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Selfie, il nuovo film di Agostino Ferrente che supera il dilemma su quale città raccontare

Al centro della scena due sedicenni che narrano il rione Traiano nel bene e nel male, immedesimandosi nel dibattito che da Gomorra in poi polarizza i napoletani. Filo conduttore la storia del loro coetaneo Davide Bifolco, ucciso nel 2014

Se qualcuno ci chiedesse "Chi sei?", finiremmo col descriverci attraverso quelle quattro paroline che si usano sui social - impulsivo, estroverso, solare, dolce? E se ci chiedessero di parlare del posto in cui viviamo a quante scorciatoie verbali ricorreremmo? A quanti preconcetti daremmo fondo, dichiarandoci allo stesso tempo vittime e carnefici degli stereotipi? Forse a queste domande cerca di rispondere Agostino Ferrente con 'Selfie', film meraviglioso in uscita il 30 maggio nelle sale. 

'Selfie' è interpretato e filmato con l'uso del telefono cellulare da Alessandro Antonelli e Pietro Orlando, due ragazzi del Rione Traiano. Il film ha partecipato al Festival di Berlino sezione Panorama con grande successo di critica: "Penetrante e commovente" lo ha giudicato The Hollywood Reporter, "Due fantastici protagonisti" sono per  Variety i sedicenni che si raccontano ricordando la morte del loro amico Davide Bifolco, nell'estate del 2014, scambiato per un latitante e colpito a morte durante un inseguimento da un carabiniere.

Ferrente aveva già narrato i sogni degli adolescenti in 'Le cose belle', (regia in coppia con Giovanni Piperno), in cui riprendeva i tre protagonisti a dieci anni di distanza, con il carico di illusioni perdute e la crudeltà dei quartieri che polverizza ogni possibile evasione, ogni speranza. Oggi 'Selfie' racconta due sedicenni del rione Traiano che cercano di raccontare il quartiere e loro stessi, utilizzando un cellulare che li riprende in primo piano e ciò che li circonda sullo sfondo. Ferrente alterna i filmati autoprodotti dai ragazzi montando alcune immagini di telecamere piazzate come quelle della videosorveglianza, filmati che sembrano ogni volta preannunciare il peggio, abituati come siamo a vederle in tv, nei telegiornali. E invece non succede nulla: uno schiaffo a chi ha il cervello pieno di video consumati e già visti prima ancora di premere 'play'. 

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Ma quello che i ragazzi - coetanei di Davide Bifolco - provano a fare è anche sbriciolare i preconcetti costruiti, soprattutto da molti media, sulla retorica del 'quartiere difficile', quella terribile frase ("Vabbè, uno di meno"), che purtroppo dopo la morte di Davide molti napoletani hanno pronunciato, semplicemente perché il ragazzino senza casco doveva essere automaticamente un delinquente, in quel rione. Commuove il rapporto tra i protagonisti, un'amicizia di rara intensità e bellezza, raramente raccontata al cinema. E la loro voglia di superare quel "muro" del quartiere - visto come la siepe del Leopardi, arrivare a comprare una casa a Posillipo, lasciare le strade probabili per tutte quelle possibili. "Ma è meglio non pensare a quello che non tengo", dice Alessandro a Pietro, quando il film sta per finire. Perché la speranza a volte crolla già a queste età - ed è questa la principale differenza con 'Le cose belle'. 

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