rotate-mobile
Cultura

Francesco Di Leva: "Napoli protagonista di una importante rivoluzione artistica"

Intervista all’attore che dopo le soddisfazioni del film di Martone alla Festa del Cinema di Roma è in concorso con un film girato in parte durante la fase più critica del primo lockdown. Da domani sarà anche in tv con Vincenzo Malinconico, avvocato di insuccesso dove interpreta un buffo gregario della camorra

Francesco Di Leva è tra gli attori di riferimento della Napoli che è sempre più legata al fermento creativo che ruota attorno al cinema e alla serialità.

E’ sempre stato attivo in teatro. Per lui, è uno dei veicoli più importanti per cambiare la società, cosa che fa San Giovanni a Teduccio al NEST che ha cofondato e che negli anni si sta ritagliando uno spazio rilevante nel circuito teatrale tanto da aprire questa stagione con un sold out.

Da quando ha iniziato la sua collaborazione con Mario Martone dai tempi de Il Sindaco del Rione Sanità, la sua carriera corre veloce nel cinema d’autore.

Martone l’ha di nuovo scelto per interpretare don Riga in Nostalgia, personaggio ispirato a Don Antonio Loffredo con cui ha vinto il Nastro D’argento. Tante soddisfazioni e altrettanti i progetti che sono all’orizzonte dove non manca la tv con la serie Vincenzo Malinconico Avvocato d’Insuccesso, che lo vede vestire i panni di Amodio Tricarico, originalissimo gregario della Camorra che diventa l’ombra di Malinconico, alias Massimiliano Gallo.

Alla Festa del cinema di Roma è tra gli attori che rappresentano Napoli con La Cura, il primo tra gli italiani ad aprire le danze del concorso, e con I Nostri Ieri, film selezionato per la sezione collaterale della Festa, Alice nella Città.

La Napoli solitaria de La Cura

Dopo Nostalgia, che inizia la sua strada per entrare nella cinquina del miglior film internazionale agli Oscar, e il trionfo internazionale di E’ stata la mano di Dio, Napoli torna protagonista, esaltata nella sua bellezza solitaria e struggente durante la fase più drammatica del primo Lockdown nel La Cura di Francesco Patierno.

Protagonisti sono un medico, interpretato da Di Leva, un volontario che ha il volto di Alessandro Preziosi e un attore milanese approdato a Napoli che vede Francesco Mandelli in un ruolo che lo fa uscire dalla sua conforte zone. Tre personaggi che affrontano l’emergenza e la solitudine scegliendo l’empatia e la solidarietà.

La pandemia diventa il pretesto per parlare dei grandi temi dell’attualità ispirandosi a La Peste di Camus. Il male affrontato da Camus nel film di Patierno è il virus in cui la finzione del cinema e la vita si intrecciano e si confondono fino a essere equiparati in un unico piano narrativo, prendendo la forma di un progetto meta cinematografico.

Un film costruito passo dopo passo dal sapore di una produzione laboratoriale. Tutti hanno dato amore a La Cura, il primo tra tutti è Francesco Di Leva, che ha partecipato fin dall’inizio al processo creativo collaborando anche alla sceneggiatura del film.

Alcune scene sono state girate in 5 giorni durante il primo lockdown, nel momento più critico. Infatti, il film alterna la vicenda reale di una troupe cinematografica che gira l’adattamento della Peste di Camus nei giorni più intensi del lockdown, e la storia di “finzione” della Peste che viene messa in scena.

Intervista a Francesco di Leva

Di Leva, partiamo da Nostalgia selezionato a rappresentare l’Italia agli Oscar. A prescindere di come andrà, è una bella soddisfazione per tutti voi che ci avete lavorato. Come avete commentato con Martone?

“Da buoni napoletani scaramantici non abbiamo commentato. Ovviamente, siamo molto felici di quest’opportunità.”

Quanto può anche aiutare il Rione Sanità, il lavoro della comunità di Don Loffredo e dei suoi ragazzi?

“Sicuramente può aiutare. Ma, a prescindere, loro già fanno tanto e sono bravissimi nel loro impegno nel migliorare il Rione. Tutti i giorni ne raccolgono i risultati. Quello che poi può avvenire con il lancio internazionale di Nostalgia potrebbe essere qualcosa di positivo ma per ora è prematuro parlarne. Il cammino è lungo. Vedremo cosa accadrà!”

Per il lavoro che stai facendo, sei testimone di come a Napoli stiano cambiando le cose e come sia al centro dell’audiovisivo e il film La Cura, in concorso alla Festa del cinema di Roma, n’è uno degli esempi.

“Sì, è vero. Nostalgia, E’ stata la mano di Dio, La Cura e tanti altri film sono dimostrazioni eterogenee di come Napoli sia la protagonista di questa importante rivoluzione artistica. Qualcosa sta cambiando e io, avendo partecipato ad alcune di queste produzioni, lo sto vivendo in prima linea. Dobbiamo sorridere ed essere fieri di come il futuro della nostra Napoli e del cinema procedano insieme.”

La Cura è uno degli esempi. Qui, arte e vita si intrecciano andando sullo stesso piano narrativo. Come pensi che sia andata essendo un progetto molto sperimentale?

“L’empatia è essenziale sia nel film e che nel testo di Camus. E’ la vera cura, perché noi siamo troppo individualisti e noi dovremmo iniziare a preoccuparci degli altri. Penso che questo sia arrivato. La vita degli attori si somma a quella dei personaggi. Noi attori eravamo a servizio di questi personaggi, creando un meccanismo interno in cui attori e personaggi non si distinguevano più. L’idea di un adattamento de La Peste di Camus è nata dalla voglia di lavorare con Francesco Patierno unita dalla curiosa coincidenza che entrambi, nello stesso periodo, stavamo rileggendo La Peste. Tutto questo avveniva qualche mese prima dello scoppio della Pandemia e abbiamo pensato che fosse il progetto giusto, visto che è metafora di temi attuali. Poi è arrivato il Covid e il nostro film è diventata un’avventura pionieristica. Per prima cosa è cambiato il titolo perché La Cura, un significato simbolico per alleviare ciò che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo. Il tema centrale affrontato da Camus è il male che nel film noi individuiamo in un virus, che abbiamo davvero vissuto. Il gioco del teatro è centrale nel film ma la realtà inevitabilmente è piombata durante la lavorazione. Noi attori abbiamo raccontato e rappresentato nel film la pandemia, l’isolamento e tutti gesti collegati all’emergenza sanitaria mentre erano davvero in atto, dandoci un senso di strano switch in cui noi non uscivamo mai realmente dalla finzione creata sul set.”

Infatti, vita e cinema, in qualche modo, si sono unite anche nella realtà girando nella prima fase del lockdown essendo l’unico set allestito in quei complicati giorni con troupe e location ridotte all’osso, tanto che pur essendo finzione, Il film ha un respiro da documentario.

“Assolutamente sì! Ci sono state delle azioni che i nostri personaggi facevano appena si batteva il ciak, ma che una volta che lasciavamo il set ripetevamo nella realtà. Per esempio, nel film c’è una scena in cui mi tolgo i vestiti sull’uscio di casa per non infettare l’ambiente interno, quest’azione io l’ho fatta davvero quando ritornavo a casa mia da mia moglie e i miei figli. Avvertivo responsabilità e protezione nei loro confronti. E tutti noi che ci abbiamo lavorato, abbiamo avuto la stessa sensazione. Poi, c’era Napoli deserta. Una cosa che non si è mai vista e che, si spera, non si ripeta più. Il silenzio assordante della nostra città è indimenticabile. Era più assordante dei rumori che Napoli ha abitualmente. È stato strano girare le scene in cui camminavo da solo dove ero inquadrato solo da un drone che Francesco Patierno manovrava in video chiamata da Roma.”

Quando tu, Preziosi e Mandelli e tutto il cast avete visto la proiezione alla Festa del Cinema di Roma, essendo passati anche due anni da quando l’avete girato in quei giorni drammaticissimi in cui nessuno aveva una percezione di ciò che sarebbe accaduto, che tipo di idea avete e avuto e quale sensazione c’è stata in voi, ripensando a come avete vissuto questo set?

“Parlandone, abbiamo avuto un’idea che si sia abbassata la guardia. La viviamo già come qualcosa di lontano, di passato mentre non è così e ancora ne patiamo gli effetti. Abbiamo vissuto un’esperienza comune in settimane uniche, drammatiche e surreali che ha risvegliato dei ricordi ma che al tempo stesso ci ha posto delle domande su quello che potrebbe accadere in un prossimo futuro. Dovremmo fermarci per riflettere e capire come diventare migliori. Non è diverso da ciò che ha fatto Camus. Lui alla fine de La Peste ha lanciato riflessioni e allert profetici sentendo che il male in forme diverse può ritornare.”

Sono mesi in cui sei coinvolto in progetti diversi. Adesso c’è anche la tv con Vincenzo Malinconico. Tu sei Amodio Tricarico. Un gregario della camorra sui generis è daltonico ed è vestito sempre di giallo da sembrare un canarino esploso. Fa ridere appena entra in scena. Quanto ti sei divertito a interpretare il diavolo custode di Malinconico?

“E’ stato divertentissimo interpretare un personaggio buffo come Tricarico. Dopo molti personaggi cupi che rappresentano la malavita organizzata e che io stesso ho interpretato è stata una boccata d’aria fresca. Attraverso di lui si sbeffeggia e si ridicolizza la Camorra senza però essere banali o prenderla sotto gamba. Tricarico arriva nella vita di Malinconico innescando meccanismi comici in cui si evidenzia anche la stupidità della sua violenza. Sono stato fortunato a far parte di questo progetto dove ho lavorato con grandi professionisti come il regista Angelini e dove ho condiviso la scena grandissimi attori, come Massimiliano Gallo. Insieme abbiamo recitato ne Il Sindaco del Rione Sanità e ora ci ritroviamo in questa bellissima avventura. Abbiamo lavorato su sceneggiature solide ma abbiamo avuto anche la libertà di improvvisare laddove è stato possibile”.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Francesco Di Leva: "Napoli protagonista di una importante rivoluzione artistica"

NapoliToday è in caricamento