rotate-mobile
Cucina

Il pasticciere Iginio Massari scrive una lettera d'amore a Napoli

Le memorie di viaggio del celebre pasticciere pubblicate sui social: "I napoletani popolo arguto, pirotecnico, focoso esuberante. E gli struffoli sono il dolce emblema del genio di questa città"

"Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli; e inventarla. Mi riferisco ai napoletani e a Napoli": comincia così un lungo post di Iginio Massari su Napoli. Nelle sue memorie di viaggio pubblicate su facebook, il popolare pasticciere trasforma in parole i suoi nobilissimi sentimenti verso la città. "I napoletani sono fatti così perchè vivono su una “bomba”, qual è il Vesuvio, pronta ad esplodere in ogni momento o sono stati loro, i napoletani, geneticamente così vitali, esuberanti, focosi, a trasformare il suolo col loro temperamento?", si chiede Massari. 

"Napoli da sempre freme di vita. I secoli, le persone e i pensieri si accavallano disordinatamente e diventa difficile riuscire a mantenere la propria identità in un luogo come questo. Ci si lascia assorbire facilmente dai colori, plasmare dai moti del mare e intontire dalla luce. Sono convinto che, in un contesto come questo, si possa vivere gioiosamente, così come morire senza particolari nostalgie del proprio luogo d’origine". 

Partendo dalla filosofia e dalla letteratura, Massari si concentra poi sul suo campo, la pasticceria, con un confronto tra babà e zeppola. "Entrambi dolci di antiche origini, nobile il primo, più popolare la seconda, entrambi soffici, il babà è una sfida estrema dell’equilibrio: da queste parti si dice che una goccia di rum è poco e due sono troppe, c’è il rischio che “infiammi”. Con la zeppola, invece, non si corrono di questi rischi, ma si può soffrire di nostalgia: guarnita da un po’ di crema e da una rossa amarena imbevuta di sciroppo, e gustata in un sol boccone come tradizione vuole, non si fa in tempo ad assaporarne la morbida sensualità che già si accusa la malinconia per la brevità del piacere. Non è effimera anche l’esistenza?". 

"Come si fa a comprendere Napoli quando, a ogni passo, s’incontra qualcosa di interessante e diverso, quando la si può guardare in tanti modi e ci si trova sempre di fronte a una complessità sfuggente a cui si vorrebbe dare un nome? Bisognerebbe disporre di una chiave, una possibilità di interpretazione per rendere omogenee tutte le diversità: sarebbe come dire illuminante. Mi è successo, per la verità, una volta, complice una “piramide” di struffoli".

"In questo piatto, infatti, la geografia e la fisionomia della dolceria natalizia ereditano suggestioni, fantasie, influenze e colori mediterranei per aprirsi in una proposta originale che sembra tener conto del bello e del piacere. In questo piatto sembra rivivere l’inventiva e la gioiosità tutta napoletana: una piramide di irregolari palline di pasta legate con zucchero, miele, frutta candita spezzettata e profumata con l’acqua di fior d’arancio e l’acqua di mille fiori, fritte in strutto ed impilate una sull’altra a far l’effetto di una montagnola di golosità vivacizzata dai “diavulilli”, cilindretti multicolori di confetto dai poteri -dicevano- rinvigorenti. Concludono la decorazione le ciliegine di frutta candite, verdi e rosse. Una piramide informe, senza nulla della geometria egizia, per carità; anzi, pronta, senza alcun preavviso, a rovesciarsi in una “lavica densità” per via del miele. Dolce instabile, imperfetto, ma certamente generoso, perfino ridondante. Come il barocco che, a Napoli, par quasi che vi sbocchi per germinazione spontanea, tanto è pronta l’adesione e rapido lo sviluppo; tanto esso, con la sfarzosa decorazione, risponda pienamente all’indole del popolo partenopeo, solare e bizzarro". 

"Mi ricordo spesso, con piacere, di un aneddoto successo parecchi anni or sono ad un mio amico, turista a Napoli. Se ne stava, dopo aver abbondantemente pranzato, a godersi l’impagabile spettacolo del sole che si riflette in lontananza nelle onde del mare, in quella parte della città dove si respira l’aria “addurosa” posillipina. Vicino al suo tavolo due straniere chiesero il conto, che arrivò scritto in biro sul classico blocchetto notes a quadretti. Lo lessero, discussero un po’ fra loro, poi fecero cenno al cameriere: non riuscivano a capire la sigla a margine del foglietto “S.L.V.” £.1000. Lui le guardò, abbozzò uno di quegli sguardi scanzonati e tristi alla Totò (principe Antonio de Curtis per l’anagrafe: un altro modo tutto partenopeo di giocarsi la vita!) e poi spiegò: 'Vuol dire: “SE LA VA”!…ma non è andata…chiedo scusa'. Le donne sorrisero e pagarono anche quelle 1000 lire, trattenendo il foglietto a ricordo e simbolo dell’arguzia napoletana. D’altronde, questa è anche la patria di Pulcinella, perennemente affamato e pieno di risorse. Ma, trascurando questo episodio, non bisogna dimenticare quanto estro e cordialità siano doti importanti per i ristoratori napoletani ai quali, più che a molti altri, spetta il difficile compito di ricomporre ogni giorno, nella mensa comune, l’umanità del mondo". 

"A buon diritto fu chiamata la “grande, luminosa e gentil città” dal partenopeo Giam Battista Vico, che ben conosceva i suoi simili: fondamentalmente semplici come i personaggi delle commedie di Eduardo de Filippo, spesso esuberanti come i fuochi di Piedigrotta, ma anche romantici e malinconici come le canzoni (o poesie?) di Salvatore Di Giacomo. Certo, il mare e il sole con la luna giocano in questa parte della Terra le loro carte migliori. Quel “Marechiaro” il cui movimento rivive nelle volute delle sfogliatelle, quel mare dove “pure li pisce nce fanno l’amore”: linfa vitale come la crema che si cela all’interno di questi piccoli scrigni dalle linee ondulate". 

"E il sole che abbaglia e stordisce di giorno, tanto da indurre gli uomini ad invocare la luna per la notte, sole e luna rivivono nella rotonda forma della pastiera. Piccolo monumento alla vita, tre ne sono i componenti privilegiati: il grano, simbolo di ricchezza, le uova, emblema della vita, la ricotta, freschissima di bufala, a rappresentare l’abbondanza. E poi, ancora, canditi, cannella, vaniglia, acqua di fior d’arancio, zucchero a velo, … Dolce trionfale, profumato e munifico, si divide in mille “raggi” per accontentare tutti; ne basta poco, infatti, uno spicchio e si è sazi e innamorati….di Napoli!”

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Il pasticciere Iginio Massari scrive una lettera d'amore a Napoli

NapoliToday è in caricamento