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Camorra / Torre annunziata

Viaggio nella villa del boss (IL REPORTAGE)

La roccaforte del clan Tamarisco di Torre Annunziata dove venne deciso l'omicidio della madre-coraggio Matilde Sorrentino

A guardarla dall'esterno può sembrare una villetta qualunque. Uno stabile dove vivono diverse famiglie che vogliono stare in disparte. Le mura perimetrali tutte intorno servono a tenere lontani gli occhi indiscreti in una strada che ha una sola via di accesso e una d'uscita, percorribile a senso unico. Il nome, villa Adele, potrebbe essere un nome come tanti. Come tante altre ville che ci sono in giro per la Campania. Solo che quel nome prende origine da Adele Suarni, moglie di un boss di camorra ucciso qualche anno prima. La villa venne dedicata a lei dal marito quando la fece costruire. Dovrebbe chiamarsi villa Tamarisco in realtà perché lì dentro viveva tutta la famiglia che porta questo cognome. Un cognome che nella geografia criminale all'ombra del Vesuvio significa traffico di droga ai massimi livelli. Oppure, adesso che è nelle mani dello Stato, dovrebbe chiamarsi villa Matilde Sorrentino, dal nome della donna che si oppose al clan per denunciare gli abusi sessuali subiti dal figlio.

La storia del clan Tamarisco

Napolitoday è entrata nella villa della famiglia Tamarisco di Torre Annunziata. Un bunker sequestrato nel 2007 e confiscato definitivamente nel 2015. Ne è venuto fuori un viaggio tra le mura dove si sono scritte le pagine più nere della storia cittadina. Tamarisco non è un cognome qualunque nella storia della camorra. Nonostante i clan cittadini più “famosi” siano i Gionta e i Gallo-Cavalieri, i Tamarisco hanno giocato sempre un ruolo centrale. E non è un caso che il loro cognome fosse meno noto. Si trattava di una narcotrafficanti capaci di fare affari con diversi clan e di vendere loro droga in quantità ingenti. Spesso anche a clan in contrasto fra loro, spesso nell'ombra. Servivano a tutti e per questo venivano tenuti fuori dalle contese il più possibile. Gli inizi della loro attività criminale risale alla fine degli anni 70' quando facevano parte della Nco di Raffaele Cutolo. Negli anni '80 il capostipite Salvatore Tamarisco venne ucciso in un agguato di camorra ma a ereditarne il trono furono i figli. Cinque in totale di cui alcuni hanno seguito le “gesta” del padre. Su tutti, Francesco Tamarisco, attualmente condannato all'ergastolo, il cui nome è legato a una delle vicende più dolorose della storia cittadina. Fuori dai confini oplontini quella vicenda di fine anni '90 venne ribattezzata “la scuola dei pedofili”.

Villa Tamarisco

La scuola dei pedofili 

La scuola era quella di via Isonzo dove un gruppo di pedofili aveva abusato di alcuni ragazzini del rione Poverelli di Torre Annunziata. I fatti accaddero nel territorio del clan Tamarisco che vennero “investiti” da questo scandalo. Francesco Tamarisco venne condannato in primo grado e poi assolto in appello ma il clan giocò un ruolo fondamentale nel provare a coprire quegli abusi. Rappresentavano un'onta troppo grande per il gruppo oltre che portare forze dell'ordine nel quartiere. A quella serie di violenze si ribellarono tre madri che vennero a sapere dai loro figli l'orrore che avevano subìto. Bianca Cacace, Teresa Marasco e Matilde Sorrentino decisero di non rimanere in silenzio. Il clan Tamarisco si attivò subito per provare a zittirle e le convocò all'interno della villa. Furono mesi di minacce e tentativi di intimidazione mentre le donne raccontavano tutto alle forze dell'ordine. Il boss Tamarisco aveva premura che il suo nome non venisse fuori all'interno della vicenda. Addirittura il figlio di Matilde Sorrentino venne portato nella villa e gli furono dati 50mila lire per dire che Tamarisco non c'entrava. 

L'omicidio di Matilde Sorrentino 

Tutto raccontato ai magistrati a cui Matilde Sorrentino continuò a dire tutto anche a dispetto delle minacce che subiva dal clan. Un atteggiamento imperdonabile per i Tamarisco che decisero di fargliela pagare. Il 26 marzo 2004, il killer Alfredo Gallo si presentò sulla porta di casa di Matilde. Quando lei aprì, le esplose contro diversi colpi d'arma da fuoco. Uno alla bocca, per dimostrare di averla censurata a vita, e tre al volto per farle pagare il fatto di aver fatto “perdere la faccia al clan”. Per quel delitto Gallo venne condannato all'ergastolo ma i magistrati non si sono fermati fino a quando non sono riusciti a dimostrare che a ordinare quel delitto fu Francesco Tamarisco. Per anni quel collegamento non era stato possibile, lasciando un velo di omertà su una vicenda dolorisissima per l'intera comunità cittadina. Fino al 21 dicembre 2021 quando la Corte d'Assise di Napoli ha condannato anche Tamarisco all'ergastolo, in primo grado, quale mandante di quel delitto.

Viaggio nella villa del boss

Camminando per le stanze della villa è possibile rivedere i luoghi dove questi orrori si sono consumati. Compreso lo spazio dove un affiliato dei Tamarisco venne ucciso nel 1996. Un complesso con diverse abitazioni, una per ogni figlio del capoclan. Tutte videosorvegliate, con i resti di quell'impianto che ancora sopravvivono all'interno delle case. Così come le grate all'esterno, sistemi di difesa dalle forze dell'ordine o da possibili nemici esterni che avrebbero provato a violare quella roccaforte. Distribuita su più piani, dà il senso dello stato d'assedio in cui quella famiglia viveva. Soprattutto perché diversi ambienti erano in piani interrati. Anche quelli di maggiore rappresentanza, come il salone dove si svolgevano i summit del clan. Uno spazio enorme dove è ancora possibile vedere i faretti che illuminavano a giorno l'intera stanza in fondo alla quale c'è un poster enorme che ricopre tutta la parete. Un poster attaccato al muro e usato come tappezzeria con impressa l'immagine di una villa faraonica sull'oceano. Il mare con la sua libertà in uno spazio ricavato in un sotterraneo dove venivano decise sentenze di morte o spartiti i proventi derivanti dalla vendita di una sostanza che crea dipendenza a migliaia di persone.

villa tamarisco 19-2

Il ring per la boxe 

Sempre nell'area interrata c'è un altro spazio enorme dove i Tamarisco fecero costruire un ring. Un “omaggio” allo sport che ha portato Torre Annunziata sul tetto del mondo che veniva praticato di nascosto, chissà se anche in maniera clandestina, in una parte nascosta della villa bunker. Nei piani superiori, ad altezza terra o primo e secondo piano, tutte le abitazioni con arredamento che non passa inosservato. Solo guardando quello che ne è rimasto, il resto è stato vandalizzato o asportato volontariamente prima della confisca, è possibile intravedere il gusto pacchiano per il lusso tipico di ville del genere. Maioliche sui pavimenti, mosaici alle pareti e colonne con fregi decorati. Nei bagni, marmo alle pareti e a decorare i sanitari. Rubinetti dorati e vasche con idromassaggio. Stanze lussuose con alle finestre delle grate, non certo per difendersi dai ladri. Quello che resta di quei luoghi adesso è nelle mani dello Stato che lì vorrebbe realizzare un centro anti-violenza per donne e minori ma che stenta a far partire il progetto a sette anni dalla confisca. Ci vorrà del tempo, ma prima o poi, quel luogo diventerà villa Matilde Sorrentino e racconterà con le sue mura il coraggio di una donna capace di tutto per riscattare la dignità violata del figlio.

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