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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cultura

Piccoli eroi-normali di una Napoli che lavora visti da Vincenzo Moretti

Dodici storie di lavoro, di passione e di rispetto. Il professore racconta nel suo libro come inizia il riscatto di una città. "La mia Bella Napoli non è un sogno, esiste. Dobbiamo raccontarla tutti insieme"

Dodici storie, dodici persone semplici, “normali”: insegnanti, artigiani, precari, ingegneri... differenti per età, quartiere, estrazione sociale, ma accomunati dal fatto di essere napoletani e dal loro modo di vivere e combattere, attraverso l’etica del lavoro.

Partenopei che non si arrendono, ma che lo fanno senza gesti plateali, solamente ostinandosi a rispettare le regole, anche quando questo sembra un’astrusità, l’eccezione. E’ la passione per ciò che fanno, per ciò che costruiscono giorno per giorno con fatica e con rigore, che li rende eroi quotidiani in una città che ha bisogno di questo, più che di ogni altra cosa.

Dodici napoletani che si raccontano in prima persona in “Bella Napoli - Storie di lavoro, di passione e di rispetto” (Ediesse), scritto da Vincenzo Moretti (sociologo, professore di Sociologia dell’organizzazione all’Università di Fisciano e responsabile della sezione Società, Culture e Innovazione della Fondazione Giuseppe Di Vittorio).

Già qualche giorno fa in una intervista a Paolo Chiariello, giornalista di sky Tg24, parlavamo di Napoli e del suo estremo bisogno di “normalità”, di una città che può essere salvata non da interventi estremi fatti nelle emergenze, ma da un vissuto quotidiano fatto di persone per bene, che fanno le cose per bene “perché è così che si fa”, proprio come ci racconta Moretti nel suo libro.

“Dove li mettiamo quelli che si sono aggrappati con le unghie, con la speranza e con i denti, alla possibilità di non chinare il capo, di non arrendersi alle inefficienze, al pressappochismo, al clientelismo, agli ismi senza fine che hanno ammorbato la città? Quelli che talvolta ne hanno fatto una questione etica, altre volte una regola di vita, altre ancora una ragione pratica?”

Ed è da questa esigenza di raccontare di questa parte della città che ancora non si arrende che nasce questo libro: “Da una parte Napoli, una città che non ti regala niente, neanche la sua bellezza straordinaria, unica, anche quella te la devi faticare, a meno che non ti accontenti delle cartoline. Dall'altra parte l’Italia, un paese senza una visione condivisa del proprio futuro, di poche speranze e con scarse opportunità, in primo luogo per le generazioni più giovani. In mezzo io, con la mia voglia di raccontare la mia città attraverso il lavoro di napoletani normali, che credono in quello che fanno e amano farlo bene. Il senso del mio libro in fondo è tutto qui, nell'idea che il lavoro ha valore, che nel lavoro c'è dignità, autonomia, indipendenza, che attorno al lavoro si può dare identità e costruire il futuro di un Paese, attorno alla ricchezza sfrenata no. Ho cercato di raccontare tutto questo raccontando Napoli e ammetto che continuo a essere felice di averlo fatto. La mia Bella Napoli non è un sogno, esiste. Dobbiamo semplicemente decidere di tornare a raccontarla tutti assieme. Io ho soltanto cominciato, adesso tocca a voi. Come avrebbe detto mio padre "chi me vo' bene appriesso me vene”

Dunque una Napoli che vive, che respira, che esprime il meglio di sé attraverso la passione per il proprio lavoro, riconoscendone la sacralità, la funzione fondamentale che assume in una città troppo spesso calpestata dal vittimismo e dal disfattismo. Una Napoli che ci regala quella voglia di riscatto di cui si sente particolarmente il bisogno, che spalanca le finestre e fa entrare aria pulita a cacciare definitivamente quella viziata della superficialità e del luogo comune.

Dodici storie come altre cento, mille e più che non possono certamente cancellare le brutalità e il decadimento che le circonda, ma che si accostano ad esso e con armi “bianche” lo combattono, come una lunga marcia della pace che raccoglie gente lungo il percorso, che s’ingrandisce e diventa un’onda anomala destinata a cambiare l’assetto della costa. Una Napoli in cui possiamo e vogliamo ancora credere.

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