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Cultura

Edoardo Vitale: "Propaganda e censura ci hanno fatto dimenticare 2500 anni gloriosi della storia di Napoli"

"L’anima profonda di Napoli si sta risvegliando e darà presto quel segnale di riscossa che tutti aspettano. Noi dovremo raccoglierlo e indicare la via sicura perché mai più si ripetano gli errori e le delusioni del passato". L'intervista di NapoliToday all'ex magistrato, direttore della rivista L'ALFIERE e presidente dell'associazione Sud e Civiltà

-Con l'Alfiere da oltre 60 anni e con la pagina e il gruppo social Sud e Civiltà portate avanti una vera e propria battaglia per la verità storica e la dignità dei Popoli del Regno delle Due Sicilie. Quali sono i vostri obiettivi e quali sono queste verità che andrebbero assolutamente conosciute?
"L’obiettivo principale di Sud e Civiltà è di far ritrovare al nostro popolo la sua vera identità. Infatti la condizione degli uomini e delle donne del Sud assomiglia a quella di chi a furia di ricevere colpi in testa ha perso la memoria e non ricorda più chi è. Per ritrovarla deve guardarsi allo specchio, ricordare chi sono i suoi genitori, poi i suoi nonni e percorrere i luoghi in cui è vissuto. In poche parole deve conoscere la sua storia personale e quella della comunità in cui è vissuto; e la sua tradizione, cioè la visione del mondo, i valori, la filosofia e le abitudini di vita di chi lo ha preceduto. Infatti da 160 anni, cioè quando la nostra patria, un tempo chiamata Due Sicilie, o anche Napoli e Sicilia, è stata invasa e occupata con la violenza e annessa al Piemonte contro la grande volontà della stragrande maggioranza della sua popolazione, è cominciata da parte degli occupanti e dei collaborazionisti locali un’attività non solo di smantellamento delle istituzioni e delle strutture produttive del Sud, ma anche di cancellazione e falsificazione della nostra memoria storica. Attraverso la propaganda, la manipolazione delle notizie e la censura si è fatto di tutto per farci dimenticare o disprezzare una storia che, ovviamente tra luci ed ombre, è stata gloriosa e una civiltà straordinaria che, in oltre 2500 anni di vita ha acquistato uno splendore senza pari, fondendo in sé, fra l’altro, l’eredità greca, quella romana, quella cristiana, quella imperiale romano-germanica e quella ispanica. Da quando, nel lontano 1960, un manipolo di giovani coraggiosi fondò L’Alfiere, la rivista che per prima cominciò a rivelare le verità nascoste sulla nostra storia, è molto migliorata nell’opinione pubblica la percezione di quanto è veramente accaduto nella seconda metà dell’Ottocento. Dobbiamo però continuare il nostro paziente lavoro di ricostruzione per restituire a tutti, ma soprattutto ai giovani, la consapevolezza della propria identità e del proprio passato. Questa è l’unica vera base per la rinascita dei popoli". 

-Napoli sotto il regno Borbonico era una città dai tanti primati e all'avanguardia per l'epoca, invidiata e apprezzata in tutta Europa. Quanto ha pesato e pesa anche ai giorni nostri la cattiva narrazione di Napoli nel post unità d'Italia?
"Il pregiudizio contro i meridionali è stato fino ad oggi assolutamente necessario al funzionamento della politica italiana. Per togliere le risorse al Sud si è dovuto dire che noi non sapevamo che farcene; per togliere al sud le strutture produttive si è fatto credere che non avevamo voglia di lavorare, anche se i nostri emigranti hanno sostenuto lo sviluppo industriale del nord; per mantenere questa spaventosa ingiustizia è necessario far pensare che non siamo degni di una vita dignitosa. Se lo Stato fosse giusto, probabilmente sparirebbe il pregiudizio. Ma fino ad oggi è servito, eccome. Infatti se tutti i popoli della penisola avessero pari rispetto, si dovrebbero eliminare le differenze di trattamento fra nord e sud e si dovrebbe anche restituire il mal tolto. Si deve poi riflettere sul fatto che Napoli esprime una visione del mondo che è diametralmente opposta a quella religione del profitto, di stampo materialistico e nemica delle tradizioni, che si ha avuto successo soprattutto nelle società anglo-sassoni e protestanti del nord Europa e del nord America e che appartiene alle oligarchie di ultraricchi che dominano il pianeta. Per questo Napoli è costantemente al centro del bersaglio mediatico quando i mezzi d’informazione sono asserviti al potere dominante. Sotto un altro profilo, però, questo spiega anche perché chi difende autentici valori di umanità e di bellezza finisce inevitabilmente per amare Napoli, magari spingendosi a dire che qui è custodita una speranza di salvezza per il mondo".

-Può spiegare ai nostri lettori la giusta accezione del brigantaggio, che viene solitamente rappresentato in maniera fortemente dispregiativa? 
"Chi erano i briganti? Erano guerriglieri che difendevano la propria patria. Li chiamarono briganti con una parola che non appartiene alla parlata del Sud, per additarli al disprezzo del mondo, perché la brava gente si vergognasse di amarli. Ma il popolo continuò ad amarli, e a entusiasmarsi per le loro imprese. Erano uomini e donne che vivevano secondo le tradizioni e le usanze dei padri. Solo pochi erano abituati all’azione. Ma quando capirono che la patria aveva bisogno di loro presero le armi rudimentali di cui disponevano e fecero il loro dovere. Perché nelle società tradizionali, quando la difesa della patria lo richiede, ciascun membro della comunità diventa soldato e collabora alla lotta secondo le proprie attitudini e possibilità. La loro vita era stata sconvolta all’improvviso dall’invasione di una banda di avventurieri, travestiti da liberatori, finanziati e protetti da potenze straniere e da sette anticattoliche, aiutati dalla criminalità organizzata e dai ceti borghesi parassitari. Ovunque seminavano morte e scompiglio, preparando l’ingresso di un esercito di occupazione, quello piemontese ribattezzato italiano, animato da volontà predatoria, da arroganza verso i popoli napolitani e siciliani e da disprezzo verso la fede delle popolazioni. Comincia così un conflitto sanguinoso, durato oltre 10 anni, contro un’armata di almeno 120.000 uomini calata da Piemonte, che si avvale di circa altri 100.000 fra collaborazionisti, guardie nazionali, cacciatori di taglie e mercenari stranieri, fra cui i temutissimi ungheresi. Uomini e donne salgono allora sui monti, per difendere la propria fede, il proprio re, la propria terra, la propria famiglia, la propria dignità. Come diceva il grande Pietro Golia, tornano al bosco sacro, luogo della religiosità naturale, della tradizione, alla montagna come simbolo di libertà. Non a caso i pastori rappresentano le truppe scelte di questa ribellione, loro che hanno per tetto un cielo di stelle. Il brigante rifiuta di piegarsi a una realtà che gli viene imposta e che sente estranea. La sua è una partecipazione emotiva, in armonia con l’ordine naturale. Non appartiene alla ragion conveniente. Sa amare, sa sognare, sa combattere. Gli storici liberali, che io chiamo “storici col cilindro” perché difendono la loro rivoluzione borghese, vivono un incubo ad occhi aperti. I personaggi che hanno fatto il cd. risorgimento alla gente per lo più non piacciono, mentre i Briganti godono di grande popolarità. La cosa per loro è insopportabile, e allora si accaniscono per far passare come un fatto criminale la grande insurrezione popolare contro l’invasione piemontese. Sanno benissimo che è una tesi antiscientifica, perché quando a comportarsi in un certo modo non è un’esigua minoranza, ma una parte consistente della popolazione, non servono più le categorie criminologiche, si deve ricorrere alla sociologia o alla politica. Inoltre la loro tesi è offensiva, perché se una guerra è criminale, un popolo che l’alimenta per dieci anni tenendo impegnato un esercito enorme deve avere per forza qualcosa che non va. E allora, in fondo, significa che danno almeno in parte ragione anche ai razzisti antimeridionali, a cominciare da Lombroso. Non ci piace ragionare di storia in termini di criminologia, ma il termine criminale si adatta molto meglio a all’aggressione armata di garibaldini e piemontesi fatta col consenso di pochi e con la violenza su molti".

-C'è qualche errore che imputa a Ferdinando II? Forse quello di inimicarsi Londra? E si sarebbe potuto fare qualcosa in più per evitare il dissolvimento del Regno?
"Uno stato come il nostro Regno delle Due Sicilie, che voleva vivere in libertà nel Mediterraneo, con la sua grande flotta mercantile, oggettivamente entrava in contrasto con una potenza imperialistica come la Gran Bretagna. Si tenga presente che nel 1860 erano cominciati i lavori per l’apertura del Canale di Suez che avrebbe potuto rappresentare per le Due Sicilie una grande occasione di espansione commerciale. Cosa che certamente Londra aveva tutto l’interesse a impedire. Poi la Gran Bretagna aveva mire espansionistiche sulla Sicilia e comunque voleva mettere le mani sulle miniere di zolfo siciliane, all’epoca strategiche trattandosi di sostanza essenziale per il funzionamento delle armi da fuoco. Inoltre il nostro Regno era il baluardo del Papato e quindi del cattolicesimo in Italia, detestato dagli antipapisti britannici. Se a ciò aggiungiamo che Ferdinando II cercò in tutti i modi di emancipare il regno dalla sudditanza industriale verso gli inglesi, che imponevano propri macchinisti sulle navi a vapore o sulle locomotive, e creò a Pietrarsa una scuola per macchinisti napolitani, si comprende che molti fattori favorivano lo scontro. Col senno di poi, si può dire che Ferdinando II sottovalutò la scaltrezza e la spregiudicatezza del Piemonte e non si preparò adeguatamente, sul piano diplomatico e anche militare, al prevedibile assalto congiunto delle potenze mercantili (Francia e Inghilterra) e dell’aggressivo Piemonte, indebitato fino al collo, che vedeva nel nostro regno una ricca preda. Sicuramente si sarebbe dovuta formare una classe dirigente e intellettuale molto avveduta e preparata, non compromessa con lo spietato liberismo anglosassone e piemontese, ma pronta a difendere con fermezza la tradizione e i diritti del popolo. Ma è facile dirlo oggi. Allora circolava una pericolosa fiducia in una capacità reattiva delle potenze conservatrici (Austria, Russia, ecc.), che invece erano sulla via del tramonto".

-Nota un nuovo interesse da parte anche delle fasce più giovani per tali tematiche, anche grazie proprio ai social e ad un nuovo fermento letterario su tale materia?
"Sì. A partire dalla fondazione de
L’Alfiere ha cominciato a scorrere un fiume carsico che lentamente ha cominciato a erodere e sgretolare l’iceberg della menzogna sulla storia del Sud. E oggi l’opinione della maggioranza delle persone sulla fine della nostra indipendenza è molto lontana da quella ufficiale. I giovani, quando si riesce ad attirare la loro attenzione, provano un brivido di entusiasmo a conoscere la vera storia della loro comunità e a capire che non devono vergognarsi del loro passato e della loro civiltà, ma anzi possono esserne legittimamente fieri. Ma i giovani capiscono anche che c’è un legame molto stretto fra le loro sofferenze di oggi e il modo in cui è stata “unificata” l’Italia. I cosiddetti social offrono opportunità senza precedenti a chi esprime opinioni diverse da quelle gradite al potere. Sebbene dopo 160 anni alcuni accademici e giornalisti cerchino di ridare fiato ai tromboni della retorica, tacendo o dicendo il falso su quello che veramente rappresentò per il Mezzogiorno la violenta operazione di 160 anni fa, il pensiero anticonformista, sia pure non senza difficoltà e censure, trova comunque il modo di essere diffuso. Ormai la verità sta rompendo gli argini, grazie a tanti studiosi liberi e tenaci, e la gente, quando l’ha assaporata, non sa più farne a meno. Perciò dovrebbero rassegnarsi quelli che io chiamo i gendarmi della memoria, i quali in realtà difendono precisi interessi, quelli dei ceti parassitari e delle oligarchie internazionali che si avvantaggiarono della conquista del Sud e che ancora oggi prosperano a tutti i livelli".

- Quali sono le prossime iniziative in cantiere (Covid permettendo) che organizzerete con la vostra associazione?
"In tempi di costrizione e isolamento forzato, in cui viene gravemente limitata la libertà di riunione, noi stiamo potenziando la comunicazione mediante internet e tutti gli strumenti tecnologici che consentono la diffusione di messaggi e video e il contatto audiovisivo fra le persone. Poiché non temiamo la verità e non abbiamo bisogno di esagerazioni, stiamo ottenendo un grande successo nel raccontare la storia in modo vivo e onesto. Ma non possiamo limitarci a questo, perché la nostra terra e il nostro popolo si dibattono in una crisi che si aggrava di anno in anno e anche noi soffriamo e ci indigniamo nel vedere come viene sfregiata e avvilita la nostra terra, da un regime coloniale a sua volta asservito a organizzazioni sovranazionali e spesso segrete, che sta togliendo tutti i diritti e il futuro alla nostra gente e soprattutto ai nostri giovani. Perciò ci occupiamo anche dei problemi della nostra società, esaminati alla luce della nostra civiltà e della nostra tradizione.  Ogni volta che sarà possibile, organizzeremo manifestazioni e convegni per appoggiare e sostenere il nostro popolo nella difesa dei suoi diritti, intrecciando rapporti con singoli e organizzazioni che, in Italia o altrove, perseguono obiettivi in linea con i nostri. Da 160 anni sta purtroppo funzionando il patto scellerato tra potere centrale e politici meridionali, in forza del quale a questi vengono elargite le elemosine da distribuire ai propri amici o parenti e in cambio i nostri politici si impegnano di non disturbare il manovratore. Questa è la ragione per cui non si pensa in grande e non si fa nulla di concreto per aiutare la nostra gente. Perciò il nostro obiettivo più importante, come associazione Sud e Civiltà, è quello di formare una nuova classe dirigente, preparata, determinata e incorruttibile, che ami la nostra terra e il nostro popolo di un amore consapevole e attivo. Che non sogni ritorni al passato ma un avvenire di nuova grandezza e benessere per la nostra patria, in un Mediterraneo che deve tornare luogo di rispetto per la natura e di rispettosa collaborazione fra i popoli, nel segno delle nostre tradizioni. In un’Europa libera dalla dittatura usuraia. Un sogno? La nostra patria è uscita vincitrice da sfide non meno impegnative. La straordinaria civiltà del nostro Sud ci fornisce gli strumenti per affrontare ogni tipo di problemi, in un mondo che sembra obbedire alla prepotenza di pochi. Ma tanti segni ci dicono che l’anima profonda di Napoli si sta risvegliando e darà presto quel segnale di riscossa che tutti aspettano. Noi dovremo raccoglierlo e indicare la via sicura perché mai più si ripetano gli errori e le delusioni del passato".

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