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Vomero Vomero / Via Domenico Cimarosa

Quel che resta della Floridiana: transenne, rifiuti e scritte oscene

Viaggio nella Villa abbandonata. Cartacce, bottiglie: il percorso è costellato di resti di bivacco. Le poche panchine sono tutte rosicchiate dal tempo. E nel Museo i vasi cinesi sono usati come gettacarte...

Transenne, cartacce, divieti, scritte oscene, degrado e abbandono. Benvenuti, se vi va, nella Floridiana violentata, brutalizzata e oltraggiata dei giorni nostri. Dimenticate quella che conoscevate, quella di quando eravate ragazzi. Oggi, è un'altra cosa. Vista da vicino, dal di dentro, è tutt'altro che leggerne sui giornali, sui blog, su facebook, o sentirne parlare da chi c'è già stato ed è scappato. E' un'altra cosa. Peggio, molto peggio.

Entri finalmente dall'ingresso principale di via Cimarosa, riaperto sì, ma con le imprecazioni di quelli che entravano da via Aniello Falcone, il cui cancello è di nuovo sbarrato. Entri e ti accorgi che nulla è più come prima, a partire dalle scalette a sinistra, inesorabilmente sbarrate. "E' severamente vietato oltrepassare le barriere", recita uno dei tanti cartelli, che poi altro non sono che fogli A4 attaccati alla meno peggio. Sì, vabbè, come se poi uno si divertisse a cercare chissà quale brivido oltrepassandole senza sapere dove andrà a finire. Il percorso è praticamente obbligato, e porta direttamente al grande prato (spelacchiato) centrale. Le poche panchine sono tutte rosicchiate dal tempo e dall'incuria, a terra, con la vernice azzurra, qualcuno ci tiene a far sapere come si chiama. Niko, Ciro, Lella, Kekko i nomi più diffusi. Una gattara cura con amore una decina di gatti che aspettano le sue crocchette: è l'unica nota positiva del parco, anche se alcune signore non la vedono di buon occhio. "Ci sono i bambini, i gatti portano infezioni -si lamenta una giovane mamma mentre sfumacchia addosso al pupo nel passeggino-". In Floridiana, però, ci si va anche per il Belvedere. Gira e rigira, alla fine sei fortunato se qualcuno ti spiega come raggiungerlo, aggirando le transenne e i divieti. Anche il panorama risente della quasi totale chiusura degli spazi: la vista frontale è sempre spettacolare, ovviamente, ma devi guardare con i paraocchi, senza far caso al fatto che di lato, vicino allo storico muretto dal quale tutti i napoletani, prima o poi, i sono affacciati, le solite transenne impediscono l'accesso. Cartacce, bottiglie di coca-cola: il percorso è costellato di resti di bivacco.

I cestini dei rifiuti, potessero parlare, a gran voce chiederebbero di essere svuotati, straboccanti come sono. Risalendo verso il prato, le pareti del Museo Duca di Martina, ospitato all'interno della Villa Floridiana, sono coperte di scritte di ogni tipo, ovviamente per lo più oscene. Qualcuno, ad ogni "filone" a scuola, va in Floridiana apposta per scrivere sulle mura la data dell'evento. L'ascensore che dovrebbe portare all'interno del Museo è fermo, e lì vicino un mucchio di cartoni ammassati su un marmetto aspetta di essere rimosso. Che fare? Entrare o non entrare nel Museo Duca di Martina?

Floridiana nel degrado © M. Amitrano


Certo, le facce degli stanchi addetti alla biglietteria invoglierebbero a desistere, e forse sarebbe meglio, visto che si resta straniti già quando ti consegnano un biglietto per l'ingresso (gratuito), che sembra quasi riciclato, visto che porta una data di qualche giorno prima, aggiornata con un datario. Nel Museo non c'è nessuno. Le sedie vuote in ogni sala dovrebbero essere occupate dai guardiani, ma non se ne vedono. Ne compare solo uno, miracolosamente, quando si tenta di entrare in bagno e chiede "Prego?", come se uno per chissà quale motivo stia andando proprio lì. Che pena quelle teche impolverate. Al guardiano (quello del bagno) chiedi "Scusi, ma la polvere la tolgono, ogni tanto?", per sentirti dire un "Beh, qualche volta" che ti fa venire voglia di fuggire. Nella sezione orientale, poi, ci sono tanti vasi: beh, credeteci o no, tutti pieni di cartacce e rifiuti. Incredibile. Eppure, è un Museo, diamine. E l'addetto alla biglietteria, quando glielo fai notare che i vasi sono usati come gettacarte, ti guarda allibito, poverino, come se cascasse dalle nuvole, come se qui stessimo al British Museum o al Louvre, e ti chiede "Quale?" per sentirsi rispondere "Tutti" e poi allargare, impotente, le braccia. Quando torni sul prato e vedi che i vandali hanno scritto le loro stupidaggini anche sugli alberi centenari, è il momento giusto per lasciare la Floridiana. Hai visto troppo, probabilmente, e manco fai più caso ai vestiti abbandonati nei viali, alle centinaia di cicche di sigaretta accatastate sull'erba, alle panchine divelte. Inutile star lì e tentare di parlare con quale responsabile. La solita solfa. "Non abbiamo risorse", "E' colpa degli incivili", "Non possiamo mica controllare tutti quelli che entrano" eccetera. Le risposte sarebbero state scontate, ovvie. Anche se avessimo chiesto loro di chi erano quelle dieci macchine parcheggiate dove ai comuni mortali l'accesso è interdetto, oppure chi era quel signore che con la sua auto strombazzava da via Aniello Falcone e si è fatto aprire (solo per lui, ovvio) il cancello per entrare. Può bastare. Ce n'è abbastanza per andar via e non tornarci più, in questa Floridiana.

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