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Economia

A Napoli e in Campania si pagano più pensioni che stipendi: i dati e i motivi dello ‘squilibrio’

Nella provincia napoletana e nella nostra regione, come nel resto del Sud Italia, le pensioni erogate dall’Inps e dagli altri istituti previdenziali sono più numerose rispetto ai lavoratori attivi. L'analisi dell'Ufficio studi della CGIA di Mestre

Anche se di sole 205 mila unità, a livello nazionale il numero delle pensioni erogate agli italiani (pari a 22 milioni e 759 mila assegni) ha superato la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti. La situazione più “squilibrata” si verifica nel Mezzogiorno. Se nel Centro-Nord, con le eccezioni di Liguria, Umbria e Marche, i lavoratori attivi, anche se di poco, sono più numerosi delle pensioni erogate dall’Inps e dagli altri istituti previdenziali, nel Sud il sorpasso è già avvenuto: queste ultime, infatti, superano i primi di un milione e 244 mila unità. A dirlo è il report dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre, sulla base dei dati Inps e Istat riferiti al 1° gennaio 2022.

A Napoli lo squilibrio più alto a livello nazionale

A livello territoriale tutte le regioni del Sud Italia presentano un numero di occupati inferiore al numero degli assegni pensionistici erogati. In termini assoluti le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania (saldo pari a - 226 mila), Calabria (- 234 mila), Puglia (- 276 mila) e Sicilia (- 340 mila).

A livello provinciale le situazioni più squilibrate nel Mezzogiorno riguardano Palermo (- 80 mila), Reggio Calabria (- 86 mila), Messina (- 94 mila), Lecce (- 104 mila) e Napoli (- 137 mila). Tra tutte le 38 realtà provinciali meridionali, solo due presentano un saldo positivo: esse sono Ragusa (+ 8 mila) e Cagliari (+ 10 mila).

Le ragioni del divario

In linea di massima le ragioni di questo divario tra lavoratori e numero di pensioni – secondo la CGIA - vanno ricercate nella forte denatalità che, da almeno 30 anni, sta caratterizzando l’Italia. Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (- 2,3%).

“Per quanto concerne il risultato ‘anomalo’ del Sud, va segnalato che, rispetto alle altre ripartizioni geografiche d’Italia, il numero degli occupati è sensibilmente inferiore. Va infine evidenziato che il risultato di questa analisi è sicuramente sottodimensionato; ricordiamo, infatti, che in Italia ci sono poco più di un milione e 700 mila occupati che dopo essere andati in pensione continuano, su base volontaria, a esercitare ancora l’attività lavorativa in piena regola”, si legge nel rapporto della Cgia.

I rischi economici per il futuro

Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici, soprattutto a causa dell’aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura/assistenza alla persona.

“Con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione più giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo. Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, facendo così ‘felici’ molti istituti di credito”, segnala la Cgia.

Le possibili ‘ricette’

Per contrastare il calo delle nascite e il conseguente invecchiamento della popolazione è necessario mettere a punto una serie di interventi di medio-lungo periodo.

“Come ha avuto modo di sottolineare anche la Banca d’Italia, è indispensabile, in particolar modo, potenziare le politiche mirate alla crescita demografica (es. aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.), allungare la vita lavorativa (almeno per le persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale), incrementare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro ed, infine, innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’UE”, propone l’Ufficio studi della Cgia.

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