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Cultura

A Venezia 77 i tesori del Mann vivono nel presente

Presentato alle Giornate degli Autori Agalma, il documentario di Doriana Monaco che racconta in modo inedito il Museo Archeologico Nazionale di Napoli nella sua quotidianità e vitalità

Un diverso modo di scoprire il Mann. È la prima cosa che arriva di Agalma, il documentario di Doriana Monaco prodotto da Antonella Di Nocera e Lorenzo Cioffi con il Museo Archeologico Nazionale di Napoli diretto da Paolo Giulierini e presentato in anteprima assoluta alla 17esima edizione delle Giornate degli Autori di Venezia 77.

Con le voci narranti di Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni, Agalma racconta la vita quotidiana del museo, luogo dove sono custodite le opere dell’arte classica che nel docufilm sembrano vivere come osservatori silenziosi di ciò che accade di nuovo ma anche di costante tra le mura di uno dei musei più famosi al mondo. La macchina da presa della giovane regista campana diventa l’occhio di statue (in greco la parola statua è tradotto proprio‘agalma’); figure scolpite su marmi o dipinte dai vasi che passano per le mani dei restauratori, tra i pochi ad avere un contatto anche materico insieme a quel gruppo di lavoratori che le spostano e che allestiscono le sale.

Il Mann con le sue opere, è filmato nel pieno della sua vitalità, alimentata dal rinnovo e apertura alla città, centrali della guida di Giulierini. Oggi, il Museo Archeologico è un crocevia di umanità tra visitatori curiosi, studenti, ricercatori, operai che ristrutturano nuove aree del museo, bambini a cui le guide spiegano protagonisti e leggende di tempi passati e i giornalisti che assistono alle presentazioni delle nuove mostre.

A Venezia c’è stata molta curiosità come ci racconta Doriana Monaco il giorno dopo la presentazione del suo film al Lido accompagnata dai produttori Di Nocera-Cioffi, Paolo Giulierini e dai giovani talenti campani che con Doriana hanno realizzato un documentario originale, dai ritmi serrati che riesce a non cadere nel pedante.

Agalma, a Venezia il documentario sul MANN

Monaco, prima di tutto, quali sono le prime riflessioni dopo l'anteprima alle Giornate degli Autori al Festival di Venezia?
Sicuramente la felicità di essere selezionati è enorme. Ho notato che fosse in linea con gli altri film selezionati alle Giornate degli Autori, ciò ha generato più interesse ed è stato un punto incisivo. Per me è stata la prima esperienza qui per cui è stato emozionante anche vedere la sala piena. Ho avvertito davvero una bella energia nell’aria.”

Come è nato il progetto e quanto tempo siete stati al museo con la macchina da presa?
Sono laureata in Storia dell’Arte e già mentre studiavo è nata quest’idea anche perché, nel frattempo, già cresceva il mio interesse per il documentario. È come se archeologia e cinema del reale, si fossero intrecciati. Quindi è stato un passaggio naturale fare un film che approcciasse al mondo e all’arte classica. Il Museo Mann si è messo subito a disposizione dandoci tutti i permessi. Nella fase iniziale ero da sola con una videocamera e ho incominciato a vagabondare per le sale del museo per mettere a fuoco il taglio da dare. È stato un lungo lavoro durato quasi tre anni”.

Le opere e le statue sono simbolo e testimonianza della storia ma nel documentario hanno un'ulteriore vita: osservare le persone che vivono e passano per il museo.
Sì, assolutamente è tra i punti chiave. Io stessa sono entrata al Mann con il desiderio di avvicinarmi matericamente alle opere. A un certo punto ho iniziato a filmare i visitatori, osservando i loro sguardi. Proprio attraverso quegli sguardi le statue vivono nel presente…”

Racconta l'intera vita del museo, mostrando anche aspetti nascosti, che potrebbero non venire in mente. Quanto la struttura è pianificata e quanto è stata affidata all'improvvisazione?
Le prime riprese le ho fatte nel laboratorio di restauro, perché mi interessava la natura frammentaria di queste opere, curate da continui e delicati interventi di manutenzione. Dai restauratori ho prestato sempre più attenzione anche verso le altre persone che lavorano nel museo, come coloro che movimentano le opere spostandole, un’azione che potrebbe sembrare semplice, invece, hanno un ruolo fondamentale. Durante le riprese mi sono accorta di aver trovato un cantiere materiale e immateriale.”

Cosa ti è rimasto più impresso andando ad arricchire Agalma rispetto all'idea originaria?
Sicuramente è stato lo spostamento della statua di Atlantide da un piano all’altro del museo, un lavoro attento e pesante per passare solo dal piano di sopra a quello di sotto. E’ di impatto e ho pensato che fosse nevralgico per raccontare il museo. Un altro momento essenziale è stato quando ho capito che i visitatori avessero un ruolo importante. Sinceramente, all’inizio ero dubbiosa sulla presenza dei visitatori ma passando tanto tempo a filmarli, mi sono resa conto che c’erano tanti modi di guardare le opere di un museo rappresentando punti di vista diversi.”

La cinepresa è un occhio esterno che osserva silenziosamente ciò che accade, compresi i cambiamenti che negli ultimi anni ci sono stati al Mann. Ogni immagine ha ritmo, impedendo che ci possano essere istanti di noia. Questa è stata l'operazione più complessa.
Assolutamente, questa è stata la parte più difficile. Nel nostro caso il montaggio è stato basilare e lunghissimo. Agalma non si poggia su una narrazione classica, per cui bisognava tenere insieme il racconto che aveva trame sottili, quasi impercettibili. È vero, tutto è basato su un ritmo che abbiamo concepito come una sinfonia per trovare il giusto binomio tra il momento puramente quotidiano che in un museo si ripete quotidianamente e immagini oniriche, frutto della mia mente, che vanno veloci. Questo è stato un elemento che ha aiutato a non rendere il film noioso.”

Un museo è fatto per il pubblico. Non è solo uno spazio per istruire ma è fatto per essere un luogo dello spirito, della conoscenza e del piacere”, in queste parole dette da un ricercatore su come bisognerebbe vivere un museo è racchiusa l’essenza di Agalma.
Sì, questa riflessione è nata proprio girando la scena in cui è protagonista Andrea Milanese. In quella scena si affronta anche un tema cardine del documentario, il cambiamento che negli anni c’è in un museo, legato ai tempi storici in cui esso avviene dove anche l’allestimento contribuisce il coinvolgimento del pubblico…”.

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