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Cultura

Gabriele Russo: “Guerra Santa scatena reazioni conflittuali invitandoci a guardare in noi stessi”

Il regista napoletano porta al Teatro Bellini lo spettacolo che affronta il terrorismo islamico e il conflitto generazionale

Affrontare il terrorismo islamico osservandolo da un altro punto di vista. Parte da qui "Guerra Santa" lo spettacolo di Fabrizio Sinisi diretto da Gabriele Russo che fino a domenica 2 febbraio sarà al Piccolo del Teatro Bellini di Napoli.

Prodotto dal CTB di Brescia dove ha debuttato, "Guerra Santa" è già un caso della drammaturgia contemporanea vincitore del Premio Testori per la Letteratura 2018, già in corso di traduzione in Austria, Francia, Germania e Stati Uniti mettendo in scena un confronto/scontro tra religione cattolica e islamica, tra generazioni diverse raccontando l’incontro di un sacerdote (Andrea Di Casa), intento ai preparativi per la Pasqua, e Leila (Federica Rosellini), una giovane orfana allevata dalle suore, scappata dall’istituto per unirsi ai terroristi. Il dialogo fra i due diventa una resa dei conti fatta di accuse, invettive e difese. Il linguaggio adottato da Fabrizio Sinisi è un linguaggio alto e duro, caratterizzato da sei monologhi, in cui lo spettatore è quasi tentato di irrompere sul palco per dire la sua, essendo un argomento che è entrato a viva forza nelle nostre case.

Gabriele Russo che con i fratelli Roberta e Daniele porta avanti il Teatro Bellini è stato chiamato per dirigere Guerra Santa, confermando la sua attenzione per i giovani autori contemporanei.

Gabriele, come ti sei avvicinato a questo testo di Fabrizio Sinisi autore che tu sei molto legato?

“Ci siamo incontrati in occasione del Global Shakespeare che abbiamo fatto qui al Teatro Bellini e ci siamo ripromessi che avremmo lavorato insieme. L’occasione giusta è arrivata con il progetto triennale che Fabrizio sta curando per il CTB di Brescia composto da tre spettacoli e Guerra Santa è il primo della trilogia. Lui ha una scrittura davvero potente sicuramente complessa. Non è naturalistica. Il testo di Guerra Santa è fortemente simbolico in cui si mescolano filosofia e citazioni della Bibbia, strutturato da blocchi di monologhi. Non c’è un dialogo tra i due protagonisti ma è un processo fatto un ‘vomito’ di parole accusatorie che si riversano. La mia messa in scena è assolutamente rigorosa, rispettando lo spirito crudo. E’ per certi versi antiestetico, senza indorare la pillola o abbellirlo in termini di forma”. 

E’ uno spettacolo che pone tante riflessioni. Non è detto che non sia realmente accaduto, ma un pensiero che sfiora è quello di chiedersi su come andrebbe se un confronto del genere accadesse davvero da qualche parte del mondo?

"Sono d’accordo, non lo sappiamo ma magari da qualche parte del mondo un confronto di questo genere è avvenuto e avviene. E’ uno spettacolo bello tosto ma anche pieno di sentimenti. Da un lato raccontiamo una storia specifica mentre dall’altra parte i due personaggi assumono una rilevanza simbolica diventando due topos. Si passa dal particolare per poi innalzarsi a un discorso più metaforico dove entrano in gioco i conflitti tra Occidente e Medio Oriente e quello generazionale. Lei diventa terrorista perché non si ritrova negli ideali occidentali e si aggrappa a quelli islamici. Leila è un personaggio irrisolto. Lei guarda alla religione islamica come se le desse in mano una missione e uno scopo più alto cosa che non trova in quella cristiana a volte solo rassicurante. Da qui scattano una serie di contraddizioni. Lo spettatore aderisce e non aderisce alle ragioni politiche e religiose dei due personaggi".

E’ un altro modo di raccontare il terrorismo islamico e il pessimismo europeo, ma è anche un dramma generazionale. Secondo te quanto può aiutare a capire uno spettacolo come Guerra Santa?

"Sono abbastanza sicuro che accenda un’ulteriore riflessione. Al di là dello spettacolo che può piacere o meno in quanto tale, nella gente che l’ha visto a Brescia ha acceso un dibattito trovando anche da ridire rispetto ad alcuni concetti affrontati. Leila dice le sue ragioni sui motivi per i quali fa saltare in aria le persone e ovviamente ciò fa scattare delle reazioni nel pubblico anche conflittuali. A volte Leila potrebbe irritare se si pensa che possa avere un po' di ragione. Quando si ascoltano le ragioni dell’altro, per quanto estreme possano essere, possono accadere due cose: o c’è un rifiuto totale oppure potrebbero esserci degli sprazzi in cui si potrebbero condividere parzialmente delle posizioni antitetiche. E’ uno spettacolo importante in questo senso perché invita anche a guardare in noi stessi”. 

Si tende a identificarsi più in Leila o nel prete?

"Essendo anche uno spettacolo sul confronto generazionale penso che dipenda molto dalle fasi della vita in cui ci si ritrova. Io da pochi anni sono diventato padre per cui faccio un po' da calibro per quello che concerne il conflitto generazionale. Il prete assume un po' la figura paterna per cui ci sono tutte le recriminazioni che un figlio fa contro un padre. Ogni volta resto stupito dalla capacità di Sinisi che è un ragazzo di poco più di 30 anni ad avere questo mondo emotivo, a tirarlo fuori riuscendo a esprimere anche stati d’animo lontani dalla sua esperienza personale. Detto ciò credo che si bilancino: parte del pubblico si potrebbe identificare nel prete e parte in Leila. Credo che dipenda anche da quanto forte sia in noi la parte genitoriale e quella filiale. A seconda dei casi può prevalere una parte piuttosto che un’altra”.

Uno spettacolo dalle tematiche delicate da far vedere anche e soprattutto ai ragazzi…

"Ovviamente sì. Generalizzo, ma vedendo dalle esperienze che abbiamo al Bellini le scuole anche per seguire i programmi scolastici tendono a scegliere i classici anche se quando i ragazzi vedono spettacoli di commediografi contemporanei fatto bene restano inchiodati sulla sedia. Certo, sarebbe necessario farlo vedere ai ragazzi però restiamo solo per una settimana e questo complica un po’ le cose. Dopo Napoli andremo all’Elfo di Milano”.

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