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Cultura

La leggenda del Diavolo di Mergellina

La storia racconta di una nobildonna che con la sua bellezza indusse in tentazione il vescovo Carafa. Nella Chiesa di Santa Maria del Parto c’è un dipinto del 1542 che raffigura San Michele Arcangelo che scaccia un demonio con il volto della donna tentatrice

Nella Chiesa di Santa Maria del Parto, sul primo altare a destra, c’è un dipinto, «San Michele che scaccia il demonio», noto popolarmente come  “Il Diavolo di Mergellina”. Il quadro, realizzato da Leonardo da Pistoia, e' ricco di significati metaforici e si ricollega a una famosa leggenda napoletana. Osservando il dipinto si vede San Michele Arcangelo intento a trapassare la gola di un demonio (il Diavolo di Mergellina), personificato da una seducente donna seminuda con una folta chioma ramata e con tratti tipici di un serpente. L’iscrizione sulla tavola pittorica «Fecit victoriam alleluia, 1542, Carafa» ricorda la storia del Vescovo di Ariano Irpino, Diomede Carafa, commissionario del quadro, indotto in tentazione da una nobildonna napoletana. La leggenda narra che una fanciulla dall’incredibile bellezza, probabilmente Vittoria Colonna D’Avalos (secondo alcune fonti scritte la giovane era stata novizia del Monastero di Sant’Arcangelo a Baiano in Forcella, convento che suscitò diversi scandali), si era talmente invaghita dell’affascinante Vescovo Carafa che fece ricorso a una potente fattura d’amore per farlo innamorare di lei. La donna si recò da un strega, soprannominata l’Alamanna, e si fece preparare un elisir d’amore. Tornò a casa e versò la pozione su alcune frittelle dolci che poi offrì a Diomede come “elemosina per i poveri”. L’uomo di chiesa accetto di buon grado e assaggiò quelle delizie con tanta premura, ma improvvisamente fu sopraffatto da una insana passione per la donna: non riusciva più a distogliere dalla sua testa l’immagine e il sorriso di Vittoria. Le preghiere da sole non bastavano.. questo tormento comprometteva il suo voto di castità, il suo onore e la sua carriera ecclesiastica. Vittoria era il suo demonio, la tentazione carnale fatta donna. Disperato, il Vescovo Carafa decise di rivolgersi a una sua vecchia conoscenza, un monaco procidano esperto di negromanzia, magia ed esorcista autorizzato dal Cardinale di Napoli. In seguito a un consulto segreto tra i due, il monaco trovò la formula adatta per scacciare il demonio. Estrasse due immagini (l’Arcangelo Michele - il guerriero di Dio e Lucifero - l’angelo ribelle Signore del male) e le accostò, pregò intensamente e consigliò a Don Diomede Carafa di commissionare ad un artista un dipinto i cui colori dovevano essere impastati con un balsamo speciale che sarebbe servito come anti fattura al rituale esercitato. Il dipinto doveva essere posto, poi, in un luogo sacro e benedetto con acqua santa.

La leggenda del Diavolo di Margellina è stata riportata anche da Benedetto Croce nel suo libro “Storie e leggende napoletane”, dove descrisse questa storia in maniera molto dettagliata specificando come la fatturazione d'amore fosse una “pratica” molto diffusa nel ‘500 a Napoli. Per questo motivo si diffuse, in quel tempo, il detto “Si bell e ‘nfam comm’ o riavule ‘e Margellina...”: molti uomini lo dicevano riferendosi a quelle donne che con il loro potere ammaliatrice erano riuscite a stregare i loro cuori.

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