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La Chiesa di Napoli verso il 1° maggio: "Non c'è giustizia senza lavoro, ma non deve esserci lavoro senza giustizia"

Don Mimmo celebra messa al Porto di Napoli, nei Cantieri del Mediterraneo. Il richiamo ai doveri della politica e il messaggio di solidarietà ai lavoratori della Whirlpool

La Chiesa di Napoli ha celebrato la Festa dei lavoratori, che cade il 1° maggio, nella solennità di San Giuseppe Lavoratore, con una liturgia eucaristica presieduta dall’arcivescovo, mons. Mimmo Battaglia nel Porto di Napoli, ai Cantieri del Mediterraneo, dove ad accoglierlo, con il presidente e amministratore delegato dei Cantieri del Mediterraneo Luigi Salvatori, c'erano tantissimi lavoratori.

Davanti ad oltre 500 persone tra lavoratori, amministratori, imprenditori e una delegazione della Whirlpool, sull'altare della messa per il lavoro Don Mimmo ha deposto la fatica, il sudore e il sacrificio fino alla morte dei lavoratori, e la necessità di sicurezza sottolineando l'imprescindibile valore delle persone . Ecco la sua omelia:

L'omelia di Don Mimmo 

"Viviamo una stagione complessa, segnata ancora dagli effetti della pandemia e dalla guerra in Ucraina, in cui il lavoro continua a preoccupare la società civile e le famiglie, e impegna ad un discernimento che si traduca in proposte di solidarietà e di tutela delle situazioni di maggiore precarietà.

La vera ricchezza sono le persone

«La vera ricchezza sono le persone: senza di esse non c’è comunità di lavoro, non c’è impresa, non c’è economia. La sicurezza dei luoghi di lavoro significa custodia delle risorse umane, che hanno valore inestimabile agli occhi di Dio e anche agli occhi del vero imprenditore» ha ricordato Papa Francesco ricevendo in udienza l’Associazione nazionale dei costruttori edili (20 gennaio 2022).  Il mio primo pensiero va, in particolare, a chi ha perso la vita nel compimento di una professione che costituiva il suo impegno quotidiano, l’espressione della sua dignità e della sua creatività, e anche alle famiglie che, per la precarietà, in particolare di donne e giovani, i «nuovi poveri» non hanno visto far ritorno a casa chi, con il proprio lavoro, le sosteneva amorevolmente. Un Paese che cerca di risalire positivamente la china della crisi non può fondare la propria crescita economica sul quotidiano sacrificio di vite umane.

Le ferite delle imprese

In questo tempo, segnato ancora dalla pandemia, alle ferite delle persone ammalate dobbiamo purtroppo sommare le ferite delle imprese. Celebrare la Santa Messa qui significa per me associare la via crucis di tante nostre imprese, di tanti lavoratori, alla via crucis del Cristo crocifisso. Celebrare la messa qui significa anche trovare la forza interiore per vivere questo doloroso momento con lo sguardo fisso su Cristo Risorto, nella rigenerante prospettiva della Domenica di Pasqua. Sta qui la speranza cristiana, capace di trasformare le ferite personali e sociali in feritoie di luce e di vita nuova. A questo ci spinge la speranza. Con responsabilità e realismo, siamo chiamati a inventarci scenari nuovi e inediti con il fattivo e convergente contributo di tutti: imprenditori e operai, sindacato e politica, società civile e Chiesa, semplici cittadini e famiglie.   Senza lavoro non c’è dignità. Il lavoro è un elemento importante per l’uomo e la donna e le famiglie. Senza lavoro perdiamo anche l’identità delle persone.

Non deve esserci lavoro senza giustizia

Non c’è giustizia senza lavoro, ma non vi deve essere lavoro senza giustizia. E su questo c’è ancora molto da fare, tanto da lottare. Vi sono diritti che vengono prima del lavoro ma anche il lavoro che non può essere privato di diritti. Da qui chiedo che ci siano attenzioni quotidiane alla ferialità dei tanti volti che hanno perso la luce della speranza e alle tante storie che si lasciano prendere da una disperazione capace con facilità di tramutarsi in rabbia sociale. Penso, in particolare, agli operai e alle operaie della Whirlpool. Continuo a stare accanto a loro e con loro affronto il buio che stanno attraversando.

Messa di don Mimmo al Porto di Napoli (Foto De Cristofaro)

La necessità di una cordata sociale

Non è pensabile che in un tempo così complesso e rischioso a sofferenza si aggiunga sofferenza. Come comunità cristiana non ci tireremo indietro e faremo la nostra parte nella speranza che con le istituzioni e la società civile si posa dar vita ad una cordata sociale all’insegna della solidarietà, della giustizia e della pace. Solo così scaleremo insieme questa montagna insidiosa, senza lasciare indietro nessuno, affrettando nella notte l’aurora di un mondo nuovo.

Questo periodo, per via della pandemia in maniera particolare, non si può certo chiamare “festa”, perché è segnato da dolore, tensione, disoccupazione. È vero che alcune attività si sono consolidate e addirittura intensificate; è vero che alcune aziende hanno avviato o realizzato un processo di riconversione. È vero, poi, che alcune professioni si sono rivelate particolarmente preziose in questa pandemia: rendiamo omaggio alla dedizione e alla testimonianza di tanti medici, infermieri, operatori sanitari, volontari e Protezione civile; ma pensiamo anche al lavoro delle istituzioni e degli amministratori, alle forze dell’ordine, ai docenti, agli psicologi, ai ministri delle comunità religiose, ai sindacalisti e agli operatori della comunicazione e del digitale; e ricordiamo tutti quei lavoratori che svolgono mestieri umili, dimostratisi invece di particolare importanza: come le assistenti impegnate nelle famiglie e nelle strutture, i fornitori, i corrieri, gli operatori ecologici, alcuni commercianti, il personale delle pulizie. Tutto questo è vero e merita enorme riconoscenza.

Disoccupazione e fragilità

Resta però drammatica la situazione di molti che hanno perso o perderanno il lavoro. La disoccupazione, come sappiamo bene, trascina con sé tante fragilità. Alle parole d’ordine degli ultimi decenni come “competitività, produzione, profitto, crescita”, si dovranno affiancare parole che, pur entrate nel lessico culturale e giuridico, sembravano assodate e si pongono invece come traguardi: “solidarietà, sussidiarietà, dignità della persona e della famiglia”.

Anzi, proprio queste parole dovranno prendere il timone della barca, per evitare che la tempesta la rovesci. I sacrifici non potranno ricadere solo da chi risulta colpito dalla crisi, ma si dovranno ripartire proporzionalmente, appellandosi in modo efficace a chi ha i mezzi per creare lavoro. Sarà necessario rinsaldare le due serie di parole, per capire che l’economia di mercato trova la sua misura nell’economia dell’equità. 

L’inizio della nostra Carta costituzionale afferma: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”; dove “lavoro” è inteso nel senso più ampio possibile, raccogliendo tutte le attività che portano beneficio materiale e spirituale alla società. I padri costituenti avrebbero potuto indicare altri fondamenti, effettivamente evocati: ad esempio cominciare da un ideale come la dignità, oppure fondare lo Stato sul rispetto, la tolleranza, l’impegno, la giustizia, il sacrificio. O magari richiamare all’inizio il concetto di persona, la realtà della famiglia o il bene comune. Scelgono invece di fondare l’Italia sul lavoro. Ed è stata una scelta profetica, di cui ora avvertiamo, dolorosamente, l’importanza. Fondare lo Stato sul lavoro significa ritenerlo costituito non da qualche ideale superiore, per quanto elevato ma dall’apporto di tutti i cittadini, da questa rete di base che lo alimenta e lo sostiene. Il lavoro è il termometro più sensibile del grado di dignità, rispetto e giustizia di una convivenza civile; è il volano che sostiene la persona, la famiglia, la società e lo Stato; è la misura della solidarietà e dell’equità, è lo strumento che realizza il bene comune. Il “figlio del falegname” assista tutti nell’opera che attende il nostro Paese, l’Europa e gran parte del mondo: ricostruire la rete sociale attraverso la riorganizzazione e il rilancio del lavoro.

I doveri della politica

In gioco, c’è la capacità di futuro, affaticati come siamo nel mantenere alta la speranza. Tanta gente di queste nostre città geme e soffre le doglie di un parto che non avviene nel mondo del lavoro. Quanti e quante sono oggi ancora i nostri fratelli e sorelle senza lavoro. I casi di povertà, di depressione, non sono che i “luoghi circostanti”, i dintorni drammatici alla disoccupazione! Baratro in cui il nostro Paese va piombando sempre più! Per molteplici cause. Perciò, sento nel cuore mio, di pastore, l’importanza di due cose: tenere alte le prospettive ed educare tenacemente ad esse, soprattutto tramite la scuola e la politica. Per questo, credo che la questione lavoro debba ritornare sulle lavagne della scuola, sui pulpiti delle chiese, sui tavoli delle nostre riunioni formative. Faccio perciò un accorato appello alle Istituzioni di Governo ad assumere pienamente il coraggio della Politica! Perché ogni persona abbia la dignità del lavoro e il pane necessario per sé e la propria famiglia. La Politica deve tornare ad accordarsi al bene del popolo che essa governa e guida! Non è simbolismo! E’ dovere! La Politica è la “terra benedetta” abitata dalla giustizia, dalla lungimiranza, dalla cura! Non ha il compito di indicare la strada, ma quello di realizzarla! Con scelte lungimiranti soprattutto davanti alle crisi ricorrenti delle nostre aziende.

Ciascuno ha il diritto di essere ciò che può diventare, grazie al lavoro! A tutti va riconosciuto questo diritto. Il lavoro ci ricorda il Papa deve essere “libero, creativo, partecipativo e solidale” (EG n. 192). Come deve essere allora il lavoro? Io dico che principalmente deve essere “per tutti”! Ancora, “Il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti”, per maturare nella nostra società la convinzione salutare che incamminarci nella democrazia significa creare occupazione, come presupposto fondamentale del futuro. Porre cioè il proprio talento per la costruzione del domani! Questa è la sfida: educare alla speranza per educare al lavoro, nella risignificazione dell’azione politica. E allora, chiedo alla Politica di stare accanto alla gente, di ascoltarla, di seguirne i passi, di non tagliare la spesa sociale, non intervenendo adeguatamente nelle ferite aperte, esse non saranno feritoie di grazia ma cancrena sociale, che la camorra, astutamente e perfidamente, utilizzerà per i suoi iniqui scopi!

La politica deve dimostrare che lo Stato c’è. Non le forze dell’ordine, a cui va la nostra più profonda gratitudine, ma gli investimenti e il lavoro lo dimostreranno realmente. Guardiamo a San Giuseppe lavoratore, come esempio di gratuità, prossimità e fedeltà che ci insegna a fondare la casa, il nostro Paese, come ha fatto lui, cioè sulla solidità della fede e dei valori di giustizia, inclusione, reciprocità e cooperazione, per custodire con amore la famiglia, le città, le nostre terre con tutte le loro ricchezze e risorse. Le nuove strade occupazionali nascano da coscienze rinnovate che sanno spezzare il pane del presente, lottando perché a nessuno manchi il necessario e la dignità!"

I presenti

Ad accogliere Don Mimmo Battaglia ai Cantieri del Mediterraneo, tra gli altri, c'erano il presidente dell'Autorità portuale Andrea Annunziata, il comandante della Capitaneria di Porto amm. Pietro Giuseppe Vella, i rappresentanti dei sindacati Cgil, Cisl, Uil e Ugl (Nicola Ricci, Melicia Combierati, Giovanni Sgambati e Gaetano Panico), il responsabile della comunicazione della Comunità di Sant'Egidio Antonio Mattone, gli assessori al lavoro regionale Antonio Marchiello e comunale Chiara Marciani, il presidente designato dell'unione industriali di Napoli Costanzo Jannotti Pecci unitamente a diversi componenti della sua "squadra" .   

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