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Terza dose e soggetti fragili, De Feo: “Si dia priorità ai ‘non responders’”

“Quei pochi soggetti che, nonostante si siano vaccinati, finiscono in ospedale per una infezione da Covid, fanno parte quasi sicuramente del 10-15% di “non responders” che, essendo non protetti, corrono gli stessi rischi dei No-Vax”. L’intervista all’ex Direttore del Centro Diabetologico del Cardarelli

Con la somministrazione delle terze dosi di vaccino anti-Covid si partirà il 20 settembre. A comunicarlo il ministro della Salute Roberto Speranza di concerto con il Commissario per l'Emergenza Covid Francesco Paolo Figliuolo. Si comincerà con l’inoculazione di dosi Pzifer e Morderna alla platea degli immunodepressi (circa 3 milioni), che comprende, tra gli altri, pazienti trapiantati, oncologici e con patologie autoimmuni, per poi procedere con gli altri soggetti fragili, gli ospiti delle Rsa e gli ultraottantenni. “I più fragili in assoluto - spiega il Prof. Eugenio M. De Feo - sono i soggetti immunodepressi perchè, avendo una capacità ridotta di attivare sia la prima difesa immunitaria rapida, gli anticorpi, che quella secondaria più lenta, la cellulare, corrono dei rischi maggiori se dovessero incontrare il virus quando sono trascorsi più di 6-9 mesi dal termine del ciclo vaccinale”.

La terza dose è, quindi, necessaria soprattutto per i soggetti fragili perché il livello degli anticorpi contro il Sars-CoV-2, indotto dalla vaccinazione, progressivamente si riduce nel corso dei mesi. Mentre su questo gli esperti sono concordi, sulla sua utilità per le categorie a rischio restano divisi. C’è chi ritiene che la terza dose vada fatta solo ove sia necessario e in determinate condizioni; c’è chi, anche nel caso degli immunodepressi, crede sia opportuna la terza dose sulla base di una valutazione della risposta anticorpale individuale, attraverso un test sierologico; c’è chi è favorevole a una somministrazione graduale della terza dose che coinvolga tutta la popolazione ma che parta dai più fragili. Ma cosa accade a distanza di 6-9 mesi dal termine del ciclo vaccinale con due dosi? Perché i soggetti fragili necessitano con priorità di un nuovo richiamo? Chi sono i “non responders"? Abbiamo fatto il punto con il Prof. Eugenio M. De Feo, ex Direttore del Centro Diabetologico del Cardarelli e consulente scientifico della FAND (Associazione Italiana di Diabetologia).

Prof. De Feo, tra qualche giorno si partirà con i richiami del vaccino. Perché la terza dose è necessaria?

“Per accrescere nuovamente nel sangue il numero di anticorpi contro il virus. Gli anticorpi circolanti costituiscono la difesa di rapido intervento contro un’infezione, sono loro che rendono quasi impossibile la replicazione virale in caso di contatto con un soggetto infetto. Il nostro corpo ha, comunque, anche una seconda linea di intervento, quella cellulare, che si attiva quando ci si vaccina o si ha il contatto con il virus in seguito ad infezione. Questa seconda linea costituisce la vera memoria immunitaria, che dura più a lungo, ma, in caso di nuovo contatto con il virus, è un pò più lenta ad intervenire. Questo ritardo di intervento fa sì che, in caso di nuovo incontro con il virus a molti mesi di distanza dal ciclo vaccinale, si va incontro ad un periodo della durata di pochi giorni in cui il virus può replicarsi all’interno dell’organismo e in quella persona, pur essendo vaccinata e, pur correndo pochissimi rischi di una infezione sintomatica o grave, può infettare altre persone e, se esegue un tampone nasofaringeo può risultare positiva ma lo sarà solo per pochi giorni. E’ bene ribadire, viste le recenti affermazioni allarmistiche di alcuni politici, che non è certo il vaccino che determina l’insorgenza di varianti virali resistenti, bensì il perdurare nella popolazione di un virus che continua a replicarsi: è per questo che si pensa di ricorrere alla terza dose di richiamo.

Cosa accade alla memoria immunitaria a 6/9 mesi di distanza dalla fine del primo ciclo vaccinale, in particolare nei soggetti fragili?

“Non c’è nessuna differenza rispetto agli altri soggetti e, quindi, anche in questi soggetti si ha una progressiva riduzione degli anticorpi circolanti e si rimane protetti solo dalla seconda linea di difesa, quella cellulare, più lenta. Questo, in una persona in buona salute, difficilmente costituisce un pericolo perché, sia pure un pò in ritardo, gli anticorpi verranno di nuovo prodotti in grande numero ed il virus viene sconfitto in pochi giorni senza che la persona corra il rischio di una infezione grave o di complicazioni. Nelle persone fragili, però, anche questa infezione di lieve entità e durata potrebbe portare dei problemi perché le altre patologie preesistenti potrebbero aggravarsi. I più fragili in assoluto sono poi i soggetti immunodepressi che, avendo una capacità ridotta di attivare sia la prima difesa immunitaria rapida, gli anticorpi, che quella secondaria più lenta, la cellulare, corrono dei rischi maggiori se dovessero incontrare il virus quando sono passati più di 6-9 mesi dalla fine del ciclo vaccinale”.

I primi a ricevere la terza dose di richiamo saranno, quindi, i pazienti fragili. In questa categoria rientrano anche i diabetici?

“Sì, intendendo soprattutto i diabetici anziani tipo 2, che sono la maggioranza, o anche i pochi diabetici tipo 1 più avanti negli anni o con complicanze gravi. La loro fragilità non è attribuibile alla patologia diabetica in maniera diretta, ma alla compromissione di organi vitali che spesso si osserva nelle persone che hanno un diabete mal curato da molti anni”.

Lo stesso discorso fatto per i diabetici di tipo 2 vale, quindi anche per i diabetici di tipo 1?

“No, i diabetici tipo 1 non si possono considerare immunodepressi, per lo più sono giovani e se non hanno già compromissione di organi vitali si comportano come i soggetti non diabetici di pari età. In caso di infezione virale in un diabetico tipo 1 già vaccinato, poiché l’infezione dovrebbe essere di lieve entità e di breve durata, l’unico fastidio, per pochi giorni, potrebbe essere solo una certa irregolarità nelle glicemie”.

Negli ultimi mesi si è parlato spesso dei “non responders", persone nelle quali i vaccini hanno effetto scarso o nullo. Cosa significa? Questi soggetti non sono protetti?

“Si sa che i vaccini attuali, anche quelli più efficaci, lasciano non protetti un 10-15% di soggetti dopo un primo ciclo vaccinale completo. L’assenza assoluta di anticorpi nel sangue dopo 20-30 giorni dal completamento del ciclo vaccinale è ciò che caratterizza questi soggetti. Queste persone dovrebbero, a mio parere, avere al più presto una terza dose e, se non sufficiente anche una quarta, soprattutto se sono soggetti fragili o anziani. Quasi sicuramente quei pochi soggetti che, nonostante si siano vaccinati, finiscono in ospedale per una infezione da COVID fanno parte di questo 10-15% di “non responders” che, essendo non protetti, corrono gli stessi rischi dei No-Vax”.

Quanto conta il numero di anticorpi? E’ un indicatore importante?

“Sì, ma non come spesso viene erroneamente interpretato dalla maggior parte delle persone. Avere un numero assente o ridottissimo di anticorpi a breve distanza dall’ultima dose di vaccino può essere indice di mancata immunizzazione (“non responders”) o di presenza di immunodepressione importante. Avere, invece, una discreta produzione di anticorpi a breve distanza dalla vaccinazione è un segno certo di avvenuta immunizzazione. Il fatto che in alcune persone la presenza di anticorpi si riduce più o meno velocemente a distanza di mesi dal vaccino non vuol dire che il vaccino non è stato efficace, semplicemente rientra nella normale differenza fra individuo ed individuo. Come spiegato prima, ciò che è importante ai fini di un ridotto rischio di malattia grave in caso di incontro con il virus è che si sia creta una memoria immunitaria, quella cellulare, che non è strettamente correlata con il numero di anticorpi presenti in circolo. Quindi, ripetere in continuazione l’esame sierologico per valutare di quanto si riducono gli anticorpi non serve a niente una volta che si è accertato che una risposta anticorpale iniziale vi è stata”.

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