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Sabato, 20 Aprile 2024
Salute

Tumore al seno, quando è ereditario e perché è importante fare il test genetico

"Il 10% dei casi totali di tumore al seno e il 25% dei tumori alle ovaie origina da mutazioni dei geni. Il test genetico è fondamentale per intervenire in tempo e alzare molto le probabilità di guarigione". L'intervista alla dott.ssa Matilde Pensabene, oncologa del Pascale

Il cancro al seno in Italia è il tumore più frequentemente diagnosticato nelle donne, in percentuale diversa a seconda dell’età. Secondo le stime AIRTUM-AIOM, ogni anno nel nostro Paese sono 55.500 i nuovi casi (55.000 donne e 500 uomini). Mentre il tumore dell'ovaio colpisce circa 5.200 donne ogni anno, secondo i dati del rapporto “I Numeri del Cancro in Italia, 2020”. Molti di questi - precisamente il 10% dei casi totali di tumore al seno e il 25% dei tumori alle ovaie - originano da mutazioni nei geni breast cancer genes 1 o 2, meglio conosciuti come BRCA1 e BRCA2. Si tratta di uno spettro di mutazioni ereditarie definite sindrome HBCO (dall’inglese Hereditary Breast and Ovarian Cancer Syndrome), perchè aumentano nelle persone portatrici il rischio di cancro al seno (in media del 72% con mutazione di BRCA1 e del 69% con mutazione di BRCA2) e di cancro ovarico (in media del 44% con mutazione di BRCA1 e del 17% con mutazione di BRCA2), incluso il cancro delle tube di Falloppio e il cancro peritoneale primitivo, ma anche di altri tipi tumore. “Per il gene BRCA1 - spiega a NapolToday la dott.ssa Matilde Pensabene, oncologa dell’Istituto dei Tumori Pascale -, il rischio di ammalarsi riguarda sostanzialmente solo seno ed ovaie, inoltre mutazioni nel gene BRCA1 sono frequentemente associate al tumore della mammella triplo negativo (un tumore molto aggressivo). Una mutazione del gene BRCA2 conferisce invece un rischio di ammalarsi di tumore al seno ed alle ovaie, ma in misura minore di melanoma della cute e dell’occhio (molto raro), di tumore gastrico e di tumore pancreatico. Si tratta comunque di patologie tumorali rare anche per il soggetto che ha una mutazione. Per il maschio una mutazione di questi geni conferiscono un rischio di ammalarsi di tumore della mammella e della prostata, seppur in maniera molto più contenuta rispetto alle donne”.

Essendo, dunque, l’HBCO una condizione ereditaria, il rischio di cancro dovuto a una mutazione dei geni BRCA può essere trasmesso da madre/padre in figlia/o a prescindere dal sesso. Inoltre, la sindrome è autosomica dominante, ciò significa che è sufficiente che una sola delle due copie del gene in questione sia “difettosa” (nelle cellule i geni sono presenti in due copie) per avere un rischio aumentato di cancro. Una persona con una copia mutata del gene e una normale ha il 50% di possibilità di trasmetterla ai figli. Pertanto, conoscere lo stato mutazionale di questi due geni, attraverso un test genetico specifico (il test BRCA), è fondamentale per avviare in tempo programmi di sorveglianza intensiva ed intervenire con la chirurgia profilattica nelle persone ad alto rischio.

Dott.ssa Pensabene, in cosa consiste il test genetico BRCA, e a chi viene raccomandato?

“Per effettuare il test genetico è sufficiente un prelievo di sangue, proprio come quando bisogna valutare l’emocromo. Le tecniche di laboratorio per l’analisi genetica ovviamente sono molto più sofisticate rispetto all’emocromo e richiedono laboratori “qualificati” con biologi molecolari “esperti”. Per le pazienti con tumore dell’ovaio, l’oncologo può far effettuare il test genetico anche sul campione tumorale; qualora venisse identificata una mutazione sul tessuto tumorale, viene richiesto di effettuare un prelievo di sangue per valutare se quella mutazione è ereditaria e/o ereditabile in quanto trasmissibile ai figli”.

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Cosa devono fare i pazienti che risultano positivi al test? Cosa prevedono le linee guida?

“Per fortuna, in oltre 20 anni dalla scoperta dei geni BRCA1/2 sono stati fatti molti progressi dal punto di vista delle conoscenze in questo settore. I soggetti portatori di una mutazione genetica possono seguire programmi ad hoc di prevenzione, che prevedono la sorveglianza clinico-strumentale intensiva e/o la chirurgia di riduzione del rischio. Ovviamente, è opportuno rivolgersi a centri specializzati per la gestione dei soggetti con tumori eredo-familiari. Noi, al Pascale ad esempio abbiamo un gruppo oncologico multidisciplinare (GOM) che è composto da professionisti con specifica competenza nel settore dei tumori eredo-familiari. Inoltre, a livello regionale esistono numerose strutture ospedaliere e convenzionate presso cui effettuare gli esami previsti per i soggetti a rischio, usufruendo dell’esenzione ticket grazie al decreto 100 del 2019”.

Quando si ricorre alla chirurgia profilattica?

Per il rischio di tumore ovarico l’unica strategia vincente, in quanto mostra di essere efficace da un punto di vista preventivo, è la salpingo-ovariectomia profilattica (cioè l’asportazione preventiva di tube e delle ovaie) che abbatte il rischio oncologico del 90%. Va effettuata dai 35 anni ed entro i 40 anni per le carrier BRCA1, dai 40 anni ed entro i 45 anni per le carrier BRCA2 in quanto determina una riduzione del rischio oncologico, ma è gravata da una menopausa precoce. Si cerca di raggiungere un compromesso tra la riduzione del rischio oncologico e le conseguenze di una menopausa indotta molto precocemente. In attesa di raggiungere l’età ottimale, le donne possono utilizzare la pillola anticoncezionale, come farmacoprevenzione in quanto ha mostrato di ridurre del 50% il rischio di tumore ovarico senza impattare negativamente sul rischio di tumore mammario. Bisogna non demonizzare l’uso della pillola anticoncezionale nelle donne carrier, perché esistono studi che ne dimostrano l’efficacia preventiva. Per quel che concerne invece la doppia mastectomia di riduzione del rischio (asportazione delle mammelle), è altrettanto una strategia valida di prevenzione. Tuttavia, la prevenzione secondaria ovvero quella fatta con esami periodici (mammografia, ecografia mammaria e risonanza magnetica delle mammelle) è altamente efficace nel consentire diagnosi precoci”.

Come devono comportarsi le figlie/i figli di genitori con mutazione BRCA? A quale età deve sottoporsi al test ed entrare eventualmente nei programmi di follow-up?

“Il test genetico BRCA va fatto dopo i 18 anni, in quanto non sono riportati rischi oncologici in età pediatrica (quindi le madri carrier debbono essere rassicurate rispetto ai propri bambini). I controlli iniziano dai 25 anni o da 10 anni prima del caso più giovanile in famiglia, e vanno effettuati con frequenza semestrale. La sorveglianza intensiva presuppone un appuntamento con la prevenzione due volte l’anno. Per i maschi i controlli devono iniziare dai 40 anni e vanno effettuati con frequenza annuale”.

Quali sono i centri di riferimento a livello regionale per chi vuole intraprendere questo tipo di screening?

“La Regione Campania è all’avanguardia in questo settore sia per la possibilità di effettuare gratuitamente il test genetico sia per la possibilità di sottoporsi a programmi preventivi gratuiti. E’ prevista l’esenzione dal ticket. Il territorio regionale è coperto quasi completamente in quanto vi sono GOM per tumori eredo-familiari pressoché in tutte le grandi strutture pubbliche. Vi è un GOM dedicato all’INT G. Pascale, Azienda Ospedaliera Federico II, l’Università Vanvitelli, l’Azienda Ospedaliera Universitaria del Ruggi d’Aragona di Salerno, l’AORN Moscati di Avellino, e, di recente, anche presso l’ospedale Cardarelli. Per garantire un’omogeneità nella gestione dei soggetti a rischio, gli esperti a livello regionale hanno redatto il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) che di recente è stato rieditato per essere al passo con gli avanzamenti delle conoscenze in accordo con le linee guida nazionali ed internazionali”.

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