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Cucina

Da cibo di strada ad aperitivo di lusso: storia e ricetta del tarallo 'nzogna e pepe

Ad avere inventato questa deliziosa ricetta sono stati i fornai che per utilizzare lo “sfriddo”, cioè i ritagli della pasta con cui avevano appena preparato il pane da infornare, univano a questi avanzi la ‘nzogna (la sugna) e il pepe, dando vita a una ciambella intrecciata che infornavano insieme al pane

Da cibo povero ad aperitivo di lusso, i taralli ‘nzogna, pepe e mandorle sono lo spuntino più amato dai napoletani. Rotondi, intrecciati, friabili, sono una squisitezza indiscussa del patrimonio culinario partenopeo. Come gran parte delle antiche pietanze napoletane, anche i taralli sono nati per riciclare e non buttare via il cibo avanzato. Ad avere inventato questa deliziosa ricetta sono stati i fornai che per utilizzare lo “sfriddo”, cioè i ritagli della pasta con cui avevano appena preparato il pane da infornare, univano a questi avanzi la ‘nzogna (cioè la sugna) e il pepe. Creavano con la pasta due striscioline, le attorcigliavano tra di loro dandogli una forma a ciambella, e li infornavano insieme al pane. La mandorla venne aggiunta all’impasto solo in un secondo momento all’inizio dell’ ‘800. Venduti a pochi soldi, i taralli facevano bene al fornaio, che utilizzava la pasta rimasta, e al popolo, che poteva comprarli. Ne “Il ventre di Napoli” (1884) la scrittrice partenopea Matilde Serao descrive i famosi “fondaci“, ossia le zone popolari adiacenti al porto, dove viveva una popolazione denutrita e di conseguenza sempre affamata. Per nutrire quella gente, dalla fine del ‘700, il cibo principale erano proprio i taralli (la sugna con il suo apporto calorico garantiva, infatti, la sopravvivenza). In questo periodo sembrano essere nati anche i famosi “tarallari” che portavano una cesta in spalla colma di taralli coperti da un canovaccio, e li vendevano in strada ben caldi gridando a gran voce “taralle, taralle cavere!”. Ma la gente era solita consumare questo cibo povero anche nelle osterie, accompagnandolo con del vino. La tradizione narra che, in passato, il popolo lo consumava inzuppandolo nell’acqua di mare, un’abitudine certamente poco igienica e salutare, oggi vietata per ovvi motivi. L’ultimo tarallaro della storia è stato Fortunato (Fortunato Bisaccia), il "re dei taralli" di Napoli, che con il suo carrettino, a cavallo tra gli anni '70 e '80, vendeva i suoi taralli sugna e pepe tra i vicoli del Centro Storico, gridando "Furtunat’ tene a’ rrobba bella ‘nzogna ‘nzogn”. Oggi questa figura è scomparsa, i tradizionali taralli sugna e pepe si possono comprare nelle panetterie, nelle osterie, e nei caratteristici chioschi sul lungomare di Mergellina. Con il tempo, il tarallo napoletano da genere di prima necessità è diventato uno “sfizio”, uno spuntino, un cibo da sgranocchiare durante una passeggiata per strada o da consumare ad un aperitivo, ad un buffet o come antipasto. Degustato, non più con il vino, ma con la birra… non a caso si dice che "a birra è ‘a morte d”o tarallo!".  Un’ultima curiosità su questa prelibatezza napoletana è capire da dove nasce la parola “tarallo”. C’è chi dice che viene dal latino “torrère” (abbrustolire), chi dal francese “toral” (essiccatoio). In riferimento alla sua forma rotondeggiante, qualcuno pensa che "tarallo" derivi invece dall’italico “tar” (avvolgere), o  dal francese antico “danal” (pain rond, pane rotondo). La tesi più attendibile afferma, invece, che discenda dell’etimo greco “doratos” (“sorta di pane”). Se non è chiaro da quale etimo nasca il tarallo, si sa invece con certezza dove cresce: sotto un panno che favorisce la lievitazione.

Per chi volesse prepararlo in casa ecco la ricetta tradizionale.

INGREDIENTI PER 4 PERSONE

Per il lievitino:

  • 100 ml di acqua tiepida
  • 7 gr di lievito fresco
  • 80 gr di farina

Per l’impasto:

  • 400 gr di farina 00
  • 100 ml di acqua tiepida
  • 150 gr di sugna (strutto)
  • 150 gr di mandorle intere non pelate
  • 1 cucchiaino di sale
  • 10 gr di pepe nero
  • 10 gr di lievito fresco
  • 30-40 mandorle per guarnire

PREPARAZIONE

Sciogliere il lievitino nell’acqua tiepida e aggiungere la farina. Mescolare il tutto fino ad ottenere un impasto uniforme. Coprire l’impasto con la pellicola e fare lievitare per un'ora in un luogo asciutto. Nel frattempo fare tostare in forno per 3-4 minuti le mandorle. Terminata la lievitazione del lievitino mettere l’impasto in una ciotola ampia, aggiungere la sugna, le mandorle tritate, il pepe, il sale e l’acqua. Mescolare il tutto velocemente e versare sul piano di lavorazione. Tagliare l’impasto in porzionicine di 50 gr dalle quali ricavare due filoncini di circa 20 cm di lunghezza. Chiudere i due filoncini ad un’estremità, attorcigliarli, e unirli creando una ciambella. Mettere i taralli così realizzati su una placca da forno rivestita con carta forno. Prendere le mandorle per la guarnizione, bagnarle e inserirle all’interno dei taralli. E’ importante bagnare le mandorle altrimenti si staccheranno durante la cottura. Fare lievitare i taralli per 2-3 ore: lieviteranno poco ma questa fase è molto importante per il risultato finale. Infornare in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti, 10 minuti prima di ultimare la cottura mettere un foglio di stagnola nel ripiano del forno superiore rispetto ai taralli: questo serve a non farli scurire troppo. A cottura ultimata tirate fuori i taralli e lasciarli intiepidire appena. Caldi sono buonissimi, ma anche freddi sono favolosi: se conservati bene, in una busta chiusa, resteranno croccanti per diversi giorni.

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