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Cronaca

Terra dei fuochi, cosa è cambiato negli ultimi anni: il reportage di Domenico Iannacone

Mentre la terra brucia e le persone si ammalano, c'è chi non molla cercando un riscatto, chi vuole rimanere nella propria terra per cambiare le cose: Massimo, un imprenditore che ha rimesso in piedi l'azienda di famiglia e coltiva pomodori biologici irrigandoli solo con l'acqua piovana

Nella prima puntata de “I Dieci Comandamenti”, il programma di inchieste andato in onda domenica scorsa su Rai3, il giornalista Domenico Iannacone è tornato nella Terra dei Fuochi della Campania dopo sei anni, per capire cosa è cambiato. “Il danno”, così si intitola il reportage, è un viaggio attraverso quelle terre della provincia di Napoli e Caserta che continuano ad essere avvelenate dallo sversamento abusivo di rifiuti tossici da più di 30 anni. Un tempo queste terre costituivano la “Campania Felix”, un territorio fertile che generava prodotti squisiti e genuini invidiati da tutto il mondo. Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia la descriveva come una terra benefica, fertile, che ai suoi tempi gratificava l’uomo dei suoi innumerevoli doni. Oggi quella terra fertile non esiste più. Massacrata e violentata dalla camorra, è divenuta un’immensa discarica a cielo aperto in cui vengono sversati rifiuti pericolosi di ogni genere. Trent’anni fa nacque un nuovo business, quello dei rifiuti, che oggi riguarda non solo la Regione Campania, ma tantissimi territori sparsi un pò ovunque lungo lo Stivale: da Nord a Sud, l’Italia è piena di terre dei fuochi. I primi sospetti sullo smaltimento illecito di rifiuti nella provincia di Napoli e Caserta furono evidenziati nella prima metà degli anni novanta da un'indagine della Polizia di Stato. Ma tutto rimase fermo fino al 2011, quando furono riavviate le indagini. Da un rapporto dell'ARPA della Campania di quell'anno, un'area di 3 milioni di metri quadri, compresa tra il Giuglianese ed il quartiere Pianura di Napoli, risultava molto compromessa per l'elevata e massiccia presenza di rifiuti tossici. Nel 2015, nel comune di Calvi Risorta (Caserta), il Corpo forestale dello Stato scoprì un'area di sversamento clandestino dei rifiuti, ritenuta la più grande discarica sotterranea d'Europa. Da quando l’allarme “terra dei fuochi” ha iniziato a ricevere l’attenzione mediatica che meritava nulla è cambiato. La terra, a distanza di anni, continua a bruciare, la gente continua ad ammalarsi, la camorra continua a sversare. I continui appelli di aiuto e proclami di bonifica da parte dei cittadini rimangono inascoltati. Le Istituzioni, in quei territori, sono assenti. Iannaccone nel suo reportage cerca di dare voce a chi voce non ha, raccontando le loro storie, le loro battaglie e le loro malattie.

Il viaggio inizia a Bellona (Caserta). Qui è in corso un incendio. Da ore bruciano alcuni capannoni contenenti rifiuti di plastica. Il cielo è diventato grigio e il sole è coperto da nuvoloni impregnati di diossina. A pochi passi da questi capannoni si trova un edificio: un tempo i suoi uffici erano la sede di un’azienda che riciclava e stoccava rifiuti. Oggi quegli uffici sono vuoti. “Avevano detto che avrebbero bonificato l’area, ma nulla è stato fatto" dice uno dei residenti (la sua casa si trova a 500 metri dal luogo dell’incendio). "La plastica sta bruciando a poche centinaia di metri da casa nostra - continua -, la diossina sta raggiungendo le nostre case e i comuni limitrofi. E noi non possiamo fare nulla”. I contadini che coltivano le terre circostanti la zona dell’incendio non hanno scelta, devono raccogliere l’uva delle loro viti e buttarla, non possono venderla. “Non siamo né politici né mafiosi - dice uno di loro - , l’uva è impregnata di diossina, non possiamo venderla, abbiamo una coscienza”.

Il viaggio prosegue nel comune di Calvi Risorta (Caserta). Qui Iannacone incontra il giornalista Salvatore Minieri, che lo porta nella sede della “ex area Pozzi Ginori”, area sottoposta a sequestro nel 2015. “I sigilli - dice Minieri - sono stati posti su un’area di circa 47 ettari di terreno, 30 campi di calcio di serie A, ma non c’è alcun controllo. Entra e esce chiunque, e quasi ogni notte vengono bruciati rifiuti. L’attività della Pozzi, azienda specializzata nella produzione della ceramica, cominciò in quella zona negli anni '60. Quando gli impianti furono dismessi, negli anni '80, ci sono state altre lottizzazioni industriali, con insediamento di nuove realtà imprenditoriali. Ma anche quelle non hanno retto nel corso del tempo e così l’area è finita gradualmente in uno stato di abbandono e degrado. Per anni in quell’area sono stati interrati rifiuti speciali, sia di tipo pericolosi che non pericolosi, nel suolo e nel sottosuolo, ma nessuno mai ci ha messo mano per bonificare l’area. La Pozzi Ginori produceva vernici chimiche e bagni, e scaricava i rifiuti speciali in fosse poco distanti. Sversava di tutto senza costi di smaltimento, anche vernici tossiche. Per anni ha versato nel sistema fognario senza avere un depuratore, e nella terra. Era una delle aziende più grandi del Sud Italia: a pieno regime contava più di 2700 operai. Nel 2015 una foto di un drone rivelò la presenza di alcune collinette anomale: sotto queste collinette trovarono un milione di metri cubi di rifiuti tossici industriali. Non è stata solo la ex Pozzi a scaricare, ma probabilmente anche altre 330 aziende. Il sistema di sigillamento degli strati della discarica è tipico della camorra casalese. Sono stati loro a sversare”. “Qui - prosegue il giornalista - si dovrebbe produrre il miglior latte di bufala per le nostre mozzarelle; e invece le bufale bevono l'acqua proveniente da falde acquifere inquinate. Chi non può permettersi dei filtri sui pozzi di estrazione utilizza l’acqua per irrigare e per far bere le bufale. La conseguenza è che noi mangiamo prodotti che derivano da animali che si stanno ammalando e verdura cresciuta in campi irrigati con acqua contaminata. Così facendo rischiamo tutti una mutazione cancerogena. E’ in corso un biocidio. Dal 2015 tutto è fermo, la terra brucia per autocombustione, i tumori si diffondono. Questa è oggi la Campania Felix”.

Da Calvi Risorta Iannacone si reca al sito di stoccaggio di ecoballe di Taverna del Re (Giugliano). Qui incontra Vincenzo Tosti, operatore sanitario che si occupa di ragazzi disagiati, e volontario della Rete Cittadinanza e Comunità. Vincenzo è ammalato: ha il linfoma Non Hodgkin. Intorno al sito di stoccaggio sono state alzate delle mura per nascondere le ecoballle disposte a cielo aperto e coperte da enormi teli neri. “Si tratta di sei milioni di ecoballe, 630 ettari, - dice Vincenzo. Sono colline immense di rifiuti, di veleni che vogliono nascondere dietro queste mura della vergogna". "Ecco vedi - prosegue Vincenzo costeggiando le mura del sito - questa è la nostra Chernobyl, questi sono i viali della vergognaQuesta roba non ci dovrebbe essere qui. La terra brucia nelle sue viscere e noi bruciamo con lei. Questo è l’inferno, il cerchio dei dannati, dannata è la nostra terra, come lo siamo noi”.

Da Taverna del Re, Iannacone prosegue il suo viaggio e si reca dal dott. Luigi Costanza per capire che ruolo hanno e come agiscono di fronte a questo enorme "disastro" i medici sentinella. “Il registro tumori - dice il dott. Costanza - ha dati fermi al 2012. Se l’acqua, l’aria e la terra sono inquinati, come facciamo noi medici a fare prevenzione primaria. Noi dovremmo essere le antenne epidemiologiche del territorio. Per legge siamo obbligati a mandare costantemente alla Regione dei report sul diabete e sulla pressione. Non capisco perché non li richiedono anche sui tumori. La Regione potrebbe avere dei dati aggiornati all’ultimo mese, se li richiedesse. Invece i dati del registro tumori sono fermi al 2012, cioè a quando è scoppiato l’allarme. Noi medici abbiamo evidenze, possiamo dimostrare la correlazione tra incremento di certe patologie e inquinamento ambientale, ma da soli non possiamo agire”.

A pagare i danni di questo disastro ambientale sono soprattutto i più piccoli: tanti sono i bambini che muoiono a causa di patologie tumorali aggressive. Tra questi c’è Antonio, morto all’età di 9 anni per un neuroblastoma al cervello. Iannacone incontra la mamma, Marzia Cacciopoli, che gli racconta di avere scoperto la malattia di Antonio poco dopo il suo trasferimento a Casal Nuovo. “Mi ero trasferita - racconta la mamma - per allontanarmi dallo smog cittadino, per respirare l’aria pulita delle campagne. Ed invece quelle terre erano contaminate. Un neuroblastoma è un tumore raro nei bambini, è più frequente in anziani che vivono in aree inquinate. Dopo aver scoperto la correlazione tra la malattia e il luogo in cui mi ero trasferita, ho appreso che Casal Nuovo e Terzigno erano i paesi con il più alto tasso di mortalità infantile da 0 a 14 anni”.

Anche Cristian Sannino, 15 anni, è un’altra vittima di questo biocidio: sta lottando contro una particolare forma di leucemia. Iannacone si è recato a casa sua. “Quello che è fatto e fatto - dice Cristian a Domenico -. Io sono arrabbiato non con chi ha sversato, ma con chi continua a farlo. Se il danno non li tocca non è un problema loro”.

Il viaggio prosegue. La tappa successiva è Acerra. Qui Iannacone incontra Vincenzo Petrella dell’associazione “Volontari Antiroghi di Acerra”. Diversi sono stati gli incendi che questa estate hanno coinvolto le campagne di Acerra e quelle dei comuni limitrofi. C’è un’area in particolare, nella zona Pip, zona adiacente ai Regi Lagni, che continua bruciare da questa estate senza mai fermarsi. "In questo canale che dovrebbe contenere le acque del canale grande - spiega Vincenzo -, ci sono almeno 60 cm di terriccio misto a sterpaglia contenente rifiuti di tutti i tipi. Questi rifiuti sono soggetti ad autocombustione, ed è questa la causa delle fumarole che ci intossicano H24. Noi siamo obbligati, per non intossicarci, a indossare le mascherine in aperta campagna, dove dovremmo respirare aria pulita. Ieri nevicava cenere. La gente è costretta ad abbandonare le case. Le istituzioni non fanno nulla. I vigili del fuoco arrivano, buttano l’acqua e se ne vanno. Noi non abbiamo gli strumenti necessari per risolvere da soli questo disastro. Un tempo qui erano tutti campi coltivati, oggi c’è la desolazione, la terra brucia. Si devono muovere, non c’è più tempo”.

Da Acerra Iannacone si dirige verso il Vesuvio. Va ad Ercolano a trovare Don Marco Ricci che porta Domenico nel Parco Nazionale del Vesuvio. “Qui - racconta Don Marco Ricci - c’è una discarica enorme: 15 ettari di estensione, 400 mila metri cubi con rifiuti di ogni tipo (zinco, idrocarburi pesanti, amianto ecc). Un tempo erano le antiche cave dove veniva lavorata la pietra lavica, oggi sono luoghi di sversamento… questo è il Parco Nazionale del Vesuvio oggi. La terra è madre, chi ammazzerebbe la mamma, solo i folli, i pazzi”. Una volta percorso in auto un lungo tratto di strada sterrata, Don Marco Ricci e Iannacone giungono all’inizio di una stradina dove c’è un cartello con su scritto: “Parco nazionale del Vesuvio. Area e rifiuti sequestrati dalla polizia giudiziaria. E’ vietato a chiunque l’accesso, pena denuncia all’autorità giudiziaria”. “Ma chi controlla l’accesso - dice don Marco Ricci -. Noi stiamo entrando ma non c’è nessuno a fermarci. Nel 2006 qui c’è stato un enorme incendio che non si riusciva a spegnere. E’ rimasto acceso per un mese, poi è stato spento con del terreno. Una volta qui crescevano le dolcissime albicocche del prete, il pomodorino del pendolo del Vesuvio, e veniva prodotto il famoso Lacryma Christi. Oggi cosa c’è? Solo rifiuti speciali pericolosi e fonti di ogni tipo che contaminano le falde sotterranee”.

Ma di fronte a questo scenario drammatico c’è anche chi reagisce. Chi non si piega. Chi non molla cercando un riscatto. Chi vuole rimanere nella propria terra per cambiare le cose. Massimo, un imprenditore di Villa Literno (Caserta), ha rimesso in piedi l'azienda di famiglia coltivando pomodori irrigandoli solo con l'acqua piovana senza impianti artificiali: produce pomodori completamente biologici. “Noi - dice Massimo - lavoriamo nel modo più naturale possibile, senza forzature. Poduciamo meno ma vendiamo un prodotto di qualità. Facciamo controllare costantemente i terreni, l’acqua e il prodotto finito, quindi l’intero ciclo di produzione. I risultati delle analisi sono pubblici così i consumatori, per essere più tranquilli, possono controllare sul sito in tempo reale. Vendiamo quello che produciamo direttamente al consumatore, senza il tramite di altre aziende. A questo progetto hanno aderito, fino ad ora, circa 4000 aziende campane. Speriamo aumentino sempre di più. E' questo il futuro”.

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