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Pompei, mappato il Dna di una vittima dell'eruzione: aveva 35 anni e la tubercolosi

Quanto scoperto si inserisce all'interno di un più ampio filone di studi, condotto dal Parco archeologico di Pompei che da anni lavora – anche con il contributo di Università e Istituti scientifici – ad una mappatura di tutto il Dna disponibile

Sta facendo scalpore la notizia che riguarda la lettura del Dna di uno degli abitanti di Pompei, tra le vittime della disastrosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Pubblicato sulla rivista Scientific Reports, lo studio che lo riguarda dimostra che è possibile recuperare il Dna antico dai resti umani di Pompei.

L'uomo aveva fra 35 e 40 anni, soffriva di una malattia simile alla tubercolosi ed era probabilmente originario dell'Italia centrale. Si tratta di una classificazione innovativa: finora erano stati analizzati solo frammenti del Dna mitocondriale, ossia del Dna non contenuto nel nucleo delle cellule, prelevate sia da esseri umani sia da animali di Pompei.

La storia dell'estrazione del Dna a Pompei

Quanto scoperto si inserisce all'interno di un più ampio filone di studi, condotto dal Parco archeologico di Pompei che da anni lavora – anche con il contributo di Università e Istituti scientifici – ad una mappatura di tutto il Dna disponibile, riservandosi di diffondere tali risultati quando il quadro sarà completo e scientificamente esaustivo.

Il Dna degli abitanti di Pompei viene estratto dal 1998, profilandosi come uno dei più radicati ambiti di analisi scientifica nel sito. Lo studio recente ha un suo punto di forza nell'individuazione per via genetica di una vistosa patologia, la tubercolosi, già rilevata autopticamente, sebbene l'individuo in esame abbia permesso l'estrazione di un genoma al 33%, quindi non completo. Il soggetto in studio, essendo stato scavato nel 1934 ed essendo rimasto a lungo esposto, presenta percentuali di un Dna endogeno inferiori agli standard che si rilevano nella mappatura strutturata e ragionata ancora in corso.

Tale monumentale mappatura genetica che interessa l'intera popolazione pompeiana, avviata dal 2015 è in corso a cura del Parco con la collaborazione dell’Università di Firenze, con il fine di avere un vero e proprio ritratto di una popolazione di epoca imperiale.

Questo progetto nasce dalla consapevolezza che il deposito vulcanico ha agito come "guscio" sui resti dei pompeiani, di fatto evitando che venissero "inquinati" da fattori esterni. L'ambizioso progetto ha portato alla vincita di un PRIN (Progetti di Ricerca di Rilevante Interesse Nazionale) finanziato per 800mila euro, dal titolo "POMPEII molecular portrait".

Le scoperte in un recente passato

Già in passato, lo studio del Dna di vittime dell'eruzione del 79 d.C. aveva portato a risultati importanti, a volte sorprendenti. Per esempio le analisi sui calchi del gruppo di un presunto nucleo familiare, rifugiatosi nella casa del Bracciale d'Oro, hanno rivelato che lo stesso era composto da due adulti e due bambini di sesso maschile, ma privi di rapporti di parentela genetica.

"Ogni dato in più che risulta dalle indagini è un'importante conquista per la ricerca scientifica che contribuisce a completare il quadro storico di un’epoca e di una civiltà. È frutto di collaborazioni interdisciplinari, di un lavoro di squadra lungo e paziente, che necessita anche di una volontà comune di divulgare notizie rigorose, evitando facili protagonismi che possono rendere fuorviante l’informazione. – dichiara il direttore Gabriel Zuchtriegel - Il Parco archeologico di Pompei è campo privilegiato di sperimentazione di tali studi, ed è il detentore dei conseguenti risultati, che raccolti e comparati sono in grado di assicurare una comunicazione corretta della ricerca archeologica, antropologica e in generale scientifica".

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