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La maledizione della Gaiola: l'isola "jellata"

L’isolotto, situato di fronte Posillipo, è considerato dai napoletani un luogo sventurato, poiché tutte le persone che ci hanno abitato o soggiornato anche per poco tempo hanno avuto disgrazie

La Gaiola è una piccola isola situata di fronte Posillipo, nel cuore del “Parco sommerso della Gaiola”, un’area marina protetta che si estende dal borgo di Marechiaro sino alla splendida Baia di Trentaremi. Il suo nome deriva dal latino ‘cavea’ (piccola grotta) che il dialetto napoletano ha trasformato in ‘caviola‘, ma in passato, era nota come “Euplea” ossia come protettrice della navigazione e sicuro rifugio. L’isolotto, raggiungibile a nuoto in poche bracciate dalla costa, è noto per le numerose leggende funeste che l’hanno riguardata: i napoletani lo considerano, infatti, un luogo “jellato”, poiché tutte le persone che ci hanno abitato o soggiornato hanno avuto disgrazie. I misteri che avvolgono l’isolotto hanno radici antiche, risalgono ai tempi romani, tempi in cui sull’isola abitava il liberto Publio Vedio Pollione. Della vita di questo un uomo si sa poco, si sa solo che amava le murene e le allevava in vasche che lui stesso aveva fatto scavare nel tufo, e a cui dava in pasto, di tanto in tanto, qualche schiavo. Accanto all’isola sorgeva un edificio romano quasi del tutto sommerso: la Scuola di Virgilio. Qui il poeta-mago insegnava ai suoi allievi arti magiche e a preparare riti e potenti pozioni. Secondo una delle leggende, sarebbe stata proprio una di queste a gettare un maleficio su tutti coloro che sostavano su questo enorme scoglio. Con la decadenza dell’impero romano la splendida villa di Pollione fu abbandonata e per secoli non si seppe più nulla. Nel 1820 cominciarono campagne di scavi. A promuoverle fu un toscano appassionato di archeologia, Guglielmo Bechi, che riportò alla luce l’antica dimora di Pollione, scegliendola come residenza. Al tempo fu battezzata Villa Bechi, ma successivamente prese il nome di tutti i personaggi, più o meno illustri, che ne acquistarono la proprietà. Alla morte di Bechi, nel 1871, la figlia la cedette a Luigi De Negri, un uomo d’affari che scelse la villa come sede della sua società di Pescicoltura. In poco tempo la società fallì e Bechi dovette dire addio alla sua dimora. La proprietà fu acquistata dal marchese del Tufo che nel fare alcuni lavori creò dei danni archeologici inestimabili. Nel 1926 la villa era collegata alla terraferma da una rudimentale teleferica. In una notte di tempesta il cavo si spezzò mentre una signora tedesca, Elena Von Parish, stava rientrando sull’isola. La donna venne rapita dal mare e sparì. Hans Praun e Otto Grumbach, che ospitavano la donna alla Gaiola, furono talmente scossi dalla vicenda che si suicidarono: uno subito, e l’altro qualche tempo dopo aver fatto ritorno in Germania. In breve tempo l’isola venne comunemente riconosciuta come jellata, e gli eventi che seguirono alimentarono ulteriormente questa leggenda. Una barca di scugnizzi marinaretti del collegio Ascarelli-Tropeano fu travolta nel 1931 dalle onde sullo stesso scoglio della Cavallara. Maurice Sandoz, titolare della nota casa farmaceutica, abitò sull’isola nel 1950, ma finì in una clinica psichiatrica dove si suicidò convinto di essere finito in bancarotta. Qualcuno cercò di cambiare la fama sinistra della villa. Il barone tedesco Paul Karl Langheim nel 1960 fece brillare di vitalità quell’angolo di Posillipo, organizzando feste ed incontri mondani. Ma tutti i suoi sprechi lo mandarano rapidamente sul lastrico. Fu allora che Giovanni Agnelli acquistò la villa, ma dopo avere subito la perdita di diversi familiari la rivendette rapidamente ad un altro miliardario. Paul Getty, magnate del petrolio, entrò in possesso della villa nel 1968. A lui tutto filò liscio fino al 1973, quando la ‘ndrangheta rapì il figlio. Dopo l’amputazione di un orecchio del ragazzo, la famiglia Getty pagò un riscatto di 17 milioni di dollari. Nel 1978 l’isola passò a Gianpasquale Grappone, creatore del Loyd Centauro. Finì in galera travolto dai debiti, ed il giorno in cui la villa fu messa all’asta, la moglie Pasqualina Ortomeno morì in un incidente stradale.

Ma una spiegazione a tutte queste sciagure forse c’è. Ritorniamo agli inizi del '900. Nel 1910 la villa fu acquistata dal senatore Giuseppe Paratore. Il suo affezionato nipote, Augusto Segre, trascorreva tutte le estati dallo zio. Un giorno, mentre sistemava una libreria della villa, scoprì una tela anti-umidità, dietro la quale c’era un affresco raffigurante una grande testa terrificante, forse una Gorgone. Lo zio Paratore, convinto che quel volto mostruoso portasse sfortuna, lo fece nascondere dietro una parete di mattoni. Ma cosa ci faceva una Gorgone, mostro mitologico dell’antica Grecia, alla Gaiola? Un membro dell’Istituto del Restauro a Roma, dopo aver esaminato la fotografia scattata da Segre prima che il dipinto fosse murato, lo classificò come risalente al periodo dell’impressionismo tardo-romano, databile tra il 2° e il 3° secolo d.C. Pochissime sono le certezze riguardo questo affresco. Ma una cosa va detta: i greci usavano raffigurare la Medusa, la più nota delle Gorgoni, decapitata per proteggersi dai nemici. Lo spostamento dell'affresco dal significato "protettivo", il suo occultamento, il silenzio della sua esistenza potrebbero spiegare, in qualche modo, la "jella" della Gaiola. 

Oggi la proprietà della villa è della Regione Campania, che l’acquistò all’asta. In questi anni l'amministrazione ha affidato la gestione a diverse associazioni, ma nessuna di queste però ha mantenuto la promessa di restaurare l’edificio, e la cattiva fama della villa non è stata mai cancellata.

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