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Cronaca

Ammazzato a 17 anni perché non si affiliò al clan

Fu ucciso a soli 17 anni, per il rifiuto di affiliarsi a un clan della camorra: questo il movente dell'omicidio di Ciro Fontanarosa. Per quell'agguato sono state arrestate tre persone, due delle quali accusate di essere il mandante e l'esecutore del crimine

Scoperto il movente dell'omicidio di Ciro Fontanarosa, freddato in un agguato il 25 aprile 2009 a soli 17 anni. Il giovane fu ucciso perché si rifiutò di affiliarsi a un clan della camorra.

Per quell'agguato in manette sono finiti Ettore Bosti, 30 anni, figlio di Patrizio, il capo dell'omonimo clan camorristico operante nel centro storico di Napoli, e Vincenzo Capozzoli, 34 anni: il primo avrebbe ordinato l'omicidio per punire il giovanissimo Fontanarosa del suo no all'ingresso nella cosca, il secondo avrebbe eseguito il delitto con particolare ferocia, esplodendo sette colpi di pistola contro la vittima. Per favoreggiamento aggravato è stato invece arrestato Cristian Barbato, 22 anni, cugino della vittima e testimone dell'agguato, che avvenne nel quartiere Arenaccia. Le indagini dell'Arma sono state coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. 

Secondo la ricostruzione fatta dai magistrati della Dda, il 17enne Ciro Fontanarosa fu eliminato per dare un segnale ai piccoli delinquenti della zona che rifiutavano di sottostare alle direttive del clan. Insofferente agli avvertimenti ricevuti dalla cosca, Fontanarosa era figlio di Antonio, malvivente morto al termine di un tentativo di rapina in un ufficio postale di Secondigliano, alla periferia di Napoli. Nel momento in cui fu deciso il suo omicidio, a capo del clan Contini, cosca storica del centro di Napoli, c'era Ettore Bosti, figlio dell'indiscusso padrino Patrizio (arrestato dai carabinieri in Spagna nel 2008 e detenuto da allora in regime di 41 bis).

Ettore Bosti ordinò l'eliminazione di Fontanarosa per ribadire la volontà di assoluto controllo del territorio da parte della cosca, ed evitare che proliferassero attività criminali estranee agli ordini del clan. Le indagini, sottolineano gli inquirenti, si sono svolte in un ambiente caratterizzato da assoluta omertà: da qui l'arresto del cugino della vittima, che malgrado fosse stato testimone oculare dell'omicidio si era sottratto ad ogni forma di collaborazione con gli investigatori temendo ritorsioni violente.

Per ricostruire le responsabilità sono state decisive, ricorda la Dda, le intercettazioni telefoniche e ambientali; altrettanto importanti le dichiarazioni di un pentito, anche lui di giovanissima età, che da sempre gravita nell'orbita del clan Contini.

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