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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

Penalisti italiani in protesta per 'la difesa dei diritti': tre giorni di astensione dalle udienze

L'avvocato Bruno Larosa: "Denunciamo non solo la disfunzione del portale telematico, ma anche l’angoscioso stato in cui si trova il processo penale"

Il 29 marzo inizia la protesta dei penalisti italiani con tre giorni di astensione dalle udienze.

"Si denuncia - spiega in una nota avvocato Bruno Larosa - non solo la disfunzione del portale telematico tramite il quale siamo obbligati a depositare gli atti processuali, ma anche l’angoscioso stato in cui si trova il processo penale, insieme alle preoccupazioni riguardo al clima di ostilità in cui ci s’imbatte trovandosi a interloquire con quel servizio, in ogni sua fase e grado. Una situazione che si è aggravata da quando la pandemia ha comportato l’allontanamento del controllo pubblico dai palazzi di governo della giustizia. Le scelte fatte dai capi degli uffici giudiziari, recepite ora dalla legislazione emergenziale, obbligano a forme d’interlocuzione da remoto smascherando, come mai prima d’ora, l’inefficienza e il volto autoritario di questo ‘potere’ dello Stato; con l’effetto di rendere inadeguata la conoscenza, il carattere deciso e, potrei aggiungere, l’indispensabile esperienza che viene dall’età riguardo alle complesse questioni della vita e della giustizia. Le drammatiche trame che stiamo vivendo imporrebbero anche per questo servizio una maggiore solidarietà, ed è per questo che non ci si da ragione della ritirata dei magistrati e degli ausiliari dal confronto diretto. A me pare che molti di loro si siano rinchiusi in una torre d’avorio divenuta impenetrabile anche a chi ha il dovere costituzionale di mediare tra il cittadino e l’autorità. I colloqui sono inesistenti o ridotti al minimo per loro ‘graziosa’ concessione; gli atti processuali possono consultarsi con grave difficoltà e disagio e con il rischio di assembramenti che sembrano non interessare; lo scambio d’informazioni, di richieste e il deposito degli atti avviene solo per via telematica, con il portale appunto; per la celebrazione orale degli appelli e dei ricorsi in cassazione è necessaria la formale richiesta delle parti entro un termine perentorio: come a dire che il dialogo e la comunicazione tra chi serve e il cittadino destinatario di quel servizio, non sono più imprescindibili. Monta una cacotopia che mostra lo sconvolgimento della tradizione culturale e dei principi costituzionali sui quali si poggiano le regole della giustizia penale, che temo varrà anche quando saremo usciti dalla crisi. Uno spaventoso silenzio avvolge queste questioni – rotto solo in questi ultimi giorni dall’autorevole ma esile voce della ministra Cartabia, inascoltata e la cui azione è imbrigliata dai particolarismi di alcuni partiti della maggioranza di governo - tale da alimentare il vuoto e la sensazione d’inutilità nella quale operiamo, tanto da generare difficoltà nel far valere, come si vorrebbe, i diritti di chi si rivolge alla giustizia, facendolo da indagato, imputato, condannato o vittima. Non riuscire a immaginare il futuro è un’esperienza drammatica, molto di più aggiungendo i dubbi che sorgono riguardo al possibile pieno esercizio dei diritti, compresi quelli che sembravano ormai definitivamente acquisiti. Come spiegare al potere che ci dileggia, che la nostra protesta riguarda proprio l’esercizio di quei diritti? Non quelli degli avvocati, ma quelli dei cittadini che ne sono i titolari – siano essi ricchi o poveri, colti o ignoranti, giovani o anziani, capitani d’impresa o proletari, magistrati compresi –, e in particolare si tratta del diritto di poter accedere nel modo più rapido e diretto, e secondo le proprie capacità, al fascicolo che segnerà la loro sorte e a quello di portare direttamente all’Autorità la voce squillante e decisa delle proprie difese. Altro che smaterializzazione degli atti processuali e portali telematici. La tecnologia a me sembra che abbia già dimostrato come, esasperandone l’uso, possa diventare un pericoloso strumento di persecuzione, oltre ad essere una comoda forma di compensazione della mancanza d’impegno, conoscenza ed esperienza che invece sono essenziali per poter ben difendere e giudicare. La nostra protesta non è altro che quella della gente a cui nessuno da voce, di chi è accusato o è vittima, e che vuole leggere e discutere in ogni momento possibile dei fatti della propria vita, riguardo ai rapporti con gli altri associati e con lo Stato. Lo vogliono fare per via diretta senza intoppi tecnologici, confrontandosi fin da subito con l’artefice pubblico che quei fatti deve contribuire ad accertare. Astenendoci - rifiutando di dare il nostro contributo alla perpetrazione di tante ingiustizie – diamo voce anche a quelli che non sanno e non vogliono immischiarsi, a quanti pensano che l’accertamento di un crimine non lasci nessuno spazio alle garanzie; lo facciamo perché - se in udienza difendiamo i diritti del singolo - la nostra azione politica, da sempre, si rivolge alla difesa di tutti, anche di quelli che ancora non capiscono che questo stato di cose già li riguarda direttamente.

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