Perché l'Italia non perdona Di Maio
In rete e sui social impazzano battute, meme e vignette sul leader sconfitto di Impegno civico
Sui social impazzano meme e vignette contro Luigi Di Maio, sconfitto alle elezioni di domenica. Un accanimento tanto implacabile quanto grottesco, anche da parte di persone di cui conosco l’intelligenza, la cultura e la sensibilità sociale.
Faccio la doverosa premessa che Di Maio non è mio amico, non era il “mio” candidato, non ho con lui alcun rapporto, né personale né professionale: è solo uno dei tanti che in questa tornata elettorale ho avuto modo di intervistare e fotografare, al pari di Giorgia Meloni, Giuseppe Conte, Ettore Rosato etc. Eppure sento il dovere, morale, di tirarmi fuori dalla folla degli haters e spezzare una lancia in sua difesa.
Di Maio: un napoletano sognatore
E’ vero che Luigi Di Maio viene dal niente: è cresciuto nella periferia più periferia dell’area a nord-est di Napoli.
E’ vero che prima di arrivare alla guida del Paese non ha studiato granché, aggiungerei proprio come tanti che negli ultimi anni hanno occupato e occupano le sedie “che contano”. Non può però essere negato che a differenza di tanti, compresi molti dei detrattori che ora lanciano sui social strali contro di lui, Di Maio i propri limiti deve averli ben soppesati, tanto da lavorare sodo e riuscire - innegabilmente – a “crescere”, e molto, in erudizione, capacità di eloquio, sicurezza nelle risposte e, come ministro degli Esteri, muoversi più che bene in un momento storico “straordinario” per caos e pericolo.
E’ vero anche che a luglio Di Maio aveva detto "Il Movimento 5 Stelle che ho contribuito a creare negli anni doveva essere una forza politica che entrava nelle istituzioni per fare le riforme dal governo, non per picconare i governi”, aggiungendo anche “a Mosca Medvedev brindava ed era contento, perché era stata servita la testa di Draghi su un piatto d'argento a Putin. Le autocrazie brindano e le democrazie sono più deboli. Anche l'Europa è più debole senza questo Governo": una visione lucida, da cui ha tratto la scelta coerente e per lui, politicamente, rischiosissima, di abbandonare la calda pancia protettiva del Movimento.
Gli sbagli di Di Maio
Riflettendo, insomma, se Di Maio alle elezioni non ha sfondato, e quindi “ha sbagliato”, è stato innanzitutto perché lui, giovane napoletano di periferia, era arrivato ai vertici dello Stato con in tasca tanti sogni e nessun tipo di laurea.
Ha poi sbagliato ancora perché, contro ogni cliché, non solo è cresciuto politicamente e culturalmente, ma ha osato portare avanti l’idea in cui credeva.
Soprattutto, Di Maio ha sbagliato perché ha parlato alla testa, invece che alla pancia di questo nostro triste Paese.
L’Italia, purtroppo, è infatti un Paese che non ha mai perdonato chi osa salire la scala sociale; un Paese che non aiuta i giovani a realizzare i loro sogni (basti pensare ai tanti, troppi giovani, soprattutto del Sud, in giro per il mondo in cerca di lavoro e stabilità).
Il nostro è un Paese che volta le spalle a chi non è già forte, poco importa se per censo, famiglia o “appartenenza”. Soprattutto è un Paese che dimentica ciò che si fa per lui , compreso il ruolo avuto da Di Maio, come Ministro del Lavoro, nel non lontano 2019, per l’introduzione del Reddito di cittadinanza.
E in ultimo, ma non ultimo, è un Paese sempre pronto a calpestare chi cade.