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La senatrice Castellone: "Stretta relazione tra transizione ecologica e sanità"

"Salute dell’uomo e salute della Terra sono indissolubilmente connesse e per costruire una “Sanità 4.0” non possiamo prescindere dalla sostenibilità ecologica. Bisogna puntare dunque ad un approccio “one health”, che leghi salute, benessere, ambiente e clima"

"E’ da troppi anni che viviamo come se avessimo un obiettivo di produzione da raggiungere e infinite risorse a disposizione. Peccato però che questo modo di concepire la vita ha messo in pericolo il nostro Buon Pianeta e le risorse a disposizione sono ormai esaurite". Parte da qui la riflessione sul rapporto tra transizione ecologica e sanità territoriale a firma della senatrice M5S Mariolina Castellone.

"L’80% di quello che produciamo oggi diventa rifiuto, alterando profondamente l’equilibrio dell'ecosistema in cui viviamo.
Anno dopo anno, abbiamo aumentato l’obiettivo di produzione perché il nostro vecchio modo di concepire la vita prevede che l’anno corrente debba essere più produttivo di quello precedente. 
Per tenere il passo, abbiamo sottratto ad altri essere viventi, animali e vegetali, intere aree geografiche costringendoli a vivere in spazi sempre più ristretti ed agevolando la diffusione di zoonosi, come la Covid-19, che si trasmettono attraverso virus da diverse specie animali all’uomo. 

Salute dell’uomo e salute della Terra - spiega la senatrice - sono indissolubilmente connesse e per costruire una “Sanità 4.0” non possiamo prescindere dalla sostenibilità ecologica. Bisogna puntare dunque ad un approccio “one health”, che leghi salute, benessere, ambiente e clima. 
Primo obiettivo del nuovo paradigma di cura delle persone deve essere rafforzare la prevenzione per mettere in atto finalmente quell'idea di medicina di iniziativa (che anticipa l'insorgenza delle malattie) antitetica della medicina di attesa (che cura malattie già sopraggiunte).
In primis la prevenzione primaria e la promozione della salute, intesa come educazione ai corretti stili di vita, alla corretta alimentazione e all’attività fisica. 
Una popolazione poco consapevole dei rischi che corre tenderà ad ammalarsi di più e ad impattare sul SSN aumentando la percentuale di casi che richiedono ospedalizzazione, che vuol dire anche impattare sull’ambiente (gli ospedali sono tra le strutture più inquinanti). 
Indispensabile è dunque l’integrazione dei dati ambientali con quelli sanitari per facilitare la sinergia tra i servizi di prevenzione del Servizio Sanitario Nazionale con le agenzie del Sistema Nazionale Protezione Ambiente. 

Un significativo passo in avanti in questa direzione è stato fatto con l'approvazione della legge, targata Movimento 5 Stelle, che istituisce la rete nazionale dei registri tumori ed il referto epidemiologico (legge n.29, 2019). Questo strumento, una volta attivo, sarà fondamentale non solo per il monitoraggio dei dati sanitari correlati a quelli ambientali, ma soprattutto per mettere in atto percorsi virtuosi di prevenzione secondaria e controllo delle malattie, visto che ancora oggi siamo un Paese con adesione agli screening purtroppo ancora troppo bassa e non possiamo permetterci di continuare a non avere registri dei malati fragili, quali quelli oncologici. La mancanza di registri dei soggetti fragili ha certamente contribuito a generare in questa pandemia il paradosso di aver messo in pericolo proprio i cittadini che invece andavano protetti. 
Oltre alle patologie oncologiche è provato che le condizioni ambientali favoriscano l'insorgenza di numerose patologie, quali quelle cardiovascolari e respiratorie.
L'aumento delle malattie nella popolazione comporta un maggiore bisogno di cura e le cure oggi sono offerte quasi esclusivamente in ospedale. L’aver accentrato in questi anni tutta l’assistenza sanitaria a livello ospedaliero ha  provocando l’incremento esponenziale della mortalità per mancata diagnosi e cura di patologie oncologiche a causa della sospensione dell’attività ambulatoriale e di ricovero ordinario avvenuta durante l’emergenza Covid.
Già nel 2010, un'indagine sugli ospedali americani condotta da “Slate Magazine” rivelava che tutti gli ospedali del mondo producono ben 5,2 milioni di tonnellate di spazzatura ogni anno.

Sono trascorsi dieci anni da allora e in Italia abbiamo continuato a costruire sistemi di assistenza sempre più ospedalo-centrici. I nostri mega ospedali producono rifiuti assimilabili a quelli urbani insieme ai rifiuti sanitari a rischio infettivo e a quelli che richiedono particolari percorsi di gestione. 

Si crea quindi un circolo vizioso: inquinamento - aumento delle malattie - più ricoveri - potenziamento degli ospedali - più inquinamento.

Il nostro Buon Pianeta è davvero in pericolo. 

Non è un caso infatti se 40 milioni di medici provenienti da tutto il mondo hanno firmato una lettera per chiedere ai leader del G20 di adottare misure immediate a tutela della salute del pianeta. 

Come mettere in sicurezza la nostra salute partendo dal rispetto dell'ambiente?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che declina i progetti del Piano di Rilancio Europeo, finanziato con ben 210 miliardi di euro, ci offre l'occasione ideale per mettere in atto questa "rivoluzione mite", partendo dalla transizione ecologica e dal progetto salute, che sono due delle sei missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Punto di partenza di questa rivoluzione nei servizi per la cura delle persone dovrà essere l'assistenza domiciliare attraverso attività di telemedicina e in collegamento con le Case di Comunità.
Potenziando l'assistenza medica sul territorio, a domicilio o in prossimità del luogo in cui si vive, si ridurrà la necessità di dover ricorrere ai ricoveri in ospedale, senza più bisogno di sottoporre i pazienti allo stress di un viaggio o del dover abbandonare la  propria casa.
Gli ospedali resteranno i luoghi in cui fornire cure altamente specialistiche. Ma gli ospedali del futuro dovranno essere riconvertiti in chiave ecologica: prediligendo materiali rinnovabili, biologici, riciclabili, biodegradabili; adottando l’uso di dispositivi riutilizzabili; rinunciando ai prodotti inutili, di bassa qualità e agli acquisti ingiustificati; riducendo gli imballaggi anche adottando soluzioni nanotecnologiche per produrre elementi di arredo con proprietà antibatteriche, autopulenti ed anti-inquinanti.

Il principio della transizione ecologica, cui ci siamo ispirati per tracciare la rotta da qui al 2050, parte da un concetto semplice: guardiamoci intorno e ripristiniamo l’armonia mettendo al centro la vita e la persona. Vale anche per la sanità e più in generale per il concetto di salute, per tutelare la quale dobbiamo offrire ai cittadini le cure di prossimità, ossia quelle che possono ricevere guardandosi intorno, nel territorio di residenza, consumando meno e raggiungendo un benessere migliore ed una migliore qualità di vita. 
Al centro di questo nuovo modello di sanità ci sono le “Case di Comunità”. Che cosa sono?
Sono dei luoghi di assistenza socio-sanitaria in cui andranno ad operare i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i medici del territorio e  tutti gli specialisti utili a seguire pazienti cronici, fragili ed anziani vicino al loro domicilio per garantire ai cittadini un’assistenza facilmente accessibile, 24 ore su 24.

Il Ministero della Salute e tutte le istituzioni sanitarie la definiscono così: “La Casa di comunità è da intendersi come la sede pubblica dove trovano allocazione, in uno stesso spazio fisico, i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie, ivi compresi gli ambulatori di Medicina Generale e Specialistica ambulatoriale, e sociali per una determinata e programmata porzione di popolazione. In essa si realizza la prevenzione per tutto l’arco della vita e la comunità locale si organizza per la promozione della salute e del benessere sociale.”

Viviamo in una società sempre più longeva grazie ai progressi scientifici e al grande contributo dei farmaci innovativi e della medicina di precisione, che hanno aumentato di gran lunga le aspettative di vita e quindi anche il numero di pazienti affetti da cronicità. Nello stesso tempo, per diversi fattori, almeno nei paesi dell’Occidente industrializzato, la propensione a fare figli è diminuita. 
Ci troviamo così in un contesto sociale con una popolazione più vecchia. Non è un dato negativo, vuol dire che i nostri cari anziani, spesso preziosissimi anche per la tenuta socio-economica delle famiglie, possono vivere più a lungo ma vuol dire anche che a livello territoriale il fabbisogno di assistenza aumenta. Le case di comunità sono la soluzione ottimale, perfettamente in linea con l’idea di progresso che abbiamo disegnato per la nuova società. Le professioni sanitarie vanno verso una sempre maggiore autonomia (si pensi all’infermiere di famiglia), le nuove tecnologie e i grossi investimenti in digitalizzazione renderanno consueta l’attività di tele monitoraggio e tele assistenza, con la possibilità per i medici, dotati di strumenti idonei, di fare diagnosi a distanza e assicurare ai pazienti una presa in carico veloce; questo renderà più equo ed anche più efficiente l’accesso alle cure. 
Le case di comunità rappresenteranno quell’anello di congiunzione tra ospedale e territorio; quello step intermedio che rimette il paziente al centro.
Fungeranno anche da filtro per evitare il sovraccarico dei pronto soccorso che oggi sono oberati di lavoro a causa della gestione dei moltissimi pazienti classificati come codici bianchi e verdi che non trovando assistenza sul territorio si recano in ospedale. Le case di comunità saranno anche i luoghi della prevenzione per sviluppare programmi di promozione della salute che rispecchino i reali fabbisogni di salute della popolazione, per esempio attraverso campagne di screening sviluppate in base ai dati di preminenza patologica.
Ad esse si affiancheranno gli Ospedali di Comunità, strutture territoriali di ricovero a breve e lungo degenza per pazienti che, a seguito di un episodio acuto o per la riacutizzazione di patologie croniche, necessitano di interventi sanitari a bassa intensità clinica parzialmente erogabili al domicilio, ma che vengono ricoverati in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio stesso (strutturale e/o familiare) e necessitano di assistenza/sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa, anche notturna, non erogabile a domicilio.
Gli ospedali di comunità quindi sono altamente funzionali alla decongestione degli ospedali, al fine di raggiungere una ottimizzazione assistenziale determinata da una funzionale suddivisione dei pazienti per necessità. Inoltre, gli ospedali di comunità sono strutture piccole, sparse sul territorio e dunque concepite come facilmente raggiungibili, il che non solo renderebbe meno traumatici i ricoveri ma anche più agevoli le visite, così il cittadino diventa parte integrante del modello assistenziale.
Quando siamo stati investiti dalla pandemia il nostro servizio sanitario nazionale era depotenziato da un decennio di politiche dei tagli: 37 miliardi di euro sottratti al Fondo Sanitario Nazionale; 71.000 posti letto persi; 45.000 operatori sanitari migrati dal pubblico al privato e una medicina territoriale del tutto destrutturata, che si è rivelata essere il vero anello debole nella gestione dell’emergenza sanitaria. La tragedia che ci ha investiti ci ha intimato di invertire la rotta. Questo era un tema su cui il Movimento 5 stelle era focalizzato già dall’inizio della legislatura e che ora, finalmente, trova la convergenza, dettata dalla evidente necessità, di tutte le forze politiche.
In questi mesi abbiamo portato avanti un lungo lavoro puntando molto proprio sulla Medicina del territorio, che è divenuta uno dei pilatri dei progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. 
Oggi finalmente abbiamo ripreso ad investire in sanità ed è chiaro che tutti i governi futuri dovranno continuare a farlo, se vogliamo assicurare una vera realizzazione di questa grande rivoluzione nella cura della persone. E’ altrettanto chiaro che dobbiamo assolutamente riparare alla carenza di personale mettendo in campo tutti gli strumenti di cui disponiamo per assicurare anche alle strutture del territorio la presenza di medici, infermieri e personale socio-sanitario e tecnico opportunamente formato ed in numero sufficiente al fabbisogno di salute della popolazione.
Non abbiamo altre opzioni: la sostenibilità del sistema sanitario è legato al successo di queste iniziative. Ci sono voluti dieci lunghi anni ed una Pandemia ma finalmente la rivoluzione alla base del cambiamento culturale in sanità sta prendendo forma. E dovremo continuare ad alimentarla perché una sanità più accessibile per tutti rappresenta anche un potente strumento di welfare e di equità sociale.

A noi – come diciamo da anni – è sempre stato chiaro che salute dell’uomo e salute del pianeta sono strettamente connesse e che progresso ed innovazione tecnologica devono essere funzionali a mantenere il perfetto accordo di questa correlazione. Non ha prospettive di vita un futuro in cui la Terra soccombe all’uomo".
 

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