Uccise Norina Matuozzo: confermato l'ergastolo per Salvatore Tamburrino
La Corte d'Assise d'Appello di Napoli ha deciso di non ridurre la pena del collaboratore di giustizia nonostante la richiesta della procura generale
La collaborazione con la giustizia non gli è valsa nessuno sconto di pena. Il suo delitto era troppo grave per ottenerla. Salvatore Tamburrino è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio dell'ex moglie Noria Matuozzo. La prima sezione della Corte d'Assise di Appello di Napoli ha scelto di confermare il massimo della pena inflitto al collaboratore di giustizia in primo grado per il delitto datato 2 marzo 2019. In quell'occasione, Tamburrino la uccise a colpi di pistola all'interno dell'appartamento dei genitori della vittima a Melito. Lì la donna aveva provato a trovare riparo dopo la separazione.
Tamburrino confessò immediatamente il delitto e fornì agli investigatori elementi utili a permettere la cattura di Marco Di Lauro che avvenne nel giro di poche ore. Era, infatti, uno degli uomini del clan che si occupava di rifornire di vivande il boss latitante. Subito dopo l'omicidio della donna tentò la via della collaborazione nella speranza di ottenere uno sconto di pena ma l'attenuante della collaborazione non è stata ritenuta prevalente rispetto alle aggravanti contestate. Così il 3 marzo 2020 venne condannato in primo grado all'ergastolo nonostante anche il rito abbreviato che prevederebbe lo sconto di un terzo della pena finale. La condanna è stata confermata oggi dalla Corte presieduta da Maria Alaia.
I giudici sono andati contro la richiesta della procura generale che aveva chiesto l'attenuazione della pena inflitta in primo grado. Il sostituto procuratore generale Raffaele Marino aveva chiesto la condanna a 30 anni di carcere. Il primo commento alla condanna è arrivato da parte della sorella di Norina, Elda, che nei giorni scorsi aveva acceso i riflettori sulla possibilità di uno sconto di pena in appello per l'assassino.
Le parole della sorella di Norina
“Quando è stata letta la sentenza, ho rivolto lo sguardo verso la foto di mia sorella e le ho detto: hanno dato il giusto valore alla tua perdita, valevi tanto come persona e anche lo Stato te lo ha riconosciuto. Abbiamo trovato una corte giusta perché questo è stato un processo per un femminicidio dove non era giusto che l'imputato facesse valere il suo stato di collaboratore. È stata dura, ci siamo battuti molto per evitarlo. Ma la vittoria di oggi diventerà a 360 gradi quando tutti i femminicidi saranno puniti con il massimo della pena”.