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Giovedì, 28 Marzo 2024
Salute

Covid-19 e malattia di Kawasaki nei bambini, esiste un legame? Rispondono gli esperti

“Un incremento di casi è stato segnalato nelle aree più colpite dall'epidemia, ma non c’è il rischio di una nuova emergenza”. L’intervista al dott. Pasquale Di Costanzo, al Prof. Alfredo Guarino e alla Prof.ssa Maria Alessio, specialisti del Policlinico Federico II di Napoli

L’infezione da Sars-CoV-2 colpisce meno frequentemente i bambini e gli adolescenti, e con un andamento molto meno grave rispetto a quello osservato negli adulti. E’ questo l’unico dato certo confermato dagli scienziati che stanno studiando l’andamento epidemiologico del Covid-19. A minare, però, nelle ultime settimane, questa “certezza” è stato l’aumento di casi, nelle aree del mondo più colpite dal nuovo Coronavirus, di bambini ricoverati in terapia intensiva a causa di rare sindromi infiammatorie multisistemiche, assimilabili a quella di Kawasaki. I sintomi manifestati nei piccoli pazienti dipenderebbero da una violenta risposta immunitaria da parte dell’organismo. Questo fenomeno ha fatto riflettere sull’esistenza di una possibile connessione tra la sindrome di Kawasaki e il Covid-19, poiché molti dei bambini ricoverati sono risultati positivi al virus. La sindrome infiammatoria potrebbe essere, quindi, una risposta tardiva a un’infezione passata. Per fare chiarezza sull’argomento abbiamo raggiunto telefonicamente il dott. Pasquale Di Costanzo, pediatra, infettivologo perinatale del Policlinico Federico II, nonchè esperto ministeriale in Sanità, il quale ha risposto alle nostre domande ricorrendo al contributo scientifico del Prof. Alfredo Guarino (Direttore della Scuola di Specializzazione in Pediatria dell’Università Federico II, e responsabile dell’unica unità assistenziale pediatrica Covid realizzata in Campania) e della Prof.ssa Maria Alessio (responsabile del centro di riferimento della Regione Campania per le malattie reumatiche pediatriche del Policlinico Federico II) per fornirci un quadro più esatto e completo della situazione epidemiologica della Regione Campania per quanto riguarda l’età pediatrica.

- In questi giorni si sta parlando molto della sindrome di Kawasaki (una malattia rara che colpisce i bambini in età pediatrica) e della sua possibile connessione al Covid-19. Di che malattia si tratta e con quali sintomi si manifesta?

“La malattia di Kawasaki fu descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone dal pediatra Tomisaku Kawasaki, da cui prende il nome. Si tratta di una vasculite febbrile che colpisce le arterie di media e piccola dimensione di tutto il corpo, con particolare aggressività sulle coronarie, che a causa dell’infiammazione possono andare incontro in alcuni tratti a dilatazioni (aneurismi). Pur diffusa in tutto il mondo, è più comune nei bambini asiatici, soprattutto giapponesi, e molto rara nelle etnie originarie dell'Africa subsahariana. L’incidenza è maggiore in tardo inverno e inizio primavera. Sono leggermente più colpiti i maschi. Interessa bambini da 0 a 8 anni, soprattutto sotto i 4-5 anni (80%) e in particolare il 50% dei casi è sotto i 2 anni, ma solo il 2-10% dei bambini colpiti è sotto i 6 mesi. E’ rara in lattanti sotto i 4 mesi e negli adolescenti. La causa è sconosciuta, probabilmente si tratta di una risposta immunologica anomala a un’infezione, in bambini geneticamente predisposti. Sintomo cardine è la febbre molto elevata (39-41 °C) resistente al trattamento antibiotico e ai farmaci antipiretici, della durata di più di cinque giorni, con aspetto sofferente, e vari altri sintomi: congiuntivite bilaterale con arrossamento degli occhi senza secrezione, alterazioni delle labbra e della bocca (arrossamento, secchezza, fissurazioni, croste, lingua a fragola o violacea, faringite), eruzione cutanea diffusa, anomalie delle estremità (eritema del palmo delle mani e della pianta dei piedi color rosso porpora, edema duro al dorso delle mani e dei piedi, tumefazioni delle dita, durante la seconda settimana di malattia, desquamazione lamellare delle dita delle mani e dei piedi), tumefazione dei linfonodi del collo (monolaterale), di consistenza dura e dolente alla palpazione”.

- Fino ad ora i bambini sono stati considerati tra i soggetti meno a rischio di contagio da Sars-CoV-2. Negli ultimi giorni, però, c’è stato un aumento di casi di bambini con sindrome di Kawasaki, in quelle aree più colpite dal virus, che ha determinato un aggiornamento delle conoscenze sul fronte dell’età pediatrica. Ci sono casi in Italia?

“In letteratura è riportato un solo caso in California. Nelle ultime settimane è stato segnalato dai giornali, nelle zone dell’Italia e della Gran Bretagna più colpite dall’epidemia da SARS-COV-2, un incremento di casi di malattia di Kawasaki, spesso con un quadro clinico incompleto o atipico, resistenza al trattamento con immunoglobuline endovena e tendenza a complicarsi con la sindrome di attivazione macrofagica, che ha richiesto, in alcuni casi, trattamenti di seconda linea (farmaci biotecnologici anti IL1) e il ricovero in terapia intensiva pediatrica. Una quota di questi bambini ha presentato, in occasione del ricovero o nelle settimane precedenti all’esordio, un tampone positivo per l’infezione da SARS-COV-2 o contatti con pazienti affetti, o positività alla sierologia per il Coronavirus. Si ritiene che il virus SARS-COV-2, scatenando una reazione infiammatoria abnorme, possa favorire il manifestarsi, in soggetti predisposti, di altre malattie su base infiammatoria, anche a distanza di tempo dall’infezione, come la Kawasaki”.

- Cosa si sa al momento del possibile collegamento tra sindromi infiammatorie, come la malattia di Kawasaki, e presenza del virus in bambini che hanno già superato il decorso della malattia da Sars-CoV-2?

“Al momento non risultano pazienti in Campania con pregressa infezione da SARS-CoV 2. Comunque non c’è alcuna evidenza scientifica che stabilisca una correlazione tra le due patologie”.

- In Italia abbiamo avuto due decessi in età pediatrica legati al Covid-19 (si è trattato, però, di bambini già compromessi). Quanti bambini campani, affetti da Sars-CoV-2, avete trattato al Policlinico e quanti ne avete in cura al momento?

“Ne abbiamo ricoverati 10. Ne abbiamo seguito circa 30 in telemedicina. Adesso ne stiamo gestendo 4, di cui uno ricoverato”.

- Qual è l’evoluzione della malattia nei bambini? E’ diversa rispetto all’evoluzione nell’adulto?

“In base ai dati ad oggi disponibili, raccolti da una completa revisione sistematica a cura dell’Università di Pavia pubblicata su Jama Pediatrics, l’infezione da SARS-CoV 2 sembrerebbe colpire meno frequentemente i bambini e gli adolescenti (0-19 anni) e decorrere con un andamento molto meno grave e letale di quello riportato in età adulta. La prevalenza in età evolutiva è riportata nella casistica cinese pubblicata su Jama in una percentuale inferiore all’1% da 0 a 10 anni, che arriva al 2% se si considera l’età fino a 19 anni; anche le casistiche italiane al 30 marzo riportano percentuali analoghe nella fascia 0-19 anni (1,4%). Tutta l’età evolutiva può essere colpita, dall’epoca neonatale all’adolescenza. Le casistiche cinesi riportano, a differenza che negli adulti, solo una lieve prevalenza del sesso maschile. Il contagio avviene soprattutto in famiglia: i bambini affetti sono probabilmente sempre casi sentinella di contagi intra-familiari. L’incubazione è riportata essere nei bambini mediamente di 5 giorni (range 2-14 giorni). La guarigione clinica si ha di solito in 1-2 settimane. Nei report cinesi, i casi asintomatici tra i bambini vanno dal 4 a oltre il 15%. In uno studio cinese, il 90% dei casi pediatrici aveva sintomi lievi o moderati, il 5% importanti con dispnea, cianosi, ipossia, e lo 0,6% pericolosi per la vita; in un altro studio cinese, solo l’1.7% dei casi ha avuto insufficienza respiratoria che ha richiesto terapia intensiva (bambini con condizioni patologiche gravi preesistenti). I sintomi più comunemente riportati nelle varie casistiche infantili sono febbre, tosse secca, faringite, rinite, astenia, dolori muscolari, cefalea, nausea, vomito e diarrea, difficoltà di alimentazione, ipersonnia, manifestazioni cutanee”.

- Come mai nel bambino non si arriva quasi mai alla fase iper-infiammatoria?

“Non è chiaro perché i bambini siano meno esposti degli adulti. Si avanzano diverse ipotesi: diversa espressione dei recettori ACE2 attraverso cui il virus entra nelle cellule, maggiore risposta immunitaria innata, migliore risposta linfocitaria verso l’infezione virale, livelli più elevati di anticorpi contro altri Coronavirus umani (responsabili di comuni raffreddori), minore tendenza all’infiammazione sistemica (minor produzione di IL-6, che è implicata nella risposta iper-infiammatoria che ha effetti devastanti), protezione da parte dei vaccini del normale calendario vaccinale, presenza simultanea di altri virus che replicano nelle mucose del tratto respiratorio con effetto competitivo, minor esposizione al fumo di sigaretta. Per la diagnosi, il tampone rino-faringeo spesso può essere falsamente negativo nei bambini, per cui, in caso di forte sospetto diagnostico, è necessario ripeterlo oltre a integrarlo con esame sierologico ed eventualmente ricerca del virus anche su campione di feci. In caso di sospetto diagnostico (bambino con sintomatologia compatibile con infezione da COVID-19 ed esposto a familiare/convivente accertato o a provenienza da focolaio di contagio), il pediatra curante del bambino deve mettersi in contatto col centro di riferimento identificato dalla Regione, che, attraverso un numero telefonico dedicato, stabilisce l’indicazione a far condurre il piccolo presso il centro COVID ed eventualmente ricoverato o gestirlo al proprio domicilio in isolamento”.

- Tornando alla sindrome di Kawasaki, quali sono i segnali a cui un genitore deve prestare attenzione? In caso di sintomi sospetti cosa deve fare? A quali test viene sottoposto il bambino?

“Febbre molto elevata resistente al trattamento antibiotico e ai farmaci antipiretici, della durata di più di cinque giorni. La diagnosi è solo clinica, non esiste un test di laboratorio specifico. Sono comuni reperti di laboratorio: leucocitosi neutrofila, aumento di VES e PCR, aumento di AST e ALT, aumento del fibrinogeno, lieve anemia, ipoalbuminemia, aumento delle gammaglobuline, nelle urine proteinuria e leucocituria; piastrinosi nella seconda-terza settimana. Nel sospetto di malattia di Kawasaki può essere utile ecocardiogramma per valutare la presenza di aneurismi coronarici”.

- Quali possono essere le complicazioni legate a questa sindrome?

“Le complicanze cardiache, prevalentemente aneurismi coronarico, si verificano nel 5-25% dei casi non trattati. La diagnosi e il trattamento con Ig EV entro 10 giorni dall’inizio della febbre riducono sensibilmente l’incidenza delle complicanze”.

- Si guarisce dalla malattia di Kawasaki? Qual è la terapia e il decorso della malattia?

“La Malattia di Kawasaki è una patologia autolimitantesi, i cui sintomi si esauriscono in 3-4 settimane. La terapia si basa sulla combinazione di immunoglobuline per via endovenosa e aspirina per via orale a dosaggio antinfiammatorio. Nei casi resistenti al trattamento con immunoglobuline è indicato l’uso del cortisone o anche di farmaci biotecnologici anti TNF alfa (infliximab) o anti IL1 (anakinra). Se non vi sono complicanze cardiache si guarisce completamente”.

- L’aumento di casi di bambini affetti dalla sindrome di Kawasaki potrebbe dare inizio a una nuova emergenza?

“No, non esistono le condizioni”.

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