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Cronaca

Zollo (Ceinge): “Tracciamento delle varianti troppo lento”

Secondo i dati dell'esperto la Delta sarebbe già al 30% ma i dati arrivano con troppo lentezza

"Il ritardo del deposito dei dati è un problema a cui prestare attenzione: c'è in effetti bisogno del tempo per analizzare questi dati, ma è anche vero che i team al lavoro su questo dovrebbero essere in maggiore connessione. Dai dati in mio possesso, con la variante delta siamo già oltre il 30%, anche perché da quando analizziamo i campioni a quando depositiamo i genomi passano dieci giorni. Il tracciamento di queste varianti va fatto, quindi, nel modo più rapido possibile, con un sistema centralizzato. Dobbiamo fare in modo di depositare subito sulla banca dati centrale le informazioni". A spiegare come avviene e, anzi, come dovrebbe avvenire il sequenziamento e il deposito dei genomi di virus sequenziati per conteggiare la reale prevalenza delle varianti è Massimo Zollo, ordinario di genetica dell'università di Napoli Federico II, responsabile dell'unità di ricerca (PI) Ceinge, nonchè direttore del laboratorio diagnostico CNS-lab e coordinatore del laboratorio di patologia clinica e citogenetica oncologica ed ematologica sempre del Ceinge.

Interpellato dalla Dire, il professore spiega su cosa sta lavorando il Ceinge, il centro di alta formazione sulle biotecnologie avanzate, situato nel territorio campano e in cui lavorano molti giovani ricercatori. Il Ceinge sta lavorando sia sui dati Gisaid, la banca dati internazionale su cui vengono depositate le informazioni genetiche sulle nuove varianti del virus, che sul fronte diagnostica e terapia: con la scoperta di alcuni anticorpi umani anti-spike per inibire l'infezione da SarS-CoV-2 e con uno studio sulle cause genetiche che concorrono ad un decorso particolare grave della malattia. "Il nostro istituto ha un team di bioinformatica coordinato dal professor Paolella e due unità di personale, con il dottor Angelo Boccia e la dottoressa Rossella Tufano, che tracciano i dati sulle banche dati mondali. Il tracciamento è fondamentale ma, soprattutto sul fronte dei laboratori italiani, c'è un certo ritardo sul deposito dei dati che può portarci a sottostimare la prevalenza di una determinata variante sul territorio", spiega Zollo.

"Il punto chiave per far fronte alla diffusione delle varianti, anche per via del ritardo con cui le registriamo, è circoscrivere, meglio ancora evitare quanto più possibile, i nuovi contagi e procedere alla vaccinazione- aggiunge il professore- come da più parti la comunità scientifica sta invitando a fare e come abbiamo spiegato in uno studio appena pubblicato su Scientific Reports - del gruppo editoriale di Nature - con il team del Ceinge coordinato dalla Professoressa Claudia Di Lorenzo, in cui il mio gruppo e il gruppo di ricerca del Professore Nicola Zambrano hanno collaborato insieme ad identificare attraverso una tecnologia di 'phage display' nuovi anticorpi monoclonali umani anti-SPIKE-RBD. Questa tecnica prevede di identificare, usando batteri ricombinanti, quelli che producono gli antigeni che riconoscono la parte della proteina Spike chiamata RBD e usata come esca.

Inoltre, questi anticorpi isolati sono in grado di interagire con la proteina ACE2 ricombinante, mimando l'interazione Spike-ACE2 e quindi inibendo l'ingresso nella cellula del virus". Una spiegazione molto tecnica quella del genetista, ma indispensabile a capire perché questa potrebbe essere una nuova cura contro la malattia, combinata ad altri trattamenti. "Utilizzando l'ingegneria genetica- prosegue Zollo- abbiamo prodotto degli anticorpi in grado di neutralizzare sia la versione del virus di 20A che quello alfa (variante UK). Questi anticorpi possono quindi essere utilizzati insieme ad altri, magari i monoclonali, e crediamo siano validi anche contro la variante delta, come abbiamo potuto vedere dalla sperimentazione in laboratorio", conclude il coordinatore del laboratorio Ceinge.

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