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Servillo: “Lavorare con Dustin Hoffman è stato il grande regalo che mi ha dato questo mestiere”

Il regista Donato Carrisi e Toni Servillo raccontano L’uomo del labirinto, il thriller che fino all’ultimo sorprenderà lo spettatore e che segna il ritorno del due volte premio Oscar Dustin Hoffman

«Ho trovato affascinante i vari livelli di labirinto presenti nel racconto di Donato Carrisi, dove labirintica è anche la città immaginaria de L’uomo del labirinto non collocabile nello spazio. C’è un labirinto mentale dove le persone si interrogano su come mai ci sono finite dentro» così Toni Servillo restituisce le suggestioni de L’uomo del labirinto, secondo lungometraggio del regista e scrittore Donato Carrisi uscito questa settimana nelle sale cinematografiche dove accanto a Servillo c’è un mostro sacro del cinema, Dustin Hoffman.

Tratto dall’ultimo romanzo scritto dallo stesso Carrisi, L’uomo del labirinto è un film percettivo in cui si ha la sensazione di sentire gli odori, l’umidità delle mura, di avere il fiato corto per lo spavento, insomma, sembra di essere in un incubo vissuto con i corpi degli attori: «Per certi versi è proprio questo tipo di coinvolgimento che volevo dare agli spettatori. Io gioco nel ricreare nello spettatore il suo labirinto mentale ed è lì che mi voglio addentrare, suscitando delle emozioni nella mente dello spettatore - racconta il regista - Questo film non può paragonarsi a un horror, ma è il classico thriller psicologico dove le emozioni vengono dall’animo e anche dalla memoria dei sogni del pubblico».

Tutto ruota attorno al ritrovamento di Samanta una ragazza rapita 15 anni prima da un uomo che porta la maschera di un coniglio. A dare la caccia al mostro due uomini che non potrebbero essere più diversi anche negli strumenti che usano: il Dottor Green un profiler che ha il volto di Dustin Hoffman e Bruno Genko un detective sdrucito che ha pochi giorni di vita interpretato da Toni Servillo. Tra i due uomini è una sfida a distanza dove lottano anche contro il tempo in cui non c’è probabilmente nessun reale vincitore. Tutti i personaggi si muovono in un mondo strano che in qualche modo appartiene al nostro passato ma lontano dalla realtà in cui il tempo sembra non esistere. Non a caso, il film è stato girato nei teatri di posa di Cinecittà.

L’uomo del labirinto è pieno di simboli: c’è la figura del minotauro che nell’immaginario di Carrisi incarna uno psicotico che ha il volto di un coniglio facendo subito pensare ai deliri psichedelici di Alice nel Paese delle Meraviglie; ci sono le dichiarate ispirazioni della Divina Commedia di Dante; i forti riferimenti vintage dando alla pellicola dei toni da cinema classico. Un film che ha delle scelte estetiche inquietanti nelle ambientazioni e nelle caratterizzazioni dei personaggi impressionanti, disturbanti e che rappresentano la discesa agli inferi di Genko, un uomo che sta per morire per cui vede cose che gli altri non vedono e si può permettere di fare cose proprio perché non ha più nulla da perdere. Un personaggio che ha molto provato Servillo non solo fisicamente (per interpretare Genko si è sottoposto a una rigida dieta) ma anche psicologicamente visto che il personaggio di Servillo affronta costantemente la morte.

«All’inizio io non ero molto convinto di fare il detective visto che nel primo film di Donato ho interpretato un poliziotto ufficiale anche piuttosto corrotto. Ne L’uomo del labirinto il mio personaggio è un detective un po' incapace e lo troviamo quando scopre di avere pochi mesi di vita. Crea una complicità con il pubblico il fatto che sta per morire. Gli conferisce un volto umano. - commenta Servillo - Genko è un personaggio che si trova immerso in un labirinto infernale per indagare sul rapitore della ragazza sequestrata 15 anni prima ed entra in contatto con persone pericolose in cui anche la paura fisica prevale richiamando anche un’inquietudine morale. Questa caratteristica qui mi ha portato ad affezionarmi alla fragilità di Bruno Genko».

Nonostante la forte complessità del personaggio proprio per questo continuo presagio di morte che gli si legge sul volto in ogni scena, Servillo ha trovato la giusta distanza per entrare e uscire dal personaggio: «Non è stato difficile uscire dal personaggio di Bruno una volta che è finito il film. In generale non ho quel tipo di attaccamento romantico ai personaggi che interpreto. Di sicuro Genko è un personaggio sui generis che conduce un’indagine a sua volta sui generis. Per certi versi potrebbe essere anche divertente. Simpatico per la sua cialtroneria e trasandatezza ed è questo che lo porta a risolvere il caso casualmente. Bruno è differente dal personaggio di Hoffman che affronta lo stesso caso ma con strumenti e personalità totalmente diversi».

Dopo il suo primo film La Ragazza nella Nebbia, con cui Donato Carrisi ha vinto il David di Donatello come miglior regista esordiente, per lui è stato fondamentale avere di nuovo Servillo tra i protagonisti: «Ho scelto di nuovo Toni semplicemente perché lui e Bruno Genko hanno la stessa anima. Non potevo che scegliere lui. La scelta di un attore non avviene mai per caso e mi sono accorto che loro hanno questa intima somiglianza tra il suo modo di recitare e il personaggio che avevo scritto. Stesso discorso è per Valentia Bellè, la protagonista nascosta del film che con la sua interpretazione riesce a essere perfetta contraltare della storia in cui non rischia mai di eccedere rischiando di caricare di enfasi un personaggio estremamente difficile».

Nell’uomo del labirinto c’è tutto il cinema che piace a Donato Carrisi dove i richiami ai thriller degli anni ’90 come Seven, I soliti sospetti e Il Silenzio degli innocenti si avvertono in ogni inquadratura, tutti film giocati sulla suspence che è seminata nella mente dello spettatore: «Quel genere di cinema degli anni ’90 è stato grandioso e non capisco il motivo per il quale sia sparito. Se ci si riflette quei thriller sono pieni di musica e molto colorati».  Musica e colore si ritrovano ne L’uomo del labirinto dove prevale la musica sinfonica ma soprattutto è estremamente forte la scelta dei colori in cui il rosso prevale come conferma lo stesso Carrisi: «Non volevo un film cupo dalle tinte glaciali, ho voluto che ci fossero tutti i colori. L’ispirazione l’ho avuta guardando le foto di scena dei film di Alfred Hitchcock e in particolare di Psycho.  Pochi lo sanno, ma Hitchcock aveva voluto set e costumi coloratissimi. Ma avendo finanziato personalmente una pellicola in cui nessuno credeva, non poteva “permettersi” il Tecnicolor per cui aveva optato per il bianco e nero. Ma le intenzioni iniziali di Hitchcock era fare Psycho estremamente colorato. La stessa cosa ho voluto fare anch’io».

Viene fuori un film che mira a conquistare il mercato internazionale aprendo un nuovo filone nel nostro cinema. È già stato acquistato nei paesi più importanti nel mondo aiutato anche una sceneggiatura meticolosa e da un cast di qualità composto per la maggior parte da attori provenienti dal teatro. Sicuramente il fiore all’occhiello de L’uomo del labirinto è Dustin Hoffman che ritorna a essere protagonista in un film dopo molti anni. Per la realizzazione del film è stato cruciale avere Dustin Hoffman per interpretare il Dottor Green, personaggio che nel libro non è presente. «È stato semplice convincerlo gli ho raccontato la storia e gli ho detto che c’era Toni Servillo. Lui aveva già letto alcuni miei romanzi e aveva visto La ragazza nella nebbia. Alla fine mi ha detto “Wow, ok lo faccio!”. È stato così immediato come tutte le cose più belle - racconta Carrisi - Dustin Hoffman è un uomo generoso. Ha dato tante nuove sfumature al personaggio. Ha collaborato con tutti sul set indistintamente. È stato presente sul set anche quando non girava dando dei consigli anche a Valentina con cui condivide quasi tutte le scene. È stato incoraggiante con tutti».

Tanti sono gli aneddoti legati alla presenza di Hoffman durante le riprese e ce n’è uno in particolare che Carrisi ricorda: «C’è una cosa che non ho raccontato che riguarda il copione di Hoffman. Quando è andato via siamo entrati nel suo camerino e abbiamo trovato circa 30 copie dello script ognuna con appunti diversi. Le ho tutte conservate ed è preziosissimo. Questi dettagli la dicono lunga sulla qualità di attori come lui e Servillo. Entrambi hanno in comune la grande energia che portano con loro rapportandosi con tutta la troupe. Sono aggreganti. Soprattutto si mettono completamente a servizio delle storie e di chi li dirige».

Toni Servillo e Dustin Hoffman hanno solo due scene insieme ma per Servillo è stato entusiasmante avere l’opportunità di lavorare con una leggenda del cinema: «Per un attore della mia generazione lavorare con Dustin Hoffman è stato un grande regalo che mi ha donato questo mestiere. Io non l’ho mai chiamato per nome ma sempre ‘Mr. Hoffman’ per mantenere il rispetto e l’ammirazione per un uomo che è stato un mito. Per me è stato un onore condividere la responsabilità del racconto del film con un attore come lui che ha rivoluzionato negli anni ‘70 la storia del cinema americano».

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