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Cultura

Rosario Diana presenta "Il buio sulla zattera" e "Fabbrica occupata"

Due nuovi spettacoli

Dopo l’esperimento “Camus 2020” – che la scorsa estate ha visto protagonista Andrea Renzi – il drammaturgo e regista Rosario Diana oggi coinvolge nuovamente due attori storici (affiancati da altri performer e danzatrici) dello scenario campano: Imma Villa e Tony Laudadio. Alla prima, napoletana, reduce dalla serie “L’amica geniale” nella quale è interprete del personaggio Manuela Solara, tocca “Il buio sulla zattera” il cui debutto è fissato per venerdì 13 gennaio alle 20.30 all’Institut Français di cultura di via Crispi (biglietti 10 euro).

A Laudadio, corpo teatrale e autore di narrativa, spetta invece “Fabbrica occupata – monodramma iperbolico in prova”, che andrà in scena alla Domus Ars di via Santa Chiara venerdì 20 alle 20.30 (ingresso 10 euro). Entrambi gli allestimenti rientrano nella cosiddetta “Trilogia degli esclusi”, che si completa nel secondo movimento con “Nauaghíanaufragium”, rappresentato nel 2021. È lo stesso autore che racconta genesi e ambizioni del progetto.

Diana, come e perché ha immaginato questa “Trilogia”?

“Ho voluto dare voce e visibilità agli “ultimi”. Questi sono impersonati tipologicamente sia nei disperati della zattera del dipinto di Théodore Géricault, cioè i migranti che naufragano nel Mediterraneo, sia in un operaio rimasto solo a occupare la fabbrica dove lavora. Sono le tre grandi figure - anche corali - su cui ho appuntato la mia attenzione. Ciò corrisponde a un’idea di teatro e di letteratura intesa, come accadeva nell’antichità, quale strumento per conservare la memoria e suscitare attenzione su alcuni temi. Devo ringraziare Rachele Cimmino e Carlo Faiello dell’Associazione “Il Canto di Virgilio” per aver accettato di produrre questa nuova trilogia in collaborazione con il ministero della Cultura, la Regione Campania, l’Ispf-Cnr, l’Accademia di Belle Arti di Napoli, l’Institut Français di Napoli e l’Associazione Quidra”.

La sua, Diana, è una strada per tradurre la filosofia in teatro. Cosa troveranno gli spettatori in questi due allestimenti?

“Spero che possano trovare occasione e spunti di riflessione sul proprio presente a partire dalle vicende narrate. Ossia che ognuno possa avviare una meditazione “in proprio”, al di là di quello che ho scritto e che viene rappresentato sul palcoscenico”.

Nel primo caso, “Il buio sulla zattera”, un dipinto dell’800 diventa messinscena per il palco. Qual è il processo creativo per migrare da un linguaggio figurativo a uno corporeo?

“Il processo parte sempre da una ricerca storica e teorico-filosofica. La fase successiva è la trasposizione degli esiti della ricerca e della riflessione teorica nel linguaggio del teatro ed eventualmente della musica. È sempre necessario inventare un dispositivo drammaturgico che sostenga la narrazione e la meditazione sulla narrazione. Nello spettacolo ispirato dalla “Zattera della Medusa” (il titolo del quadro realizzato da Géricault nel 1818 ed esposto al Museo del Louvre di Parigi, ndr) ho utilizzato l’espediente della prosopopea:

Imma Villa e Silvia Ajelli incarnano la nave e poi la zattera. In “Fabbrica occupata”, al contrario, ho pensato a una vicenda che oggi potrebbe apparirci “iperbolica”.

In “Fabbrica occupata”, appunto, immagina la solitudine di un operaio-resistente fra gli impianti tecnologici. È l’eterno ritorno del conflitto uomo-macchina o c’è dell’altro, considerata la presenza nel cast di una danzatrice?

“Non parlerei di conflitto uomo-macchina: un operaio non può essere in competizione con una macchina che gli semplifichi e alleggerisca il lavoro.

Il conflitto è ingenerato dal funzionamento di una società e dalle scelte che

si fanno: è dunque un problema politico. Se la risposta “politica” all’automazione è il licenziamento degli uomini sostituiti dalle macchine, allora c’è conflitto. Se, invece, si ristruttura una società in maniera che tutti possano beneficiare della riduzione della fatica implementata dall’uso della tecnologia, a questo punto ci sono buone prospettive che a regnare sia la pace, per così dire”.

Un ruolo cruciale, in entrambi i progetti, spetta alla colonna sonora: sia originale sia di repertorio. Quale complicità stabiliscono queste composizioni?

“Non tanto il ruolo di “assecondare” la parola, quanto quello di “provocare” l’ascoltatore insieme alla parola. Nello spettacolo sulla “Zattera della Medusa”, tranne Bach, uso solo musica contemporanea (da Ligeti a Beyer a Quindici) le cui sonorità espandono le sollecitazioni drammaturgiche che provengono dal testo. Direi, quindi, che il termine complicità è del tutto adeguato. In “Fabbrica occupata” le prime note che si ascoltano all’inizio sono quelle del “Requiem” di Mozart: sarà un’allusione al lavoro umano che si avvia al suo termine? …”.

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