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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cultura

Shalana Santana: “La mia città è Napoli e detesto quando ne parlano male”

Intervista all’attrice brasiliana che sarà tra i protagonisti de L’alligatore, la nuova serie di Rai2 tratta dai romanzi di Massimo Carlotto

È gentile Shalana Santana, l’attrice brasiliana ma napoletana di adozione. È una donna accogliente, affabile al punto tale da dimenticare che si sta al telefono per fare un’intervista in occasione della promozione de L’Alligatore, la serie tv diretta da Daniele Vicari ed Emanuele Scaringi tratta dal ciclo dei romanzi scritti da Massimo Carlotto che dal 25 novembre andrà in onda su Rai2.

È un’occasione importante per la Santana che segna il suo ingresso dalla porta principale in una serie in cui non sono poche le aspettative interpretando Marielita, un personaggio che nell’adattamento televisivo ha una grande evoluzione rispetto ai libri, diventando la fidata miglior amica del detective ed ex galeotto Marco Buratti, interpretato da Matteo Martari.

È entusiasta di essere tra gli interpreti de L’Alligatore, lei che è una di quelle persone che ha fatto la gavetta dando il giusto peso al valore delle cose fin da quando, con non poche difficoltà, arriva in Italia iniziando la sua carriera prima come modella.

Da modella ha viaggiato per tutto mondo, facendo anche tappa in tre continenti in una settimana, ma alla fine è rimasta così affascinata da Napoli che l’ha scelta come città, trovando la sua giusta dimensione. A Napoli decide, una volta per tutte, di studiare recitazione e, iniziano ad arrivare i primi ruoli tra cinema e tv. Oltre a delle nuove prospettive che le hanno aperto la strada a nuovi modi di esprimersi, la città le ha regalato gli affetti più grandi come suo figlio che viene prima del suo lavoro; successivamente, è qui che Shalana ha costruito una famiglia allargata con il suo compagno, l’attore Massimiliano Gallo.

L’intervista

Tra alcuni giorni parte la serie L’alligatore. Come è andata?

“Quando ho ricevuto la telefonata del mio agente che mi segnalava il provino per questa serie. Sono stata sorpresa perché era da quasi un anno che non ne facevo uno. Al provino di Roma c’era anche il regista Daniele Vicari (è sempre un bene quando il regista è presente fin dall’inizio). È stato tutto molto veloce che ho pensato che non fosse andato bene, infatti dopo due settimane quasi non ci pensavo più. Poi, all’improvviso, mi hanno chiamato dicendo che avevo avuto la parte. Non ci potevo credere perché, in genere, per un ruolo così importante si fanno più provini. E penso di non averci creduto finché non sono arrivata a Padova per girare ed è stata una bella esperienza”.

Marielita è un bel personaggio di rilievo. Ci dici di più?

“Pur essendo presente in tutti i libri di Massimo Carlotto, Marielita non è un personaggio che compare spesso, inoltre, nei romanzi, ha una relazione di natura sessuale con Marco Buratti. Invece, nella serie è un personaggio che cresce moltissimo. C’è in tutte le puntate, aiutando Buratti a risolvere tutti i casi e poi, nell’adattamento, diventa la sua migliore amica. È un rapporto fraterno, pieno di dolcezza. Marielita è un punto fermo per lui e per i suoi due amici, Max e Rossi, consigliandoli. È una grande osservatrice e con il suo sguardo esterno porta alla risoluzione delle storie. Lei rappresenta l’equilibrio”.

Sarebbe dovuto uscire un altro film bloccato dall’emergenza, FREE di Fabrizio Maria Cortese, una storia corale che affronta un tema diventato, a suo modo, attuale per alcune dichiarazioni arrivate dalla politica…

“E’ una commedia molto delicata che tratta un argomento di cui si parla poco: l’amore visto dagli anziani attraverso le vicende di un gruppetto capitanato da Sandra Milo intraprendendo un viaggio verso la Puglia alla ricerca di avventure. È una bella risposta ad alcuni discorsi fatti i giorni scorsi. Non c’è dubbio che in questo momento debbano riguardarsi, ma chi l’ha detto che le persone di una certa età non devono cercare nuove avventure? Chi lo dice che non possono più innamorarsi? Non so per quale motivo, ma c’è un certo tabù nel parlare di amore nella terza età. Free, sarebbe dovuto uscire il 12 novembre ed è uno di quei film che attende le sale, sarebbe già potuto uscire in qualche piattaforma ma la produzione ha scelto di aspettare. È un messaggio importante non mollare e aspettare di uscire al cinema”.

Cinema e teatri bloccati. Fino a che punto ti aspettavi che saremmo ritornati allo stop di questa primavera?

“Non me l’aspettavo proprio dopo il primo lockdown e tutti gli sforzi che abbiamo fatto. I numeri, poi, parlano da soli: cinema e teatri sono tra i luoghi più sicuri, per cui quando li hanno chiusi non l’ho trovato giusto. Sarei favorevole a chiusure mirate, che abbiano un senso, ma nei teatri all’aperto e nei cinema al chiuso dove sono state milioni di persone per vedere film e spettacoli c’è stato un solo caso positivo. Per cui è stata una scelta assai discutibile”.

Tu sei tra gli attori che hanno aderito a U.N.I.T.A, un’associazione appena nata che è in prima linea per battersi per i diritti della categoria degli attori. Dopo le manifestazioni e le iniziative, si è sulla strada per trovare un punto di incontro con le istituzioni?

“A marzo ho visto la nascita di U.N.I.T.A in quanto Massimiliano è uno dei consiglieri. Lui si è buttato anima e corpo in quest’associazione presieduta da Vittoria Puccini. In pochissimi mesi ha un altissimo numero di tesserati. Il direttivo e i consiglieri stanno lavorando sodo e quotidianamente, ottenendo dei reali risultati per dei finanziamenti destinati al mondo del teatro e dell’audiovisivo. Secondo me la cosa più bella di U.N.I.T.A è che è stata creata da attori rappresentativi nel cinema e nel teatro e che riescono a lavorare e non hanno bisogno degli incentivi, ma si impegnano seriamente per sostenere gli esponenti della categoria in difficoltà, per dar loro voce. Vedo Massimiliano stare giorni interi su ZOOM per creare nuovi progetti che possano aiutare l’intera categoria che ha sofferto di più nell’ultimo anno e che, generalmente, è tra le più martoriate”.

Quest’estate con Massimiliano Gallo siete stati tra coloro che avete voluto subito ripartire dal teatro che, insieme alla musica, è stato maggiormente colpito…

“Con Resilienza 2.0 siamo stati tra i primi spettacoli andati in scena a luglio all’Arena Flegrea. Dopo tutti quei mesi chiusi in casa eravamo tutti agitati, me compresa che un po’ ho avuto la sindrome della capanna. Eravamo nervosi perché era un debutto diverso perché non potevamo sapere quale potesse essere la risposta in un frangente del genere. Quando siamo entrati in scena ci siamo trovati 1200 spettatori, noi che ci aspettavamo 200 persone al massimo. Una vera emozione, dimostrazione che le persone hanno bisogno della cultura e dello spettacolo”.

Poiché a Napoli i bambini hanno avuto maggiori limitazioni, scuola compresa, come madre come stai vivendo questo periodo?

“Ci tengo ad accompagnare la crescita del mio bambino, basando su di lui le mie scelte lavorative perché preferisco crescerlo io. Per questo motivo sono spesso presente durante le lezioni di didattica a distanza e posso dire che i nostri bimbi sono in ritardo. Siamo stati tra gli ultimi a ricominciare e siamo stati i primi a richiudere. Mio figlio è in IV elementare e solo poche settimane fa hanno aperto i libri destinati alla quarta perché hanno ripetuto alcune cose del programma precedente. Genitori e insegnanti hanno fatto e continuano a fare salti mortali per cercare di farli stare a passo, ma io sono molto preoccupata per come sta andando e, nonostante frequenti una buona scuola pubblica, temo che mio figlio resti indietro con la DAD. Secondo me, la questione scuola è diventata incoerente e ammetto che sono abbastanza confusa e perplessa. Fortunatamente io posso seguire mio figlio e aiutarlo a gestire i collegamenti alla DAD, imparando ad avere dimestichezza con la tecnologia ma tanti genitori se non lavorano a casa non possono occuparsene. Insomma, non è così facile per i bambini”.

Vivi a Napoli da quasi 9 anni. È vero che l’amore per Napoli è nato vedendo Caravaggio?

“È verissimo (ride ndr). Ho sempre amato la storia e l’archeologia. Era il 2003 quando vivevo ancora a Milano e dopo aver letto che al museo di Capodimonte c’era una mostra di Caravaggio sono saltata su un treno con pochi soldi in tasca e solo un panino. All’epoca non c’era il Freccia Rossa e il viaggio è stato lunghissimo. Arrivata a Piazza Garibaldi pensavo di arrivare a Capodimonte a piedi. Pensa che follia! Per fortuna ho incontrato delle persone gentilissime che mi hanno spiegato come fare…”

Tu da Milano hai deciso di venire a Napoli, hai studiato recitazione anche qui. A volte si fa il percorso inverso. Ora che la conosci bene quale parola sceglieresti per descriverla?

“Umanità! Io ho vissuto ovunque ma in nessun luogo sono stata accolta come a Napoli. Adesso, non posso immaginare di vivere lontana da questa città con tutti i suoi pro e contro. Per me è importante che mio figlio cresca a Napoli, perché chi ha la fortuna di crescere qui ha i piedi ben piantati nella realtà, imparando a conquistare con il sudore ciò che sia ha. Sono fortemente convinta che dopo aver vissuto a Napoli mio figlio sarà preparato per affrontare il mondo. Non so perché, ma ho sempre pensato che i napoletani abbiano una marcia in più, cosa che dimostrano quando si trovano a lavorare in altre città”.

Napoli e le sue eccellenze le hai raccontate in tv conducendo il programma Guardando le stelle. Faresti un programma ideato da te per raccontare il Brasile?

“No! Non mi è passato per la mente. Io mi sento a casa a Napoli. I miei progetti sono immaginati qui. La mia vita oggi è in questa città così profonda dove c’è tanto da raccontare. Ormai non riesco più a vedermi in Brasile, non saprei raccontarlo, anche perché sono andata via che ero una ragazzina e poi le esperienze più belle le ho fatte in Italia non in Brasile. Senza contare che sono nata a Brasilia, non è come Rio o San Paolo che hanno una loro storia e cultura. Brasilia è una città nuova, progettata a tavolino per volere di qualcuno, non è nata naturalmente. Io amo il Brasile ma la mia città è Napoli e, anzi, detesto quando parlano male della mia città”.

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