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Giovedì, 28 Marzo 2024
La sentenza / Bagnoli

Processo Eternit, tre anni e mezzo al proprietario: la procura aveva chiesto 23 anni per omicidio volontario

Era accusato di aver causato la morte di otto operai. Accusa derubricata a omicidio colposo per un solo decesso

Derubricato in omicidio colposo il reato per cui è stato condannato a tre anni e sei mesi Stephan Ernest Schmidheiny, imprenditore svizzero proprietario di Eternit. Ne dà notizia l'Osservatorio nazionale Amianto. Schmidheiny era accusato di omicidio volontario per la morte di otto vittime dell'amianto nel processo Eternit bis di Napoli. È stato condannato a tre anni e sei mesi per il solo decesso del lavoratore Antonio Balestrieri, impiegato nello stabilimento di Bagnoli. È intervenuta la prescrizione per quanto attiene alle accuse relative alla morte di altre sei persone, mentre per il decesso di Franco Evangelista, Schmidheiny è stato assolto in quanto il fatto non sussiste. Non ha retto l'impianto accusatorio dei pubblici ministeri Anna Frasca e Giuliana Giuliano, che avevano chiesto per l'imputato una condanna a 23 anni e 11 mesi di reclusione.

"La sentenza ci lascia delusi. Sembra che la giustizia italiana si sia adagiata alle tesi difensive dell'imputato". Così Enzo Bonanni, presidente dell'Osservatorio nazionale Amianto, commenta la condanna a 3 anni e sei mesi inflitta dai giudici della corte d'Appello di Napoli all'imprenditore Stephan Ernest Schmidheiny. "Prendiamo atto delle diverse prescrizioni e della condanna a soli 3 anni e 6 mesi. Per questi motivi - spiega - confidiamo nella giustizia divina presso la quale l'imputato dovrà rispondere anche dei reati prescritti che, comunque, sono rappresentazione dell'esistenza del reato anche se la giustizia non è stata tempestiva. Per un caso comunque c'è la condanna. Solleciteremo l'impugnazione del procuratore generale contro la derubricazione".

Il processo - fa sapere l'Osservatorio - ha evidenziato come l'uso dell'amianto fosse senza cautele, privo di confinamento e con le maestranze ignare e sprovviste di mezzi di protezione. Sia all'interno dello stabilimento che all'esterno c'era amianto in sacchi di juta privi di chiusura ermetica scaricati dalle navi senza che i lavoratori fossero a conoscenza del rischio. "Nelle varie udienze - spiegano - è emerso che alcuni lavoratori sarebbero stati addirittura costretti a coprirsi la bocca con i fazzoletti perché all'interno della fabbrica non venivano fornite regolarmente le mascherine. Durante la scorsa udienza gli avvocati della difesa, Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, avevano discusso diverse ore per smontare la tesi accusatoria, spiegando che non ci sarebbe stata nessuna volontà di veder morire i propri operai, che le conoscenze dell'epoca fossero diverse rispetto a quelle che ci sono oggi e che, per questo, Stephan Ernest Schmidheiny non poteva sapere con certezza che l'amianto fosse cancerogeno. Hanno anche messo in dubbio le diagnosi di vari mesoteliomi".

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