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“Paga o ci prendiamo il bar”. L'assalto del clan 'Abbasc Miano' contro il locale di Scampia

La richiesta di 125mila euro al titolare del bar. "I Cifrone non contano più niente"

“Paga o ci prendiamo il bar”, condanna soft per G.R., classe 80, imputato per estorsione aggravata dal metodo mafioso, è stato condannato dalla quarta sezione del tribunale di Napoli, presidente Dottoressa Giovanna Napoletano, Giudici a latere Ambrosio e Bardari, innanzi ai quali Romano ha scelto di farsi processare con il rito ordinario, alla pena di 4 anni e 3 mesi di reclusione. Il Pubblico Ministero della DDA Dottoressa Maria Sepe aveva chiesto la condanna a 9 anni di reclusione. G.R., difeso dall’avvocato Luigi Poziello del Foro di Napoli Nord, si trova agli arresti domiciliari. Gli altri quattro imputati avevano invece scelto il rito abbreviato che si è celebrato davanti al giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli Dott. Fabrizio Finamore. P.S. e il figlio sono stati condannati rispettivamente a otto e quattro anni. Gli altri due ras coinvolti hanno rimediato invece entrambi sei anni e otto mesi.

La richiesta estorsiva

I fatti risalgono all’Agosto 2021. Dopo i primi due arresti in flagranza di reato, (i poliziotti si erano seduti ai tavolini del bar in borghese e hanno sia visto che ascoltato in diretta la richiesta estorsiva), l’ordinanza di custodia cautelare fu notificata ad opera degli uomini della Questura di Napoli anche per gli altri tre indagati che avrebbero preso parte alle “spedizioni” ai danni del bar “Caffè Europa”. Il gruppo di “abbasc Miano” torna a mostrare i muscoli dopo il recente azzeramento del rivale clan Cifrone. È proprio grazie alla denuncia del titolare dell’attività ed alla testimonianza della madre che le indagini sono arrivate a una svolta. Dalla lettura dei capi di imputazione si apprende infatti che il commando avrebbe preteso dal commerciante la consegna di 125mila euro, suddivise in rate da 5mila euro mensili, quale presunto residuo di un prestito di natura usuraria che il barista e la madre avevano contratto alcuni anni fa con alcuni usurai e con l’imputato G.R. Giova precisare che sia la persona offesa che la madre sono già stati escussi come testimoni nel processo ordinario che si sta celebrando innanzi alla quarta sezione del tribunale di Napoli. La persona offesa si è presentata al processo assistita da una associazione antiracket. Quella che ne è scaturita è stata un’inscalabile montagna di debiti, alla quale hanno presto seguito diverse minacce, andate avanti a ritmo martellante dal 29 luglio fino al 7 agosto scorsi. Se dell’ultimo “blitz” si sono resi protagonisti R. e I. nella prima occasione sarebbero stati invece G.R. e un cugino a presentarsi nel bar di Scampia, intimando al titolare di consegnare la cifra arretrata. In caso contrario sarebbe stato «massacrato di botte» e avrebbe «venduto il bar per finanziare la guerra e comprare le armi necessarie». Il tutto in presenza di altri quattro complici ad oggi non ancora identificati. Il giorno successivo R. stavolta con S. senior, torna alla carica e stabilisce che il debito doveva essere saldato in rate da 5mila euro mensili: se il commerciante non avesse pagato sarebbe subentrato come socio occulto del bar. Proprio in questo frangente emerge una circostanza singolare: la vittima spiega ai suoi aguzzini che parte del debito iniziale era già stata versata al gruppo Cifrone. R. non vuole però sentir ragioni e precisa che «ormai i Cifrone non contano più nulla» e che in zona adesso comandavano loro. Aggressioni e minacce erano però tutt’altro che finite. L’incubo è infatti proseguito anche nei giorni a seguire, con tanto di convocazione al cospetto del capozona e di avvertimenti rivolti alla madre del commerciante. In sede di denuncia il barista ha messo a verbale un riferimento che potrebbe rivelarsi molto utile per capire la collocazione criminale degli indagati: «Da quel momento a casa di mia madre a Villaricca si presentava regolarmente R. con altre persone che non conoscevo, minacciandomi».

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