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Da Gomorra a L’amica geniale, 200 serie tv da scoprire e rivedere

Nelle librerie ‘100 Serie Tv In Pillole - Manuale Per Malati Seriali’, due volumi in cui sono raccolte le serie più amate e seguite dal pubblico di tutto il mondo, senza dimenticare quelle meno mainstream ma che sono considerati piccoli capolavori. L’intervista a Luca Liguori

In questi giorni così duri, dove anche le immagini che arrivano dai social e dalla tv raccontano il dramma, la rabbia e l’amarezza di questo difficile e indimenticabile autunno, avere qualche ora di leggerezza diventa un’esigenza naturale. Nei limiti che sono rispuntati, ognuno cerca di evadere come può e nei modi che preferisce.

Se si dovesse stilare una top ten su cosa fare casa, sicuramente troveremo in cima ‘guardare serie tv’. Chi più e chi meno, tutti noi ci siamo accaniti nel seguire almeno una serie, domandandoci per quale motivo LOST è terminato in quel modo? Chi salirà sul Trono di Spade? Ross e Rachel di Friends, finalmente, torneranno insieme? Chi in Twin Peaks ha ucciso Laura Palmer? Ci sono poi i veri patiti, onnivori di serie, sempre in cerca di nuove.

Le serie televisive non sono solo un semplice passatempo, ma uno stile di vita casalingo. In alcuni casi, incidono così tanto sulla quotidianità che diventano dei fenomeni di tendenza.

Ne parliamo con il giornalista e critico napoletano Luca Liguori, il quale ha scritto insieme a due colleghi, Antonio Cuomo e Giuseppe Grossi, i due volumi 100 Serie Tv In Pillole - Manuale Per Malati Seriali, pubblicati, l’uno dall’altro, a distanza di due anni.

I due libri raccolgono in totale 200 serie tv, comprese quelle che sono diventate dei classici della storia della televisione, spaziando dai generi seriali più disparati: dai crime alle migliori serie drammatiche, dalle sitcom più amate agli show di fantascienza.

Due libri per 200 serie tv consigliate

Che siano recenti come 1992, The Mandalorian e Ozark, prodotti meno mainstream come Broadchurch oppure intramontabili cult come Willy, il Principe di Bel-Air, Dawson's Creek e Xena - Principessa guerriera, i tre autori approfondiscono ogni aspetto delle serie partendo dalla trama, con una breve critica; segnalando l'episodio memorabile; consigliando il target e la compagnia più adatta per la visione dello show. Inoltre, in entrambi i volumi, c’è un glossario inserito per coloro che, nonostante l'amore incondizionato per le serie televisive, non hanno familiarità con lo slang, scoprendo, così, parole come  lo shipping  (l'atteggiamento di tifo nei confronti di due personaggi tra cui il pubblico desidera veder nascere una relazione) e come cold open (un espediente narrativo utilizzato per immergere lo spettatore subito nel vivo della storia, ancor prima della sigla d'apertura dello show).

L’intervista a Luca Liguori

Altre 100 serie. Da dove ripartite con questo volume?

“Ripartiamo intanto da un buon successo in libreria e dalle tante affettuose richieste di altri ‘fissati’ come noi. Ma soprattutto ripartiamo da un mondo che si è ritrovato ancora più bisognoso di nuovi prodotti da guardare, per svagarsi, per non pensare ai problemi che ci circondano, anche semplicemente per passare il tempo. Per i due libri abbiamo scelto un taglio (auto)ironico e quindi per ogni serie segnaliamo anche gli ‘effetti collaterali’, a chi è consigliata e con chi guardarla e infine l'episodio memorabile”.

Anche 200 non ne sono poi tante?

“Assolutamente no, anzi anche per questo secondo volume abbiamo dovuto sacrificare tanti titoli a cui tenevamo. Ma d'altronde abbiamo visto come in questi anni i prodotti seriali di qualità stiano aumentando sempre di più, così come le piattaforme streaming sui cui vederli e quindi sì, c'è davvero l'imbarazzo della scelta”.

Una sottile differenza che c'è tra il primo e il secondo volume?

“Penso che la differenza più significativa sia proprio nelle serie che trattiamo: nel primo erano presenti quasi tutte le principali pietre miliari della serialità televisiva, nel secondo ci sono molte serie più recenti ma anche e soprattutto tante piccole gemme da riscoprire”.

Sicuramente, dopo due anni, sono aumentate le piattaforme. Ciò ha contribuito a segnare uno spartiacque, incoraggiando anche a osare nei contenuti e nei generi...

“Il numero di serie prodotte ogni anno si è moltiplicato nel corso dell'ultimo decennio. Una delle critiche maggiori che spesso vengono fatte a queste piattaforme è che la qualità media si è abbassata, ma questo è assolutamente normale e può valere per qualsiasi cosa - compresi libri, dischi, film – nel momento in cui aumenta si allarga la distribuzione e il pubblico di riferimento. Però dici benissimo, c'è anche chi si può permettere di rischiare e sperimentare molto di più ed è questo quello che conta”.

Mettiamo per un attimo in stand by la serialità angloamericana. Come è cambiata, invece, quella italiana? 

“Come sempre siamo più indietro e ci troviamo spesso ad inseguire, ma è indubbio che anche dalle parti nostre cinema e serie TV stiano sperimentando e rischiando come non succedeva da tempo. La chiave di volta sembra essere stata trovata nella commistione non tanto di generi ma di temi e stili: i prodotti migliori sono anglosassoni nel format e in alcune caratteristiche, ma riescono comunque a far emergere molto del nostro paese”.

Nel primo e nel secondo libro parlate di due serie diversissime ma che hanno in comune Napoli: Gomorra e L'amica geniale. Quali sono gli elementi che li rendono dei fenomeni mondiali?

“Sono due esempi perfetti di quanto dicevo prima: Gomorra di base prende molto in prestito da una delle migliori serie di sempre, The Wire della HBO, eppure riesce ad inserire elementi tipicamente nostrani così da trasformarsi in qualcosa di completamente diverso. Stessa cosa per L'amica geniale, realizzata in collaborazione con HBO (e si vede!), eppure perfetto esempio, aggiornato al 2020, di quel modo di fare cinema tutto italiano che 50/60 anni fa ci aveva fatti conoscere al mondo intero. Sono due serie che non possono che renderci orgogliosi e che devono rappresentare un nuovo punto di partenza per il futuro”.

A proposito di Napoli e HBO. Nel primo libro raccontate anche di The Young Pope di Paolo Sorrentino con il personaggio del Cardinale Voiello interpretato da Silvio Orlando... 

“Una serie che abbiamo amato fin da subito, dalle prime immagini viste alla Mostra del Cinema di Venezia. E infatti rappresenta proprio al meglio come cinema e serie ormai possano convivere e dialogare in modo naturale. Un autore vero e geniale come Sorrentino non può che far bene al mondo delle serie, e lo stesso vale per tutti i grandi interpreti che è riuscito a coinvolgere. Un attore come Silvio Orlando è un attore straordinario che da sempre riesce a farti affezionare ai suoi personaggi: proprio per questa ragione le serie possono rappresentare la sua dimensione ideale”.

Le serie che, anche se non ti hanno convinto, sono presenti in questo volume perché oggettivamente interessanti? 

Soprattutto in questo secondo volume siamo andati oltre il giudizio personale e abbiamo analizzato anche quelli che sono o sono stati dei veri e propri fenomeni. Penso per esempio a Grey's Anatomy o La casa di carta, due serie che non citerei mai tra le mie preferite ma che comunque sono indiscutibilmente tra le più importanti dell'ultimo decennio, diventando dei veri e proprio fenomeni culturali e social. Molte volte per snobismo decidiamo di passare oltre, ma invece andrebbero sempre e comunque viste, proprio per capire in prima persona se meritano o no tutto questo successo e clamore”.

Tra il primo e il secondo volume molte serie di riferimento sono terminate, serie che hanno fatto percepire quanto siano cresciute anche nella qualità degli script. Alcune, forse riescono a coinvolgere anche di più dei film in sala. 

“Le serie hanno sempre avuto questa caratteristica, quella di far appassionare e coinvolgere gli spettatori in modo perfino superiore rispetto ai film. In questo sono più vicine magari ai romanzi. La differenza in passato è sempre stata nella qualità: di messa in scena, di scrittura, anche di recitazione. Nel momento in cui i budget si sono allineati e le persone che ci lavorano sono le stesse, è ovvio che una serie di qualità e ad alto budget può avere addirittura una marcia in più rispetto ad un certo tipo di cinema”.

I reboot (il nuovo inizio di una serie, riprendendo personaggi e vicende)e la ripresa cinematografica delle serie al cinema. La tua opinione?

“Le serie al cinema, tranne qualche rara eccezione, non hanno mai funzionato particolarmente bene, questo è un dato di fatto. Di sicuro non sono brand che puoi sfruttare eliminando gli interpreti storici, perché lo spettatore è legato a quello, non al soggetto. Ha ancora meno senso prendere vecchie serie (che ancora si chiamavano telefilm) e sperare che funzionino ora sul grande schermo, dopo 30/40 anni”.

Prima dell'avanzare dell'emergenza si ventilava l'ipotesi di una reunion di Friends. E per il cinema pare essere cosa certa il secondo capitolo di Downton Abbey. Dobbiamo iniziare a tremare?

“Ecco, Downton Abbey rappresenta una delle poche eccezioni al discorso di cui sopra, ma perché è coerente con la serie: esperimenti del genere (vedi anche il “nostro” L'immortale) possono avere un pubblico. Le reunion invece sono un discorso diverso, di solito servono più per lanciare le nuove piattaforme (vedi HBO Max e Friends, almeno nell'idea iniziale) che per realmente accontentare gli spettatori. Potrebbero essere interessanti se autori e attori in primis avessero davvero qualcosa di nuovo da raccontare su quegli argomenti”.

Purtroppo ci stiamo preparando a dei nuovi giorni in cui trascorreremo parecchie sere in casa. Quali sono le nuove serie che assolutamente dobbiamo vedere e perché? 

“Per fortuna quelle non mancano e ce ne sono per tutti i gusti: a seconda di quello che uno cerca io mi sentirei di consigliare Watchmen, The Morning Show, Atlanta e Chernobyl. Tutte molto diverse tra loro, tutte di qualità e tutte con molte cose da dire sul mondo di oggi. Detto questo, quale migliore occasione anche per recuperare alcuni grandi classici? Col cinema si tende sempre di più a guardarsi indietro, con le serie meno”.

Una serie che per te è sopravvalutata anche se osannata da pubblico e critica? 

“Tra quelle recenti direi The Boys, che mi diverte ma non mi appassiona. Penso abbia il limite di aver già mostrato il suo meglio nella prima stagione, ma spero di essere smentito in futuro”.

La serie più attesa? 

Per quanto mi riguarda senza alcun dubbio The Last of Us: perché c'è di mezzo la HBO, un autore come Craig Mazin (Chernobyl) e soprattutto la saga di videogiochi più bella, cinematografica e rivoluzionaria dell'ultimo decennio. Se riusciranno a rendere anche solo un terzo di quella che è l'essenza del gioco avremo un capolavoro”.

Ma alla fine, perché siamo dipendenti dalle serie tv?

“Perché ci permettono di sognare e distrarci, di appassionarci a storie e personaggi, senza dover ammettere  a noi stessi che prima o poi tutto questo “sogno” finirà e dovremo tornare alla vita di tutti i giorni. Sapere di avere nuovi episodi o stagioni da vedere della nostra serie preferita è la nuova “coperta di Linus”.

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