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Cultura Chiaia / Via Mergellina

Santa Maria del Parto, la chiesa fatta costruire dal Sannazaro

Il poeta, che vi è sepolto, ebbe in dono dal re Federico d'Aragona il terreno su cui fece edificare anche la sua abitazione

Era un uomo di corte Jacopo Sannazaro, l’umanista e poeta nato e vissuto a Napoli a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento. In particolare, era legato al re Federico d’Aragona, che, oltre a una pensione di seicento ducati, gli donò un terreno a Mergellina (quando il sovrano fu esiliato in Francia, il poeta lo seguì e solo dopo la sua morte fece ritorno a Napoli). Su quel terreno, appartenuto precedentemente ai monaci benedettini del convento dei Santi Severino e Sossio, fece costruire la sua abitazione e la Chiesa di Santa Maria del Parto, che ancora oggi svetta su largo Sermoneta, di molto rialzata rispetto alla strada.

L’edificio sacro fu eretto nei primi anni del Cinquecento e il nome deriva dal poema De partu Virginis, una delle opere di Sannazaro. Il complesso è composto da due chiese: una inferiore, dedicata alla Natività, e una superiore, più importante e ricca di testimonianze artistiche, dedicata a san Nazario (probabilmente per onorare un voto fatto dal poeta durante l’esilio francese) e rimasta parzialmente incompiuta per l’epidemia di peste che si diffuse in città in quegli anni. Probabilmente, là dove ora sorge la Chiesa, esisteva già una villa a cui venne fatta aggiungere dallo stesso Sannazaro una torre: i lavori di realizzazione di queste cominciarono nel 1504, quando il poeta si trasferì a Mergellina. La chiesa sottostante fu terminata nel 1525, interamente scavata nel tufo, somigliante alla vicina tomba di Virgilio, con un ingresso autonomo e dedicata a santa Maria del Parto, divenendo luogo di preghiera per tutte le donne incinte o per quelle che desideravano un figlio. L’usanza prevedeva che il 25 di ogni mese si recitassero preghiere a favore di queste donne.

Con l'assedio francese del 1528 il complesso venne saccheggiato da Filiberto di Chalons e la torre abbattuta: fu così che l'anno successivo il Sannazaro decise di donarlo al frati dei Servi di Maria, ai quali assicurò un vitalizio, chiedendo anche di erigere un monumento funebre in suo onore dopo la sua morte. Con la soppressione degli ordini monastici voluta da Napoleone Bonaparte durante il decennio francese, anche i Servi di Maria furono allontanati e la chiesa con le sue proprietà passarono in mano ai privati: fu in questo periodo che la facciata venne modificata per dare spazio alle abitazioni. Nel 1812 fu affidata alla confraternita del Santissimo Rosario e utilizzata come luogo di sepoltura. A fine Ottocento restava ben poco degli interni, soltanto alcuni affreschi e lo stemma gentilizio del suo fondatore, scomparsi poi definitivamente.

Tre rampe di strette scale conducono al piazzale sul quale si affaccia il sagrato, costituito, oggi, dal tetto di un edificio sottostante. La facciata dalla forma rettangolare e tinteggiata in rosso, è divisa in due parti: quella inferiore è caratterizzata da un arco, nel quale è iscritto un arco più piccolo; accanto, altri due archi più piccoli utilizzati come ingressi secondari e sormontati da due epigrafi su cui sono affrescate le figure di Federico d'Aragona e Jacopo Sannazaro, fortemente danneggiate. La parte superiore invece è caratterizzata da tre balconi, tutti terminanti con stucchi riproducenti un timpano, e nella parte centrale, in un altro timpano, sormontato da una croce in ferro, si trova un rosone. All’interno, in una sorta di piccola cappella è custodito un presepe con statue lignee, realizzato nel XVI secolo da Giovanni da Nola e precedentemente custodito nella chiesa inferiore.

A navata unica con volta priva di decorazione, presenta una pavimentazione risalente agli inizi del XX secolo con piastrelle in bianco e nero che hanno sostituito quella precedente in maiolica, le cui tracce rimangono in una delle cappelle laterali. L'altare maggiore fu aggiunto solo nel XVIII secolo, nei pressi dell'arco trionfale, ai cui piedi sono poste, a sinistra, la statua di San Jacopo e, a destra, la statua di San Nazario. La tomba del poeta è nell’abside: il monumento funebre è stato realizzato da Giovanni Angelo Montorsoli, con l'aiuto di Bartolomeo Ammannati; l'ambiente è completato da affreschi di fine Seicento.

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