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Piazza Mercato, dove il rumore copre la musica del racconto: intervista a Maria Laura Longo

L'autrice di "Piazza Mercato a Napoli - Memorie e racconti di un paesaggio urbano, 1940-2016" (FrancoAngeli Edizioni), ci ha raccontato del suo lavoro su uno dei luoghi più affascinanti e complessi della città

Tornata recentemente al centro del dibattito cittadino per la sua incompleta riqualificazione, piazza Mercato è uno dei siti più complessi e stratificati di Napoli. Centro commerciale cittadino fin dalle sue origini (nel 13mo secolo), è stata tra le altre cose il luogo di partenza della rivoluzione di Masaniello.

Maria Laura Longo – dottorato in Storia delle donne e dell’identità di genere all'Orientale, cultrice della materia in Storia e Memoria e Storia Contemporanea al Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II e collaboratrice dell’Archivio Multimediale delle Memorie – ne ha parlato nel suo lavoro "Piazza Mercato a Napoli - Memorie e racconti di un paesaggio urbano, 1940-2016" (FrancoAngeli Edizioni). Le abbiamo chiesto del saggio, e della complessità di questo affascinante luogo di Napoli.

Maria Laura, che cosa l'ha portata ad approfondire le vicende storiche e sociali di piazza Mercato?
"Sono arrivata a piazza Mercato grazie alla ricerca di dottorato, svolta negli anni 2014-16 all’università L’Orientale di Napoli: la borsa di studio, erogata dalla Regione Campania, chiedeva esplicitamente che la ricerca vertesse sul tessile in Campania e io cominciai un tirocinio al Consorzio Antiche Botteghe Tessili di Piazza Mercato. Inizialmente ero smarrita e stupita per non aver mai fatto la conoscenza di un luogo così vicino alle mie traiettorie abituali di studio e lavoro: piazza Mercato, come scrivo nel libro, si trova tra due grandi linee direttrici, le strade di corso Umberto e via Marina, ma rimane come un’enclave, uno spazio chiuso e circoscritto. Frequentare quotidianamente la piazza mi ha aperto visuali prima ignorate, e parlare con chi la vive ogni giorno mi ha definitivamente fatto pensare che, più che un’enclave, si tratta di uno scrigno che custodisce la sua storia".

Com'è organizzato il libro?
"Il libro ha preso forma lentamente, nel tempo. Fondamentale è stata la guida delle professoresse Gabriella Gribaudi e Gia Caglioti, tutor del mio lavoro di dottorato, studiose attente e soprattutto grandi docenti: con loro ho più volte discusso la struttura della tesi, poi divenuta libro, e assieme abbiamo letto e riletto quanto emergeva dalle interviste e dai documenti che consultavo. I capitoli non seguono un ordine cronologico: sono piuttosto dei blocchi tematici che integrano la voce degli intervistati con le fonti scritte. Un primo capitolo è dedicato alla storia della piazza; il secondo capitolo si occupa invece della questione urbanistica, sottolineando che la piazza conserva la storia dei secoli, in particolare nelle sue bellissime chiese. Il terzo capitolo intreccia storia sociale ed urbana, analizzando i cambiamenti avvenuti in seguito all’apertura del CIS di Nola. L’ultimo capitolo, infine, si sofferma ad ascoltare la voce di chi cammina nella piazza ogni giorno e ne vive le contraddizioni, spesso impegnandosi in prima persona per cambiare le piccole e grandi ingiustizie di cui il territorio è vittima".

Ci sono dei passaggi storici che hanno definito più di altri la piazza Mercato che conosciamo adesso?
"Probabilmente, l’evento che ha maggiormente segnato il territorio è stata l’apertura del CIS di Nola e il conseguente svuotamento della piazza. Molti intervistati, commercianti storici, raccontano che nel boom economico non c’era neanche il tempo di pranzare, si lavorava senza pausa, e le merci non entravano negli spazi dei soli negozi, invadevano le strade, che vedevano sfilare persone che, da tutto il sud Italia, venivano a rifornirsi in piazza Mercato. Questa vitalità disordinata ha cessato di esistere alla fine degli anni ’80: nel 1986 il Centro Ingrosso Sviluppo sorge alle porte della città, con lo scopo dichiarato di divenire polo di attrazione per l’ingrosso del bacino meridionale. Da quel momento, è come se piazza Mercato si prosciugasse: tanti decidono di abbandonare il centro città e spostarsi in un luogo meno congestionato come il CIS. La conseguenza visiva è negozi chiusi, serrande abbassate, ma anche spazi meno presidiati, privati della propria funzionalità e, per questo, abbandonati a se stessi".

Lei parla di una piazza Mercato che è al centro della città e che la rappresenta, ma anche che ne è estranea, ad esempio per quanto riguarda gli itinerari turistici. Quali sono le ragioni di questa contraddizione?
"In parte, troviamo una risposta nella sua collocazione spaziale: i turisti, dalla stazione, percorrono la larga corso Umberto fino ad arrivare a quello che considerano centro storico, trascurando che anche piazza Mercato ne fa parte, storicamente e formalmente. Non si è invitati ad entrare nei vicoli, generalmente senza luce, che conducono alla larga piazza ed ai suoi tesori, sebbene alcuni si avventurino verso la Basilica del Carmine Maggiore oppure la gotica chiesa di S. Eligio, però ignorano la targa che attesta la presenza di Masaniello nella piazza, la moschea che accoglie tanti fedeli musulmani, la storica e preziosa chiesa di S. Giovanni a Mare, per non parlare della bellissima S. Croce e Purgatorio, chiusa ai nostri occhi. Ignorano anche la storia dei commercianti, che sono lì da generazioni e che, da soli, potrebbero raccontare le bellezze di quelle strade, che portano i nomi degli antichi mestieri che qui si svolgevano".

Nella piazza, lei spiega, il tempo si è fermato. E di questa stasi c'è una rappresentazione concreta, visibile, che è l'orologio Sant’Eligio Maggiore.
"Sì, esatto. L’orologio, incastonato nell’arco collegato alla chiesa gotica di S. Eligio, è un guardiano silenzioso della piazza. Tante volte, tra il tirocinio e le interviste, mi sono fermata all’ombra dell’orologio per mettere assieme i pensieri, le scoperte, i collegamenti, ma anche le delusioni e le gioie che la ricerca porta con sé. Conosce le storie di tutti quelli che vivono la piazza, del suo presente ma anche del suo passato, perché ha visto trascorrere e scorrere i secoli. L’esplosione della Caterina Costa, avvenuta nel porto di Napoli nel 1943, ha causato ingenti danni a cose e persone, oltre che il blocco dello scorrere delle lancette dell’orologio stesso. Questa immobilità è metafora, secondo me, del tempo sospeso che si vive in piazza Mercato, in attesa di essere ri-scoperta non solo dai turisti, ma dai napoletani in primis".

Quali fonti ha usato? C'è qualche racconto di persone del posto che l'ha colpita particolarmente?
"Ho utilizzato fonti scritte (documenti, ricerche d’archivio su giornali d’epoca, libri, saggi) ma anche e soprattutto fonti orali: le voci dei residenti, attivisti in associazioni, commercianti, italiani e stranieri, sono il cuore di questo libro. Ho lavorato attraverso il metodo della storia orale, nella convinzione che le storie raccontate dal basso, polifoniche, diano un ritratto complesso e mai banale dei territori. Le fonti orali, come insegna Gabriella Gribaudi, scrivono e ri-scrivono storie minute e quotidiane, microstorie che fanno la grande storia. Un altro grande studioso, Sandro Portelli, scrive che la storia orale ci serve a tracciare un orizzonte di possibilità: non ci dà illusorie certezze, ma apre a tanti interrogativi, ci sfida a porci altre domande. Per questo, nei tempi della risposta veloce, binaria, immediata, la storia orale è lenta, riflessiva, aperta: rivoluzionaria. Mi hanno colpito la malinconia di alcuni commercianti, la loro tenacia. Mi ha colpito l’accoglienza dell’imam della moschea e le parole schiette dei residenti. Mi hanno colpito le associazioni, numerose, che insistono e resistono in un territorio difficile. E mi hanno colpito le parole di un dirigente scolastico illuminato, ora in pensione, che ringrazio ancora per una testimonianza amara e appassionata, di cui voglio riportare un estratto: 'C’è una narrazione all’interno del territorio, che non si riesce a vedere, perché è sovrastata dal rumore; è come una musica, quando ci sta l’armonia e ci sta un rumore di fondo grosso, non si riesce a sentire la musica'".

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