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Martedì, 23 Aprile 2024

Un anno dal primo lockdown: quando il 9 marzo 2020 cambiò tutto

Un infermiere, una preside, un'attrice, un'imprenditrice. Quattro sguardi per raccontare la prima volta in cui Napoli e l'Italia chiusero tutto per difendersi dal Covid-19

"Sto per firmare un provvedimento che possiamo sintetizzare con l'espressione 'Io resto a casa'". Il 9 marzo del 2020 il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, annunciò l'inizio del confinamento. Era iniziato il lockdown, il più estremo rimedio possibile per fronteggiare la pandemia di Coronavirus.

Abbiamo intervistato persone comuni per capire come hanno vissuto ciò che è successo da allora, che cosa è cambiato per loro nell'ultimo anno e che speranze hanno per il futuro. Persone normali, ma appartenenti ad alcuni dei settori messi maggiormente in difficoltà dalla pandemia: sanità, scuola, spettacolo, movida, istituzioni.

Valeria Pirone è la dirigente scolastica della Vittorino Da Feltre di San Giovanni a Teduccio. Ci racconta così i momenti immediatamente precedenti al lockdown: "C'era quella sensazione di essere sospesi in attesa della tragedia che sarebbe venuta da lì a poco. Ricordo bene lo stato d'animo dei giorni precedenti, la paura dei genitori, dei dipendenti che non volevano venire al lavoro". Alfredo Di Domenico è invece un infermiere del Cardarelli: "Pensavamo ad una sorta d'influenza. Non avevamo idea di trovarci al cospetto di una malattia che ci avrebbe rivoluzionato la vita". "Il mio compagno era in tour con lo spettacolo Fronte del Porto, con alla regia Alessandro Gassmann". A parlare è Daniela Ioia, attrice che ha recitato anche in 'Gomorra la serie' e ne 'Il sindaco del rione Sanità' di Martone. "Arrivò l'annuncio da parte del direttore del teatro La Pergola di Firenze che lo spettacolo era sospeso. È stato veramente un brutto colpo, una stranissima sensazione". Harriet Driver è la titolare dell'Oak, birreria del centro storico. Inglese trapiantata a Napoli, si è ritrovata a vivere l'inizio del confinamento lontana dal compagno. "Ero partita con i miei due figli, molto piccoli, per andare a trovare i miei genitori in Inghilterra. E il 10 marzo avevo il volo di ritorno per tornare a Napoli dal mio compagno, e al mio lavoro. Il 9 scopro che hanno cancellato tutti i voli da lì a un mese, un mese e mezzo".

La situazione è inedita, così come sono inedite le restrizioni cui tutta Italia va improvvisamente incontro. Non c'è settore che non venga colto di sorpresa. Diego Civitillo è il presidente della X Municipalità di Napoli, che unisce i popolosi quartieri di Bagnoli e Fuorigrotta: "Nessuno aveva la reale consapevolezza di quanto stava succedendo né esisteva una vera preparazione istituzionale ad una condizione pandemica. Questo certamente non al livello degli enti locali. Da allora è cambiato tutto, è cambiata la gestione dell'ordinario, così come è cambiata drasticamente e drammaticamente ad esempio la nostra azione sulle scuole".

Ed è proprio il settore della scuola, in Campania più che altrove, ad avere ripercussioni drastiche. La dirigente scolastica Valeria Pirone ci fa il quadro della situazione: "La scuola prima del Covid era da anni immobile e autoreferenziale. Col lockdown i problemi sono emersi tutti insieme, è stato terribile. La didattica a distanza? Fantascienza. Soprattutto nel Centro-Sud, senza Lim, senza device da utilizzare. Era cambiato tutto e all'improvviso. La campanella, automatizzata, suonava e subito dopo non c'era quel vociare che avevo sentito per 30 anni".
Peggio ancora va negli ospedali, come ci spiega Alfredo Di Domenico. "Non eravamo preparati, inutile nasconderlo. C'era disorganizzazione e le misure negli ospedali non erano sufficienti, addirittura al punto che ai primi tempi usavamo i paraventi per separare i casi Covid dai casi non Covid. E ci terrorizzava fossimo noi stessi veicolo di propagazione del virus. Potevamo prenderlo e contagiare i nostri familiari e le persone a noi vicine".

Settori si fermano del tutto. È il caso del teatro, come ci spiega Daniela Ioia, è il caso di moltissimi esercizi commerciali ritenuti non essenziali, come ci spiega Harriet Driver. "Da poco avevo ricominciato a lavorare, dopo gravidanza e maternità. Ero ferma quasi da due anni. Sarei dovuta andare in scena con 'Dignità autonome di prostituzione', stavo girando 'I bastardi di Pizzofalcone', e invece mi sono ritrovata bloccata nella mia ripartenza". "Il locale stava andando molto bene – racconta la titolare dell'Oak – con clienti molto affezionati. Dal 10 marzo non abbiamo capito più nulla. Speravamo potesse essere una chiusura breve, due settimane a casa e tutto come prima".

Non è andata esattamente così. Il primo lockdown sarebbe durato fino a maggio, poi dopo un'estate più serena ma non certo normale è stato il turno della seconda ondata del virus e, nelle ultime settimane, della terza. Nuove chiusure, nuove sofferenze economiche e non solo. "Quando sai di un collega che conosci bene, con cui hai condiviso tanti momenti, quando sai che il virus te lo ha tolto per sempre...non è facile elaborare queste perdite", racconta l'infermiere del Cardarelli.

"Ogni volta che passo davanti ad un teatro e vedo le luci spente, mi viene un nodo alla gola – spiega Daniela Ioia – Non esistono solo gli attori famosi che vivono di rendita, ci sono quelli di serie B, di serie C, quelli che faticano, che portano avanti le loro famiglie facendo questo mestiere".

"Ci siamo sentiti attaccati come settore del divertimento – aggiunge Harriet Driver – C'è chi pensa che vuoi gestire un bar per divertirti, per bere, io lo faccio perché ho una famiglia, due bambini piccoli. Sento un'estrema tristezza e neanche per gli incassi. Io sono inglese, ed i pub in Inghilterra non sono solo posti per bere, ma per socializzare. E qui avevamo creato una seconda casa per tante persone".

Abbiamo infine chiesto ai nostri intervistati cosa direbbero oggi, a loro stessi, se potessero tornare a quel giorno di un anno fa. E come si vedono da qui ad un anno, quali sono le loro speranze.

Harriet Driver la prende con filosofia: "Mi direi, metti da parte un po' di soldi, saluta bene i tuoi e tieni duro, perché ci vorrà un po' di tempo". Queste sono invece le parole di Diego Civitillo: "Parlerei a me stesso come persona e non come presidente di Municipalità. Mi direi di provare ad apprezzare un po' di più ciò che prima davo per scontato. Oggi anche vedere un amico o stare in famiglia è diventato complicato".

Il messaggio di Alfredo Di Domenico è di speranza: "Direi a me stesso Alfredo attenzione, sta cambiando tutto. Non riesco a immaginarmelo un altro anno così, ho molta fiducia nel vaccino".

"Avrei provato, non un anno fa ma prima ancora, a insistere ancora di più contro le resistenze al cambiamento che ci sono da sempre nella scuola italiana – spiega Valeria Pirone – La speranza è che la scuola sappia capitalizzare un'esperienza così devastante e negativa, traendone un messaggio educativo".

Queste invece le parole dell'attrice Daniela Ioia: "Di qui ad un anno la speranza è che ci liberiamo definitvamente di questo virus, ritornando a parlare senza mascherine, senza avere il terrore di stare vicino ad un'altra persona. "Non mi direi nulla, perché finirei per spaventarmi a morte! No, non mi direi niente, Einstein diceva che le crisi servono a tirare fuori delle qualità nascoste che hai".

PODCAST - Lockdown a Napoli, un anno dopo

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