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Vaccini Pfizer e Moderna, quali sono le differenze? Risponde l’immunologo del Cardarelli

“Entrambi sono basati sulla tecnologia a m-RNA e necessitano della dose di richiamo. Le differenze riguardano la temperatura di conservazione e le modalità di diluizione". L’intervista al dott. Andrea Del Mastro, specialista in Immunologia e Allergologia

Dopo l’approvazione del vaccino anti-Covid-19 di Pfizer BioNTech, l’Agenzia italiana del farmaco ha dato il via libera anche al vaccino di Moderna. L’ok dell’Aifa è arrivato poche ore dopo l’autorizzazione da parte dell’Agenzia europea per i medicinali. L’mRna-1273 (questo il nome del vaccino di Moderna), già somministrato negli Stati Uniti, in Canada e in Israele, è stato sviluppato in collaborazione con il “National Institute of Allergy and Infectious Diseases” (NIAID) diretto dall’immunologo statunitense Anthony Fauci. Le prime 46mila dosi arrivate in Italia il 12 gennaio saranno distribuite nei prossimi giorni alle regioni più virtuose (cioè quelle che hanno dimostrando maggiore efficienza nella somministrazione): tra queste c’è anche la Campania. Il 25 gennaio arriveranno altre 67 mila dosi, mentre tra l’8 e il 22 febbraio saranno consegnate prima 163 mila e poi 448 mila dosi. Il vaccino Moderna è molto simile a quello di Pfizer BioNTech, come ha sottolineato anche la stessa Aifa, ma presenta anche alcune differenze. A spiegarci entrambe è il dott. Andrea Del Mastro, specialista in Immunologia e Allergologia presso l’ospedale Cardarelli di Napoli.

- Dott. Del Mastro, entrambi i vaccini di Pzifer e di Moderna sono basati sulla tecnologia a m-RNA. Ci può spiegare cosa significa?

“Significa che entrambi contengono il ‘codice’ necessario per la produzione della proteina Spike, responsabile della rapida diffusione del SARS-CoV-2 nelle cellule umane. Questo “messaggio”, composto da nucleosidi, entra nel citoplasma della cellula (veicolato da una ‘capsula’ costituita da nanoparticelle liposomiali) e viene “tradotto” per l’assemblaggio della proteina. E’ contro tale proteina che viene sollecitata la risposta immunitaria: il vaccino prepara così l’organismo all’incontro col virus, riducendo in maniera significativa la possibilità di sviluppare malattia. Le due aziende farmaceutiche hanno optato per questo tipo di tecnologia vaccinale perché avrebbe garantito lo sviluppo del vaccino nel più breve tempo possibile”.

- Quali sono le altre similitudini tra i due vaccini?

“Entrambi non contengono il virus per intero e, dunque, non possono dar luogo a una vera infezione. Entrambi hanno mostrato una elevata efficacia e un elevato profilo di sicurezza. Inoltre, necessitano della dose di richiamo”.

- Quali sono, invece, le principali differenze tra i due?

Il vaccino di Pfizer deve essere conservato a temperature bassissime, -80° centigradi: questa caratteristica rende molto delicati i processi di stoccaggio, trasporto nonché la gestione delle sedute vaccinali. Il prodotto va scongelato in frigo a una temperatura tra i 2 e gli 8°: possono essere necessarie fino a 3 ore. Quindi, viene traportato a temperatura ambiente (tra i 2 e i 30°) nel luogo dell’inoculazione dove può resistere per non più di 2 ore. Va considerato, inoltre, che in frigo può resistere per non più di 5 giorni. Il vaccino di Moderna può, invece, essere conservato a temperature più alte, ovvero circa -20°, richiede tempi di scongelamento più brevi (2 ore e mezza in frigo o 1 ora a temperatura ambiente), e, una volta scongelato, presenta una maggiore resistenza nel tempo: le fiale integre possono, infatti, essere conservate fino a 30 giorni in frigo (tra 2 e 8°) o 12 ore al fresco (tra 8 e 25°), mentre, dopo il primo utilizzo, conservano la loro integrità per 6 ore a temperatura ambiente o in frigo. E’ evidente, dunque, che la differenza più importante tra i due vaccini è di tipo logistico, e la resistenza alle varie temperature va tenuta in considerazione per non sprecare le dosi. A proposito di queste ultime, esiste un’altra differenza: ogni fiala del vaccino Pfizer contiene 6 dosi, ciascuna da 0,3 ml, la cui estrazione, però, è molto delicata, poiché necessita di un passaggio in più per la diluizione (che consiste nell’iniettare 1,8 ml di soluzione fisiologica) e rende necessarie siringhe di alta precisione al fine di riuscire a ricavare le dosi complete. Ogni fiala contente il vaccino Moderna contiene, invece, 10 dosi, ciascuna da 0,5 ml, senza necessità di diluizione, e con un volume aggiuntivo tale da garantire, al momento dell’estrazione, l’effettivo prelievo di tutte le dosi (questo perché esiste un margine di imprecisione strumentale legato alle siringhe, comune a tutte le preparazioni di questo tipo)”.

- Il richiamo dopo quanto tempo viene fatto (in entrambi i casi)?

“Per il vaccino di Pfizer dopo 3 settimane, per quello di Moderna dopo 4 settimane”.

- Quando si acquisisce l’immunità protettiva?

“In entrambi i casi è stata dimostrata una significativa produzione di anticorpi già dopo una settimana dalla seconda dose, ma con differenze legate all’età, mentre dopo 2 settimane tali differenze si appianano. La capacità protettiva degli anticorpi è in corso di studio, poiché al momento non esiste un accertato correlato di protezione per il SARS-CoV-2, trattandosi di un virus nuovo. Però, se ragioniamo per analogia con tante altre infezioni, possiamo dire che i titoli anticorpali, in linea di massima, si possono considerare come un valido parametro di immunità”.

- L’efficacia e la tollerabilità dei due vaccini è la stessa?

“Possiamo rispondere con un sì, ma sono opportune alcune precisazioni. Della tollerabilità del vaccino Pfizer ne abbiamo già parlato prima. Riguardo il vaccino Moderna gli studi di fase 3 hanno dimostrato una elevata frequenza di reazioni locali nel sito di iniezione nonché di dolore dopo la puntura, e reazioni generali frequenti ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non gravi. Riguardo le reazioni allergiche, lo studio pubblicato sull’autorevole “New England Journal of Medicine” riporta un riscontro di ipersensibilità nell’1,5% dei soggetti vaccinati. Va da sé che va posta attenzione a quei soggetti con una nota sensibilizzazione ad una delle componenti note del prodotto, analogamente al vaccino Pfizer e a qualsivoglia vaccino. Questo è ancor più vero per i pazienti con storia di anafilassi severa. E’ importante, però, tenere presente che una storia di allergie, anche gravi, non costituisce una controindicazione a questi vaccini, anzi, pazienti con asma bronchiale allergico, che potrebbero andare incontro a grave insufficienza respiratoria in seguito a infezione da SARS-CoV2, dovrebbero vaccinarsi di corsa. In ultimo, vale la pena ricordare che entrambi i vaccini, non contenendo un virus vitale, possono essere somministrati a soggetti immunodepressi, o in trattamento con farmaci immunosoppressori (con alcune eccezioni), nonché ai pazienti affetti da malattie autoimmuni. Scendendo nei dettagli dell’efficacia, il vaccino Pfizer ha dimostrato un’efficacia del 95% dopo la somministrazione della seconda dose, mentre il Moderna del 94.1%: questo signifca che nei rispettivi studi di fase 3, pubblicati in letteratura, i vaccini sono riusciti a prevenire lo sviluppo della malattia grave indotta dal virus in 94-95 persone su 100. Più precisamente: nel caso di Pfizer, solo 8 casi su circa 20.000 hanno contratto il Covid-19; nel caso di Moderna solo 11 casi su circa 20.000. E’ un risultato incredibile che, unitamente al dato sulla sicurezza, non dovrebbe lasciare spazio a dubbi sulla decisione di dare il proprio assenso alla vaccinazione”.

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