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Donadoni, lo strano destino di un uomo perbene

Il tecnico del Cagliari torna al San Paolo, stadio per lui crocevia, da calciatore prima e da allenatore poi

Roberto Donadoni torna al San Paolo, quello che è stato il suo stadio per circa 6 mesi. L’impianto di Fuorigrotta ha rappresentato sempre un crocevia, per la sua carriera di giocatore prima e di allenatore poi, riservandogli gioie e dolori. Sul prato dell’impianto napoletano, Donadoni ha conquistato la prima grande vittoria da calciatore, in quel famoso 1° maggio 1988 quando il suo Milan strappò lo scudetto all’invincibile armata azzurra guidata da Maradona. Triste, a dir poco, fu invece la serata del 3 luglio 1990, semifinale mondiale tra Italia-Argentina. Donadoni, insieme a Serena, fallì un calcio di rigore, e addio sogni di gloria per la Nazionale di Vicini che già pregustava la finalissima di Roma ed i festeggiamenti per la vittoria del Mondiale. Dal San Paolo partì anche la carriera di Donadoni come commissario tecnico. Fu proprio a Napoli, infatti, nel settembre del 2006 che fece il suo esordio in gara ufficiale sulla panchina azzurra in Italia-Lituania 1-1. Su quella panchina Donadoni tornò il 23 marzo 2009, posticipo serale domenicale. Il tecnico lombardo entra per la prima volta dalle scalette degli spogliatoi del catino di Fuorigrotta con in dosso la tuta del Napoli ed il destino gli mette di fronte la sua storica ex, il Milan. Il match finirà 0-0. Ma l’esperienza napoletana di Donadoni durerà appena 6 mesi. Il suo arrivo a Castelvolturno fu voluto fortemente dal presidente Aurelio De Laurentiis. Si era alle schermaglie iniziali della frattura insanabile tra il produttore cinematografico e l’allora direttore generale Pierpaolo Marino e proprio l’ingaggio di Donadoni fu il punto di non ritorno nel tormentato rapporto tra il presidente ed il dirigente irpino. Donadoni finì per pagare proprio questa situazione. Durante il mercato estivo, mentre lui disegnava il suo abituale 4-3-3, Marino gli costruiva un'altra squadra. Il tecnico chiedeva un terzino sinistro e per tutta risposta ne arrivò uno destro come Zuniga. Donadoni chiedeva un centrocampista fisico, stile Ambrosini, da affiancare a Gargano e Cigarini, ma il dg non volle saperne di acquistarlo, anzi cercò di piazzare invano fino alle ultime ore di mercato Pazienza, che poi Mazzarri qualche mese più tardi avrebbe eletto a puntello insostituibile del suo centrocampo. Ma il capolavoro ci fu in attacco, quando Donadoni chiese un attaccante di scorta del livello di Quagliarella e Lavezzi e arrivò Hoffer per 5,5 milioni di euro, l’ultimo “regalo” di Marino ai tifosi del Napoli. I rapporti tra il tecnico ed il dg divennero sempre più tesi, così come ormai lo erano già da tempo quelli con De Laurentiis, che cominciò a criticare aspramente l’operato del suo direttore generale a più riprese. A Donadoni non fu perdonato nulla: dal suo passato milanista, alla sua pacatezza, che a dire di qualcuno, cozzava con l’esplosività del pubblico partenopeo. Gli fu attribuito addirittura l’addio di Carmando, quando la realtà fu ben diversa, da un certo tipo di stampa sostenitrice incallita ed inarrendevole del “Marinismo”, corrente che poi col tempo, per causa di forza maggiore, è dovuta soffiar via insieme al vento. In campo il Napoli di Donadoni, seppur con alcune evidenti lacune di organico che lo costrinsero a dover scegliere Datolo come esterno a tutta fascia, giocava a calcio e lo faceva pensando solo alla vittoria. A chi lo accusava di avere poco ascendente sui calciatori e di scarso carisma, basta ricordare due cose: il primo Lavezzi tatticamente disciplinato, lontano dall’anarchia “Rejana”, lo si vide proprio sotto la gestione Donadoni. Ma va sottolineato soprattutto un particolare: durante la sua guida tecnica i calci piazzati venivano suddivisi tra Lavezzi, Hamsik, Datolo e Cigarini. I più arguti avranno già avuto modo di notare che dall'elenco manca un nome, quello di Walter Gargano, quello che oggi nessuno riesce far desistere dall’idea di essere un cecchino provetto. La fortuna, però, non fu dalla sua parte: nelle trasferte con Palermo e Genoa, il suo Napoli, nonostante un predominio assoluto e totale del campo, fu costretto ad arrendersi a due arbitraggi a dir poco infelici, di Rosetti prima e Tagliavento, che con decisioni clamorosamente errate, segnarono il destino del tecnico bergamasco sulla panchina partenopea. Non bastarono le ore ed ore di lavoro a Castelvolturno e la cura di tutti i minimi particolari durante gli allenamenti. Il fato gli aveva voltato le spalle, così come avvenne in Nazionale. La sua avventura da Ct verrà ricordata solamente perché ad insediarlo fu il suo ex compagno di squadra Albertini, vicepresidente della Figc. Nessuno ricorderà mai che la sua Italia stravinse un girone di qualificazione agli Europei 2008 in cui figuravano squadre del calibro di Francia, Scozia e Ucraina. A nessuno mai verrà in mente di ricordare che l’Italia di Donadoni, nel giugno 2008, fu l’unica squadra ad uscire sconfitta soltanto ai rigori contro la Spagna che poi avrebbe vinto Europeo e Mondiale. Allora tutti pensarono a tirare la volata per il ritorno in pompa magna di Marcello Lippi, origine del disastro mondiale in Sudafrica. Il resto è storia recente, con il Napoli che nel frattempo ha trovato un grande allenatore come Mazzarri, che rispetto al suo predecessore ha sicuramente avuto più fortuna e ha stabilito più empatia con l’ambiente partenopeo. Nel frattempo Donadoni ha preso il Cagliari in fondo alla classifica e lo ha portato ai margini della zona europea. Chissà che stavolta la “Dea Bendata” non abbia finalmente deciso di baciare anche il tecnico bergamasco?

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