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Lettera aperta per il ministro Azzolina per il futuro scolastico dei nostri figli

Verso la fine del lockdown: "Sperimentiamo assieme un nuovo modo di fare scuola, inaspettato nell’uso di spazi e tempi" scrive Rachele Furfaro al ministro dell'Istruzione Lucia Azzolina

In vista della Fase 2, Rachele Furfaro, dirigente scolastica e fondatrice del network di scuole Dalla Parte dei Bambini tra cui Foqus, ai Quartieri Spagnoli, ha inviato una lettera al Ministro dell'istruzione Lucia Azzolina chiedendo di sperimentare un nuovo modello di scuola.

Ecco il testo della lettera:

Caro Ministro,

sul problema della riapertura si rincorrono e si smentiscono ipotesi di ogni tipo, come del resto su qualunque argomento che riguardi la versione italiana della pandemia. Pare ricorrente più di altre l’ipotesi che l’ultima a riaprire i battenti sarà la scuola. Tante voci si sono levate per mostrare perché questa ipotesi sarebbe incongrua: per i genitori, che non saprebbero a chi affidare i propri figli; per il settore della scuola, che sta collassando; per l’economia tutta, che è connessa anche alla scuola. Tutte ipotesi condivisibili, ma tutte portatrici di una unica visione: centrata sul punto di vista e sugli interessi dell’adulto.

A me, caro Ministro, che da quarant’anni mi occupo di scuola, di inclusione scolastica, prima come insegnante di ruolo della scuola pubblica, poi dando vita a Napoli a una scuola di modello freinettiano, diventata nel tempo un network di scuole disseminate sull’intero territorio napoletano, che si intitolano (e in questo dichiarano l’approccio educativo) “Dalla parte dei bambini”, a me, dicevo, interessa portare alla Sua attenzione il punto di vista dei bambini. I bambini che in tutta questa vicenda sembra siano sempre in secondo piano rispetto agli adulti, ma che stanno pagando un prezzo altissimo senza che nessuna voce si alzi in loro favore a rivendicare, per loro nome e conto, quei diritti al gioco, alla socializzazione, all’istruzione, all’uguaglianza a cui si riferisce l’articolo 3 della nostra Costituzione e a cui si sono riferiti i nostri padri costituenti quando vollero una scuola pubblica, gratuita e per tutti.

La scuola è indispensabile per i bambini, signor Ministro, perché rappresenta oggi l’unico reale laboratorio di contaminazione sociale e culturale, dove le diversità continuano a incontrarsi, a dialogare e a costruire insieme il proprio futuro.

Non è vero che questa catastrofe è uguale per tutti: ha scavato un solco profondo tra i bambini che appartengono a famiglie benestanti e tutti gli altri.

Non è vero che l’intero Paese ha fatto un balzo tecnologico e che tutti seguono l’educazione a distanza: moltissimi bambini, se avessero voce, le confermerebbero che non hanno avuto possibilità di accedere a quella formazione, che pure ogni scuola ha attivato, perché per accedervi non basta possedere gli strumenti tecnologici, c’è bisogno di avere una casa con uno spazio, un luogo in grado di garantire l’attenzione e la concentrazione che la nuova situazione richiede. E c’è bisogno, forse ancora di più, di adulti che si prendano cura di te.

Mi creda, signor Ministro, in moltissime periferie delle nostre città, sicuramente nella mia, intere famiglie vivono in pochi metri quadrati e non hanno la possibilità emotiva, sociale e affettiva, di farsi carico dei propri figli. Ma, per tornare a parlare di tutti e del perché le scuole devono riaprire, vorrei dirle che chi ha a che fare con i bambini o i ragazzi sa che la crescita avviene nell’incontro con gli altri e con l’ambiente, nell’instaurarsi di relazioni in grado di alimentare e suggerire nuove conoscenze, che non possono avvenire nella solitudine di uno schermo, che non consente alcuna possibilità di sperimentazione.

La tecnologia, per l’educazione dei bambini, è uno strumento da usare per superare un’emergenza, non ci si illuda sia una soluzione da protrarre illimitatamente.

La soluzione della fase 2 non può essere, voglio dirlo subito e con chiarezza, quella di continuare a tenere chiuse le scuole.

Non possiamo togliere ai bambini i loro diritti e le proprie certezze. All’indomani dell’emergenza sanitaria, la chiusura delle scuole è stata inevitabile. Ma oggi, a due mesi dalla chiusura, è necessario prevedere, a brevissimo, soluzioni alternative alla semplice chiusura o alla surroga on line, soluzioni che permettano ai bambini italiani di tornare, in sicurezza certo, ma tornare nelle loro classi, di rincontrare compagni e insegnanti prima possibile.

E allora Le chiedo di non ascoltare solo gli interessi degli adulti e del loro sistema economico-produttivo, ma di pensare anche ai bambini e ai diritti della loro età, perché le misure restrittive comportano rischi anche per loro, non solo per gli adulti.

La reclusione forzata riduce già l’immaginario e i loro orizzonti nei confini angusti e in alcuni casi pericolosi dell’ambito familiare, con effetti di lungo periodo che nessun DPCM o intervento economico potrà mitigare.

La soluzione non è tenere chiuse le scuole ma, semmai, tenerle aperte 24 h su 24 e immaginare come farle funzionare, nel rispetto delle regole dettate dall’emergenza sanitaria.

Apriamo nuove classi, recuperiamo lo spazio di cui abbiamo bisogno per stare insieme benché distanziati; usiamo tutti gli spazi interni ed esterni della scuola; dividiamo le classi in piccoli gruppi, impegniamo i bambini su una progettazione comune, di cui ogni gruppo si incaricherà, portando poi agli altri le scoperte e i risultati del lavoro svolto.

Gli insegnanti italiani sono in grado di sperimentare nuove modalità di apprendimento, non ripiegate sull’istruzione e sui programmi, ma aperte all’innovazione, all’incontro con altri spazi, culturali e naturali, con gli altri e con i tanti diversi spazi con cui i bambini entreranno in contatto. Ridiamo vita agli spazi dismessi o in disuso, come tanti ce ne sono nelle nostre città, per trovare nuove aule e più ampie, attrezziamoli per farli funzionare secondo le prescrizioni.

Dobbiamo essere capaci di pensare a un nuovo modo di stare insieme, non a quali altre deleghe assegnare alla tecnologia. Dobbiamo saperla usare, la tecnologia, ma perché ci aiuti a non perdere l’indispensabile umanità della relazione educativa. Proviamo allora a sperimentare insieme un nuovo modo di fare scuola, inaspettato nell’uso di spazi e tempi diversi da quelli a cui la scuola ci ha abituato. Del resto, nel nostro lavoro di insegnanti accogliamo ogni giorno l’inaspettato che ogni bambino cela dentro di sé.

Non segua per la scuola, signor Ministro, le più prevedibili e impraticabili prescrizioni degli esperti adulti. Ci chiami a sperimentare nuovi modelli di relazione. Come diceva Euripide: “L’atteso non si compie. È all’inatteso che un dio apre la via”.

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