutt'e due le cose insieme", descritto magnificamente nel suo romanzo più famoso, "Ferito a morte", con cui vinse il Premio Strega nel 1961: questo è stato l'impegno instancabile di Raffaele La Capria, Dudù per gli amici, una delle voci più significative della letteratura italiana del secondo '900, morto all'età di 99 anni all'ospedale Santo Spirito di Roma, dove era stato ricoverato venerdì scorso per un aggravamento improvviso del suo stato di salute.

Lo scrittore e giornalista è stato sposato con l'attrice Ilaria Occhini, dal 1966 alla sua scomparsa, avvenuta il 20 luglio 2019: dal loro matrimonio è nata la figlia Alexandra, che è stata accanto al padre fino all'ultimo. Nato a Napoli il 3 ottobre 1922, dove si è laureato in giurisprudenza, La Capria ha compiuto la sua formazione letteraria soggiornando in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Narratore, saggista e giornalista, ha collaborato con riviste e quotidiani, tra cui "Il Mondo", "Tempo presente" e il "Corriere della Sera"; dal 1990 era condirettore di "Nuovi Argomenti", la rivista fondata da Alberto Carocci e Alberto Moravia.

È stato autore di radiodrammi collaborando a lungo con la Rai. Raffaele La Capria è stato co-sceneggiatore di molti film dell'amico regista Francesco Rosi, tra i quali "Le mani sulla città" (1963), Leone d'oro al Festival di Venezia, crudo ritratto della Napoli in piena espansione edilizia, "C'era una volta" (1967), "Uomini contro" (1970), "Cristo si è fermato a Eboli" (1979) e "Diario napoletano" (1992). Ha collaborato con la regista Lina Wertmüller alla sceneggiatura dei film "Sabato, domenica e lunedì" (1990) e "Ferdinando e Carolina" (1999).

Il capolavoro “Ferito a morte” 

Il capolavoro assoluto di La Capria viene considerato unanimemente “Ferito a morte”. La vicenda narrata nel romanzo del 1961, insignito del Premio Strega, si svolge nell'arco di circa undici anni, dall'estate del 1943, quando, durante un bombardamento, il protagonista Massimo De Luca incontra Carla Boursier, fino al giorno della sua partenza per Roma, all'inizio dell'estate del 1954. Tra questi due momenti il racconto procede per frammenti e flash, ognuno presente e ricordato, ognuno riferito a un anno diverso, anche se tutti sembrano racchiusi, come per incanto, nello spazio di un solo mattino: la pesca subacquea, la noia al Circolo Nautico, il pranzo a casa De Luca.

Negli ultimi tre capitoli vi è poi come una sintesi di tutti i successivi viaggi di Massimo a Napoli, disincantati ritorni nella città che «ti ferisce a morte o t'addormenta, o tutt'e due le cose insieme»; nella città che si identifica con l'irraggiungibile Carla, con il mare, con i miti della giovinezza. Se, come ha scritto E.M. Forster, «il banco finale di prova di un romanzo sarà l'affetto che per esso provano i lettori», quella prova "Ferito a morte" l'ha brillantemente superata: libro definito dal suo stesso autore «non facile», cult per molti critici e scrittori, è stato ed è anche un libro popolare, amato e letto, con grande adesione sentimentale, da lettori che poco sapevano di questioni letterarie, ma vi ritrovavano la loro stessa nostalgia per un paradiso perduto e per una «giornata perfetta». Un libro, insomma, di iniziazione, di rivelazione e di scoperta dal valore universale.

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