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Il risveglio dei mammut: grandi potenze a confronto dopo anni di sonno…

L’economia campana è al collasso e il malcontento cresce

In questi giorni il malcontento delle partite iva ed in generale dei lavoratori autonomi assume contorni preoccupanti. Anche gli ambulanti protestano. L’economia campana è al collasso e il malcontento cresce. A sentire le notizie, la situazione economica sembra essere davvero alla resa dei conti. Le ragioni economiche sono ormai globali e vanno viste nel panorama internazionale senza perdere d’occhio il proprio territorio. È ovvio che la situazione economica abbia notevoli implicazioni sul sociale. Prima che monti una protesta più estesa e incontrollabile sarebbe bene tentare di comprendere le motivazioni e agire, più di parlare: non è difficile perché quella che affiora dopo quasi 3 mesi dalla formazione del Governo Draghi è una situazione sociale davvero preoccupante, esplosiva. Questo governo ha ereditato tutti i mali e le problematiche dei precedenti governi. Qualcosa di diretto e efficace va fatto subito. Prima di ogni altra cosa non va criminalizzato chi esercita il diritto alla protesta. La disperazione e la paura di non riuscire a mantenere i propri impegni, di non riuscire a soddisfare le più elementari necessità famigliari e poter presto perdere ogni agio faticosamente conquistato, destabilizzerebbe chiunque.  

Chi è in difficoltà deve essere aiutato: nel primo discorso del suo mandato in molti vi hanno letto questa intenzione. Vediamo allora quali sono i segnali che provengono dalla politica e in particolare proprio dal presidente Mario Draghi. Anzi, iniziamo esaminando quali effetti ha avuto la scelta del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ha puntato su questo blasonato uomo dell’economia e, oggi, della politica. La prima cosa che emerge è che purtroppo dalla crisi del primo decennio del nuovo millennio, non è cambiato quasi nulla. Dal l’annichilimento giudiziario del sistema politico italiano della prima Repubblica, alla nascita dei nuovi grandi partiti della seconda Repubblica e, ancora in seguito, alla affermazione dei partiti sovranisti di quest’ultimo quinquennio non sembra essere cambiato molto, anzi tutto sembrerebbe confermare ancora un rafforzamento dei poteri economici su quelli politici. Quanto succede a latere confonde solo gli scenari, ma non ha peso –e nemmeno reali pretese– sui fatti reali e di sostanza, In sintesi, la mancanza di un nuovi modello di sviluppo, sia economico che sociale, pesa sulla politica un po’ per l’incapacità della stessa classe dirigente –assolutamente mediocre e incapace– un po’ per le effettive difficoltà contingenti. Di certo la decrescita felice, la sola politica falsamente ispirata a valori tiepidamente green, non riesce a convincere. Ciò che non è autenticamente vero, non può convincere e ispirare. Il sistema, e non solo quello italiano è fortemente in crisi. La globalizzazione, in assoluto valore condivisibile e altamente civile (sulla carta), è stata condotta come la corsa folle di una mandria impazzita. Molti gli errori che hanno favorito i sistemi post comunisti, o più autenticamente assolutisti (se non semplicemente dittatoriali) come lo sono la maggior parte dei Paesi emergenti e/o recentemente emersi. È evidente il caso Cina, senza voler per questo mancare di rispetto ad un grande Paese dalla cultura millenaria e di cui va ammirata la volontà ferrea. Quanto mi chiedo, mi si perdoni l’ingenuità, è come sia possibile giocare ad un gioco senza avere regole comuni o, peggio, se le regole sono svantaggiose per una sola parte. Analogamente a quanto accade nel caso delle clausole di un contratto, se queste sono vessatorie si può arrivare alla nullità dell’atto. Non nascondo che vedo la politica cinese (ma anche di altri Paesi, compreso alcuni interni all’unione Europea) come fortemente aggressiva. Si può e si deve tollerare all’inizio della crescita di un Paese alcune “mancanze” inevitabili. Ma questo non può protrarsi a lungo. Vanno rispettati i diritti dei lavoratori, la tutela ambientale, il diritto alla salute e tanto altro. Ogni diritto ha il suo “rovescio”: i costi. Sappiamo bene come tutto ciò si rifletta sul costo del lavoro… Il problema è dunque politico, perché le regole dovrebbe farle le fa la politica. Il lavoro a poco costo, produce solo all’inizio la sensazione che ciò renda maggiormente concorrenziale la produzione, ma è solo un’illusione. Con il tempo tutti sono costretti a ad adeguarsi e i margini di guadagno si restringono sempre di più, favorendo di fatto due gruppi di speculatori: i primi sono i nuovi schiavisti. Questi schiavizzano i lavoratori con la complicità di governi deboli o collusi. Il secondo gruppo è costituito dai grandi gruppi che frantumando i margini del guadagno eliminano di fatto i piccoli imprenditori che non possono contare su alti numeri di produzione.  Proviamo a riflettere: politica, finanza, economia globale non sono altro che forme diverse del potere.  Ma il “potere” in valore assoluto è uno, senza aggettivi o altri “fronzoli: è il “Potere”. Il “potere” non è bello né brutto, buono o cattivo. È una delle espressioni inevitabili della vita sociale.  È cattivo quando produce povertà, miseria e concentra i proventi in poche mani. Dove vi è povertà non vi è giustizia, dove non vi è giustizia non vi è libertà. La mancata distribuzione delle ricchezze è proprio uno dei mali del mondo opulento. Trovare i meccanismi teorici e funzionali per la ridistribuzione delle ricchezze è, e sarà, la vera sfida politica del futuro. Forse anche la parte più difficile da mettere in atto. 

Così mentre i medici discutono, i governi sonnecchiano e mostrano di essere incapaci di dare risposte mirate e convincenti alle moderne società. 
Sarà che le cose non vanno bene, ma quanto si percepisce in Italia è che non si tratti solo di una aggressione commerciale, ma che vi sia una precisa volontà espansionistica territoriale. Speriamo non sia troppo tardi o, quantomeno adesso che ne siamo più o meno coscienti, cogliamo l’invito del filosofo statunitense Noam Chomsky che, con l’ormai noto principio metaforico della rana bollita, ci avvisa di restare ben svegli e reattivi per poter saltare giù dalla pentola prima che sia troppo tardi.
I grandi flussi di denaro provenienti da questi Paesi, alcuni dei quali ormai riconosciuti quali potenze regionali e mondiali, con la loro politica “di espansione” hanno in un primo momento gravemente colpito il commercio, sia all’ingrosso che al dettaglio creando di fatto quella che potremmo definire quale desolazione “post industriale”. Città che perdono l’identità in uno squallore culturale che ha depauperato molte zone urbane. In un scondo step sono passati ad incamerare  beni immobili ed eccellenze, partendo dai medi e grandi marchi e del know how di settori strategici. Ad oggi l’ultima novità: l’attenzione ai beni culturali.  A dirla tutta, ben poco importa se l’aggressione avviene per via economica o militare, i risultati sono gli stessi: miseria e sottomissione del popolo. La domanda è: se tanto è sotto gli occhi di tutti, qualcuno se ne è reso conto? Forse. Un plauso va dunque in questo caso a Mario Draghi e al suo ministro Giancarlo Giorgetti per dei segnali di interruzione di una politica troppo “accondiscendente”. L’aver evitato a un gruppo cinese (ma il problema ovviamente non è raziale ma economico e di democrazia applicata) di acquisire il controllo dell’azienda italiana di semiconduttori Lpe di Baranzate, ci piace. È un primo esempio pratico sull’esercizio di veto nell’ambito delle vendite di aziende strategiche per l’Italia. È un provvedimento che molti aspettavano con ansia: “Sono d’accordo con Giorgetti, la golden power è uno strumento del governo per evitare la cessione di asset strategici a potenze straniere, va usato. Quello sui semi conduttori è stato un uso di buon senso in questa situazione. È un settore strategico, ce ne sono altri”, ha detto Draghi in riferimento alle parole del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che aveva annunciato che al Mise si sta anche valutando la possibilità di estendere l’ambito di applicazione della golden power a filiere rilevanti e al momento escluse. Dunque ci troviamo nella storica opportunità di poter ridiscutere quali aziende sono “asset strategici” per il Paese. Una svolta importante e da non sottovalutare. È l’occasione per dare nuovo significato a settori quali il turismo e la ristorazione. Ma anche per poter emanare nuove leggi sulla tutela territoriale del patrimonio culturale architettonico e dell’agroalimentare. In sintesi credo possiamo essere tutti concordi nell’affermare che il “made in Italy” non è solo un marchio, ma un modello di vita e sviluppo. Certamente è quanto rende la nostra immagine sul mercato globale più forte e convincente. Non nascondo i miei pensieri ed allora mi chiedo se forse non sarebbe anche il caso di promuovere delle inchieste approfondite sui retroscena della vendita di aziende italiane di grande spessore avvenute in un relativamente recente passato. Ed ancora chiedo a quanti di competenza, non sarebbe il caso di bloccare le vendite in via di concretizzazione di aziende italiane e annullare quelle già concluse in questo periodo di covid? Che sia un virus naturale o artificiale, che sia “sfuggito” o rilasciato volontariamente, il Governo deve attuare delle politiche di difesa delle aziende poiché queste determineranno il nostro futuro. Specialmente in Campania, dove il tessuto produttivo è già molto compromesso. 
Che qualcuno si svegli! Magari prima che la nostra regione perda le sue eccellenze, perché di eccellenze a Napoli e dintorni ce ne sono davvero molte, e in tutti i settori: dall’agro alimentare alle nuove tecnologie. Non vorrei che per poter far gustare ai nostri figli un piatto di spaghetti con i pomodorini del piennolo –come faceva la nonna solo pochi anni addietro– presto gli si debba portare in qualche lussuoso ristorante a Berlino, Pechino o … Che qualcuno si svegli!
Abbiamo trovato in M. Draghi un paladino della più autentica e sana italianità? Se così ben venga la sua politica. Ma lo sarà davvero? Può darsi, speriamolo. 

M. Draghi è stato per anni un personaggio schivo che da un lato ha conquistato simpatie per la riservatezza, ma che da un altro punto di vista non ha permesso di conoscere bene le sue idee politiche. Sappiamo essere un affermato economista, accademico, banchiere, dirigente pubblico. Solo dal 13 febbraio 2021 è uomo politico perché nominato Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana. A dirla tutta, in passato il nome è stato tema di conversazione nei salotti buoni, quelli che contano nel Paese, e dunque la sua nomina ai vertici dello Stato non è stata totalmente una sorpresa. Anzi l’aver prospettato più volte il suo coinvolgimento nella vita politica ha “addomesticato” l’attenzione dell’opinione pubblica e prodotto l’effetto di una vasta familiarizzazione ad ogni livello della società. Per questo potrebbe proprio, come poco fa accennato, essere la prova di come i poteri siano intimamente connessi e l’economia oggi abbia assunto un ruolo di supremazia. Anche culturale.  Di certo Draghi non è l’uomo “nuovo” auspicato da molti, è piuttosto un banchiere di fama internazionale, certamente personalità trasversale e autorevole. Il fatto che sia un banchiere non piace, ma è certamente prematura ogni valutazione: lasciamolo lavorare consapevoli che quell’uomo “nuovo” auspicato da molti, non è ancora apparso sul palcoscenico della vita politica italiana, se è mai nato. Vediamo invece cosa accadrà nelle prossime settimane, nei prossimi mesi… Se saranno tracciate davvero nuove rotte, queste emergeranno. Nel frattempo qualche novità sullo scacchiere internazionale sembra davvero affacciarsi, anche se molto timidamente. Il risveglio dei mammut? In queste ultime ore si sta rafforzando l’idea del neo Presidente degli stati Uniti Joe Biden, di fare fronte comune contro lo strapotere economico, e politico, della Cina. Se ciò possa essere davvero utile all’Europa e all’Italia non è prevedibile con i pochi elementi a disposizione, ma di certo c’è bisogno di posizioni nette e chiare. Posizioni coraggiose che però mostrino sempre di dare spazio alle collaborazioni e spingano affinché vengano stretti accordi bilaterali. Infine, Angela Merkel, credo non sbagli nel ribadire la necessità di posizioni indipendenti sempreché queste però non compromettano la loro stessa incisività. 

A cura di

Mariano Lebro

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