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Cronaca San Ferdinando / Piazza Trieste e Trento

Anna Fusco e la sua piccola tabaccheria dei miracoli

Intervista all’artista napoletana che durante l’emergenza Covid-19 ha trasformato la storica tabaccheria di famiglia in un punto di riferimento per gli homeless, iniziativa che ha colpito così tanto anche il NY Times

“Quest’esperienza che ho vissuto mi ha dato fiducia e coraggio delle mie scelte. Molti curatori d’arte quando hanno saputo come ho vissuto la mia quarantena mi hanno detto: ‘Anna, la luce del tuo cuore è arrivata prima della tua arte…’ mi sono commossa ma penso che chiunque l’avrebbe fatto. Anch’io ho avuto paura di ammalarmi. Appartengo alla categoria a rischio essendo asmatica e a avendo un deficit polmonare ma, vedendo certe cose, è stato più forte di me” e chi conosce Anna Fusco non è stato meravigliato che lei abbia preso il coraggio a due mani e abbia messo in piedi una rete solidale per smistare in pieno lockdown pasti per gli homeless e per tutti i bisognosi nella centenaria tabaccheria di famiglia di piazza Trieste e Trento, così piccola ma anche così riconoscibile da tutti anche se si è stati solo una volta in pizza.

Anna, l’artista che si è data da fare in uno di quei giorni confusionari di questo indimenticabile marzo, ha occhi castani grandi, luminosi e al primo sguardo si intravede la magia della sua sensibilità che l’ha portata a essere, durante l’emergenza sanitaria, il sostegno di coloro che senza false ipocrisie sono considerati reietti da una società che va veloce. Un gesto altruistico che ha fatto così tanto clamore da diventare un ‘caso’ che ha attirato l’attenzione non solo nazionale ma anche d’Oltreoceano: il giornalista del New York Times, Jason Horovitz ha scelto proprio la sua storia per raccontare come Napoli sia stata d’esempio, dando inizio alle iniziative più incisive e ammirevoli da quando è scoppiata la pandemia e di conseguenza la quarantena.

L’intervista ad Anna Fusco

Partiamo da principio. Come è nata questa tua iniziativa con l’inizio del lockdown che nelle settimane si trasformata in una vera rete solidale?

“Quando è cominciato il lockdown io e mio marito stavamo mangiando un panino in una piazza Trieste e Trento spettrale, irriconoscibile. Le uniche persone che spiccavano da questo deserto erano i senza dimora. Ci siamo accorti che avevano fame e gli abbiamo chiesto se l’avessero. Ci siamo divisi il primo panino. L’abbiamo proprio spezzato in due. Chi per forza maggiore, tipo noi che abbiamo aperto la nostra tabaccheria di famiglia, ha vissuto il drammatico stato di emergenza e la paura che c’è e c’è stata. Il giorno seguente con il primo aiuto di mia madre e delle mie sorelle- una di loro lavora al dormitorio pubblico- ci siamo attrezzati con più panini visto che molte mense pubbliche erano chiuse.  Di giorno in giorno i senza tetto sono aumentati e il parterre è aumentato perché si sono aggiunti anche gli extracomunitari che lavorano a nero come cingalesi, ucraini e musulmani rimasti senza lavoro. Man mano si sono aggregate delle mie amiche e dei conoscenti. Sono degli angeli che hanno voluto aiutare quando è aumentata la richiesta di pasti. Oltre a cibo e acqua sono stati distribuiti igienizzanti, salviettine umidificate, mascherine, alcune cucite da mio marito. Il Coronavirus, soprattutto nei primi tempi, ha generato shock e panico anche nelle associazioni di volontariato che hanno avuto un arresto. Dopo i primi giorni di affanno s’ è creata una grossa rete grazie anche al fatto che tutti nei dintorni ci conoscono avendo la nostra tabaccheria centenaria e molti ci hanno contatto per sapere come potevano contribuire”. 

Voi offrite agli homeless anche pasti caldi e coprite anche una bella fetta della municipalità. Come vi organizzate nello specifico?

“Ci stiamo auto finanziando e per fortuna siamo stati sostenuti molto anche dalle persone del quartiere. Poi c’è stato il contributo delle mie amiche anche loro si stanno autofinanziando: c’è chi cucina e chi fa la spesa. In alcuni casi, a chi ne aveva bisogno, abbiamo procurato anche biancheria intima. E’ un’impresa ardua che è cresciuta, domenica, per esempio, c’erano circa 200 perone. Io ritengo che se si inizia un’azione del genere bisogna continuarla e io ho dato fondo alle mie risorse. Quando decidi di fare una cosa in un modo o nell’altro si fa. Ho creato un planning settimanale per dividerci i compiti andando a rotazione per fare in modo che nulla gravi.  E’ un atto di fede e qualcuno mi ha anche remato contro…”

Voi tutti state sostenendo questa mensa a cielo aperto di tasca vostra. Fino a quando pensi che riuscirete a resistere potendolo garantire visto che anche se è vicina la fine del lockdown la ripresa sarà molto lenta? 

“Sicuramente fino a quando non apriranno le mense. Siamo operativi da quasi 50 giorni intervenendo per l’emergenza. Abbiamo preso contatto con le associazioni umanitarie che lentamente stanno aprendo. Anche la mensa di Santa Lucia e l’associazione di Santa Brigida hanno riaperto, stiamo cercando di capire quando incrementeranno i loro servizi perché i senza fissa dimora hanno bisogno di essere accuditi anche per quanto riguarda l’igiene.  Noi ci fermeremo quando riprenderanno piena attività i centri di assistenza e le associazioni con gli interventi degli addetti ai lavori i quali non solo hanno i mezzi ma hanno anche la modalità appropriata per interagire con loro. L’apertura di bar e ristoranti facilita le cose perché in genere alla loro chiusura i prodotti non consumati sono offerti ai senza tetto che si presentano.  Poi, è da considerare che le persone che ci stanno aiutando tra il 4 e il 18 maggio riprenderanno il lavoro e saranno meno presenti. Anche volendo non abbiamo la forza per poter continuare oltre la fine della quarantena. Non è facile. Una cosa che ho capito da questa esperienza è la necessità dell’intervento operatori che lavorano nel sociale. Sono fondamentali perché sanno come rapportarsi a chi vive in strada in quanto sono persone che non hanno un equilibrio, il loro senso della realtà è alterato e alcuni di loro hanno delle psicosi. Noi abbiamo agito senza neanche temere per la nostra salute qualche volta abbiamo anche rischiato perché qualcuno non rispettava le distanze di sicurezza, qualcuno a volte ha un atteggiamento aggressivo. Sono tutte cose che bisogna mettere in conto”.

Avete avuto problemi con le forze dell’ordine per portare avanti questa operazione considerando i decreti, le ordinanze, anche riguardo l’osservanza delle norme di distanziamento sanitario?

“All’interno del decreto c’era un’ordinanza che dice che i volontari posso agire rispettando le norme sanitarie. Ciò mi è stato segnalato dal presidente del Consiglio Comunale di Napoli, Sandro Fucito e ci ha fatto superare le difficoltà con qualche vigile che si è impuntato. Nessuno del nostro gruppo di volontari è stato multato. Anche mio marito che con il motorino ha consegnato il cibo anche ai bisognosi che si trovano tra via Morelli e Via Cappella Vecchia non ha mai avuto problemi quando è stato fermato. C’è stata molta tolleranza per noi volontari”.

Tu e tuo marito Ciro siete diventati dei punti di riferimento di una comunità che si è costruita. Sicuramente si sarà creato un rapporto confidenziale con alcune delle persone a cui date assistenza. C’è qualcosa che ti ha scosso nel profondo ascoltando una storia oppure semplicemente vedendo come si rapportano a voi?

“Con alcuni sì. Due di loro, Antonio e Giovanni ci hanno anche affidato il loro libretto della pensione per paura di perderlo dormendo in strada. Queste persone sono considerati gli ultimi degli ultimi. Si sentono invisibili ed è la storia che li accomuna è proprio il desiderio di essere VISTI. Per questo a volte possono sembrare capricciosi, è il loro modo per essere notati. E’ un po' come se portassero un cartello con su scritto ‘Guardami!’. Diciamo la verità, nella frenesia della quotidianità ognuno di noi è talmente preso dalle proprie cose che effettivamente non ci accorgiamo di loro. Suscitano tenerezza per la loro voglia di attenzioni. E si entusiasmano quando c’è per loro quel pensiero in più. Per esempio, c’è una mia amica farmacista che sui coperchi dei contenitori delle pietanze disegna che faccine che sorridono o cuoricini. A volte scrive anche delle frasi affettuose per loro e visto che ci sono anche parecchie persone di una certa età frulla i legumi. Sono piccole manifestazioni per dare calore”. 

Ti ha stupita, invece, l’attenzione anche mediatica che si è creata attorno a questo gesto di solidarietà? 

“Credo che l’emergenza Coronavirus su noi italiani ha avuto lo stesso impatto che l’11 settembre 2001 ha avuto sui newyorkesi. Il terrore è il fattore che li accosta. Lo dico perché in molti si sono meravigliati del fatto che non avessimo paura ma che agissimo”. 

Avete colpito il giornalista del New York Times. Vi ha pubblicato per un’immagine forte nella sua semplicità: delle persone ritratte mentre tendono la mano a chi è in difficoltà offrendo il companatico. E d’artista come commenti il perché è stata scelta proprio quella fotografia che racconta il vostro operato?

“Molti artisti non si sono staccati dal loro universo aggrappandosi in questi mesi all’arte e hanno fatto benissimo. Però penso che la scelta del NY Times sia dispesa dal fatto che io non mi sono chiusa in casa a realizzare un’opera d’arte ma sia stata in strada a fare qualcosa di concreto durante la quarantena. Mi sono data da fare tutti i giorni sono uscita fuori dal mio ego d’artista. Forse questo è stato determinante. Per carità, ho mantenuto la mia identità di artista e quando alcuni curatori d’arte mi hanno chiesto di mandargli un pezzo in cui rappresentavo la mia idea della quarantena l’ho pure fatto e sicuramente ho messo anche più cuore rispetto alle opere precedenti, ma non mi sono fermata a quello. Mi sono emozionata quando alcuni colleghi artisti hanno fatto la loro parte come la coppia di artisti Bianco e Valente che mi hanno inviato un contributo economico per dare il loro sostegno per comprare acqua e frutta”. 

Invece come esponente di un’attività commerciale che è sempre stata aperta come vedi questa apertura a conta gocce? E qual è il sentiment delle persone?

“I grossi in piazza non hanno aperto, Gambrinus compreso. Nella nostra zona c’è stato un crollo del 90% con il San Carlo, Biblioteca, Palazzo Reale uffici e negozi chiusi. Solo polizia e militari passano. Noi stiamo parlando da 20 minuti e non è entrato nessuno fino adesso in una tabaccheria che è in pieno centro. La piazza è vuota. Forse a ridosso dei Quartieri Spagnoli e della Sanità la situazione potrebbe essere un tantino diversa ma non più di tanto. Credo che sia solo il principio di un crollo economico che potrebbe avvenire”.

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