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Martedì, 23 Aprile 2024
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Web novel, Jesus: Capitolo 4

"Jesus" è una "Web Novel" che prende spunto dalle pubblicazioni editoriali del secolo scorso, quando gli scrittori pubblicavano i loro racconti sui quotidiani dell'epoca. Ogni mese, Napolitoday pubblicherà un nuovo capitolo di questa storia."Jesus" è una finestra su di una realtà dimenticata da tutti, quella del rione Traiano

“Che vuoi dire, Nunzia?”, rispose un dubbioso e spaesato Giuseppe.  

“Ma perché non rifletti mai?” -  lo incalzò Nunzia - “Con Tina in mezzo alle scatole, noi non saremo mai quelli che si occupano del figlio di Emanuele Falco. Finiremo con l'essere le balie della moglie fino a quando il marito non esce di galera. Sei il solito stupido!!”, concluse la donna.  

“E che dovrei fare, secondo te??” - domandò il sempre più avvilito Giuseppe - “Quella è la madre. È normale che voglia crescere il figlio. Come glielo togliamo da sotto?”.  

In un istante, tutta la gioia maturata nella conversazione con il fratello, si era dissipata come nuvole in una giornata ventosa. Adesso, nulla più del consuetissimo senso di inadeguatezza governava la sua mente e il suo corpo. Una sensazione a lui fin troppo nota.  

“La facciamo fuori!!” disse Nunzia, con occhi cui l’anima era già lungamente sfuggita.  

“Nunzia, ma che stai dicendo? Sei impazzita?”, rispose Giuseppe. Spaventato, atterrito, posto ora dinanzi a un’altra persona rispetto a quella che aveva sposato e che, certamente, l’aveva umiliato per tutta la vita, ma che mai aveva pronunciato simili e feroci parole.  

“Giuseppe, se il bambino cresce con noi, avremo un’importanza nella famiglia che non abbiamo mai avuto! Leviamoci Tina da mezzo. E poi vedrai come la vita cambierà davvero!”. 

Giuseppe non aggiunse altro. Calò il viso in direzione delle scarpe. Non sapeva cosa fare. Eppure, anche nella sua mente cominciava a prendere forma la convinzione che le parole della moglie corrispondessero a verità. Giuseppe non era uomo. Non era individuo. Era null'altro che una barca senza remi guidata da un mare in tempesta. E anche la risposta che ne seguì, non fu il risultato di un ragionamento personale, fu soltanto il frutto dell'imposizione di Nunzia e di tutta la spietatezza che ora la governava. 

“Non sto dicendo che non lo voglio fare... ma come possiamo eliminarla? Siamo all'interno di un ospedale, o l'hai dimenticato? I ragazzi di Emanuele stanno aspettando fuori”, disse Giuseppe, ormai pienamente divenuto il burattino inanimato mosso da fili che erano la volontà della moglie.  

“Dentro questo reparto ci siamo solo noi. Prima ho parlato col dottor Cravero. Basterà che tu gli faccia capire bene cosa deve fare. Vedrai, non ci vorrà niente”.  

Le parole di Nunzia non potevano essere più inoppugnabili di così. Emanuele Falco, per la venuta al mondo del figlio di Dio, aveva scelto il meglio del meglio che c'era sulla piazza. Il dottor Leonardo Cravero, infatti, era il miglior ginecologo che Napoli potesse offrire. Le due giovani figlie dell'uomo erano studentesse modello del Liceo del quartiere.  

Il dottor Cravero, non era soltanto un rinomato ginecologo; era anche una delle poche personalità illustri che caratterizzavano il rione Traiano. Tutti lo conoscevano e lo apprezzavano. E quando una persona è molto nota, diventa anche molto ricattabile. Bisognava avvicinarlo con fermezza ma ricattarlo non sarebbe stato difficile, e bisognava farlo il prima possibile.  

“Il medico ha detto che Tina è messa molto male. Se dobbiamo farlo, dobbiamo farlo adesso! Cravero sta cercando di salvarle la vita. Muoviti fallito! Caccia gli attributi che ti sono mancati per tutta la vita e dimostrami che ho sposato un uomo e non una donna!”.  

Giuseppe era saturo. Troppi erano stati gli insulti ricevuti in un frangente così breve (come potevano essere stati quegli attimi di discussione con la volgare moglie ma che, in fondo, non erano altro che lo specchio di una vita intera). Stava per ridestarsi in lui qualcosa che era rimasto latente da sempre. Una metamorfosi. Una evoluzione o una Epifania.  

Giuseppe spinse via la moglie. Le diede uno spintone, sì..., ma un gesto che non era di rigetto. O di negazione: bensì di profonda unanimità di pensiero. Alla violenza delle parole della moglie rispose con la violenza dei gesti.  

E Nunzia lo capì. Si erano intesi, per la prima volta, senza bisogno di aprire la bocca. Perché quell’accordo nasceva dall’unione delle menti, delle concezioni, del seguire la medesima rotta: quella della violenza, della sopraffazione, finanche della morte.  

“Levati da mezzo, ora, me la vedo io”. Furono le uniche parole che Giuseppe disse alla moglie, prima di allontanarsi dal suo raggio visivo infilandosi nel corridoio che conduceva alla terapia intensiva, dove Cravero stava dando fondo a tutte le sue conoscenze professionali maturate nei lunghi anni di carriera per salvare la vita di Tina.  

Nell’imboccare quel corridoio, lo sguardo di Nunzia, fino all'ultimo istante, non si allontanò dalla schiena del marito. Una visione che, fino a quel momento, mai le era parsa così interessante e conturbante. E che, a sua volta, le concedeva di immaginare per sé stessa una nuova percezione di personalità. E, in quel preciso istante, un ghigno si materializza sul suo volto. Un sorriso macabro, frutto di una soddisfazione mal riposta.  

Giuseppe, invece, una volta infilatosi nel corridoio, mostrava un incedere diverso, come un rinoceronte pronto alla carica, con un rivolo di sudore che colava dalla fronte. I passi erano rapidi e, in pochi secondi, il fratello del boss mise a fuoco l'obiettivo: il medico era in piedi davanti alla stanza di Tina, intento a esaminare la cartella clinica della donna. Giuseppe non attese neanche di aver raggiunto l'uomo e, quando mancavano cinque o sei metri al trovarvisi faccia a faccia, lo chiamò con sguaiata maleducazione.  

“Dottore!!”. 

“Perchè urlate?? Disse il medico con sguardo immediatamente divenuto più teso a causa dell’urlo gonfio di agitazione di Giuseppe.  

“Dottore vi devo parlare!”. Immediatamente cambiò il tono di Giuseppe; più basso, caldo, sicuro della propria posizione, certo delle proprie intenzioni, sicuro dell'esito positivo dell’atroce richiesta che da lì a un istante avrebbe raggiunto il dottore, insudiciandone le orecchie e annerendone la mente oltre ogni immaginazione”.  

“Come sta mia cognata?? Mia moglie ha detto che la situazione è preoccupante!”.  

“Stiamo facendo tutto il possibile per salvarle la vita! Non vi dovete preoccupare! Andrà tutto bene”.  

“Dottore, non sono io che mi dovrei preoccupare...”. 

“Mi sta minacciando? Non si permetta!! E non occorre assolutamente questo comportamento! Farò tutto ciò che è in mio potere per salvare la signora!”.  

“No dottore, è lei che ha frainteso quello che sto dicendo. Io non voglio affatto che salvi la vita a Tina. Anzi, voglio che la faccia morire!”.  

Le parole di Giuseppe, dirette, come la lama che lacera un ventre molle, erano state partorite dalla bocca del fratello del Dio del Rione Traiano con una tranquillità truce. Con una grande rapidità che era maschera della lenta agonia di ciò che rimaneva dell’anima umana di Giuseppe Falco. Un'anima che aveva assunto le fattezze di una carcassa abbandonata a imputridire sotto un sole cocente. Il sole falso del rione Traiano. Un sole capace soltanto di bruciare senza essere in grado di riscaldare.  

“Lei deve essere impazzito per chiedermi una cosa come questa! Se crede che mi farò intimidire da un delinquente come lei si sbaglia di grosso!!”.  

Chiarissime erano state le affermazioni del dottor Cravero. Parole limpide come il sole ma, allo stesso modo, altrettanto incerte. La sua voce era claudicante. Le parole balbettanti. Il corpo, involontariamente, volgeva all’indietro, quasi come se quelle gambe, rese inferme dalla paura, stessero per tradirlo lasciandolo cadere irrimediabilmente al suolo.  

Giuseppe aveva compreso il terrore del medico e questo lo rafforzava. La paura, ormai, aveva riempito ogni poro della pelle di Cravero, come un pozzo otturato durante un temporale in cui piovono larghe gocce di panico.  

“Dottore io non ho tempo! Non ho mai studiato nella vita! Tengo soltanto la quinta elementare! Voi, invece, siete un medico importante. Tutta Napoli vi conosce! Tutti sanno dove abitate, dove vanno a scuole le vostre figlie. Siete il medico migliore di tutta Napoli!! Sicuramente sapete come fare morire mia cognata senza destare sospetti!!”.  

“Ma non mi potete chiedere una cosa del genere... Io come faccio?? Io...”.  

“Dottore! Basta!! Ho capito che non volete ma è andata così. Non è colpa vostra e non è colpa neanche di quelle belle figlie che avete. Sarebbe davvero un peccato se succedesse loro qualcosa di brutto, non vi pare?? Forza. Andate a fare quello che vi ho chiesto, su!!”.  

Con fare sbruffone, Giuseppe disse queste parole al medico dandogli due leggeri buffetti sulla guancia. Un gesto tanto vile quanto le parole pronunciate pochi attimi prima.  

I due erano soli in quel corridoio. Emanuele Falco aveva già dato prova di quanto potesse ottenere il potere criminale del denaro, “prenotando” tutti i reparti della clinica di via Dell’Epomeo. Un gesto che, per il Dio del rione Traiano, rappresentava soltanto una richiesta anche banale. Una condizione privilegiata che non arricchiva neanche l’aura di onnipotenza che Falco pretendeva per sé stesso. Ciò che il boss non avrebbe mai potuto immaginare, però, è che quella esclusività sarebbe stata la condanna a morte della moglie. Nessuno, in quegli immortali istanti, infatti, era passato davanti a Cravero e a Giuseppe Falco, nel corso del loro dialogo. Nessuno a cui il medico avrebbe potuto rivolgersi, chiedere aiuto, o anche soltanto fare un cenno. Nulla di nulla. C'erano solo loro due in quel corridoio, a parlare dinanzi alla stanza di Tina, in un corridoio che, attimo dopo attimo, vedeva le proprie mura sempre più intrise della paura del medico.  

Cravero, per un istante, un solo attimo e nulla più, fece come se volesse aprire la bocca ancora una volta. Uno spasmo minimo che si rivelò fasullo. Immediatamente dopo, il capo si chinò affondando in una smorfia melanconica; rassegnata.  

Il medico si girò verso la stanza in cui Tina, intubata, stava riposando. Poi di nuovo verso Giuseppe. Poi, infine, verso il basso. Appoggiò la mano tremolante sulla maniglia della porta e, con un incedere lentissimo, entrò all’interno della stanza.  

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