rotate-mobile
Cronaca

Pasta al forno e sartù di riso: le antiche origini dei timballi di pasta della tradizione napoletana

Conditi con ragù e ripieni di carne, mozzarella filante e altre gustose "sorprese", sono piatti dall'origine antica e molto amati, immancabili sulle tavole delle famiglie e delle trattorie tipiche partenopee

Pasta al forno "alla napoletana" e sartù di riso, sono le due preparazioni dei timballi di pasta più amate della cucina partenopea. Una ricchezza di sapori che conquista e che non passa mai di moda.

La pasta al forno (leggi qui la ricetta) ha origini antiche ed è un piatto tipico dell'intera italia: la variante bianca (a base di besciamella, nata nelle corti rinascimentali) è la più diffusa al Nord, mentre in Italia meridionale è tipica la sua versione "rossa". A Napoli si prepara con un condimento a base di ragù di salsa di pomodoro (cotto a lungo), mozzarella filante e polpettine fritte di manzo, secondo dosi e ricette che ogni famiglia si tramanda da generazioni.

Il sartù di riso, invece, è un timballo condito con salsa di pomodoro e ripieno di carne, piselli, uova sode e mozzarella. La storia di questo piatto è molto particolare, poiché, pur esserdo arrivato in città in tempi antichi (alla fine del XIV secolo, preso in Oriente e portato dagli spagnoli, nel periodo in cui gli Aragonesi si impossessarono del Regno), il riso non ebbe mai il grande successo riscosso dalla pasta tra i napoletani. Tanto da guadagnarsi l'appellativo, ancora diffuso, di "sciacquapanza".

Come si legge sul sito Sartù.it, fu considerato a lungo un alimento da utilizzare soprattutto come medicamento, per malattie gastriche o intestinali

Il riso Purificatore veniva insomma associato a condizioni di salute precarie. E’ probabilmente per questo motivo che i napoletani non si strapparono i capelli  quando il riso, pur avendo avuto Napoli come prima destinazione, scelse di stabilirsi in Lombardia, in Piemonte e in Veneto. I napoletani ignoravano però che, come gli emigranti che fanno fortuna lontano dal luogo da cui sono partiti, il riso un giorno sarebbe tornato. E che loro stessi lo avrebbero accolto con tutti gli onori.

E il riso, infatti, tornò anni dopo a Napoli, ma in abiti diversi: più ricchi, e più belli con la complicità dell'arrivo dei francesi nel Regno e dei loro cuochi che furono in grado di sfidare (e vincere) il "non amore" dei napoletani verso questo alimento.

Così, nel '700, i cuochi francesi (chiamati Monsù, dal francese Monsieur) in servizio presso la nobiltà napoletana inventarono un modo diverso per servire il riso, tanto amato presso le corti del loro Paese di origine. Lo condirono, così, con della salsa di pomodoro (prodotto già molto amato dai partenopei) e lo "arricchirono - si legge ancora su Sartù.it - con melanzane fritte, polpettine e piselli" che misero sopra al riso, come guarnizione, una specie di "specchietto per le allodole".

Insomma, tante prelibatezze poste "in cima a tutto": in francese, “sur-tout”.

Da “sur-tout” a “sartù” non c’è che lo spazio di un sospiro, e il tempo necessario ad emetterlo.

Il piatto divenne presto molto amato e si diffuse anche tra le tavole dei più poveri ( "O’ riso scaldato era na zoza. Fatt’a sartù, è tutta n’ata cosa" recita anche un'antica canzone popolare) e divenne presto un piatto della tradizione, tramandato con grande successo fino ad oggi, subendo, nei secoli, pochissime modifiche.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Pasta al forno e sartù di riso: le antiche origini dei timballi di pasta della tradizione napoletana

NapoliToday è in caricamento