Un'intera generazione di politici torresi rischia l'incandidabilità: tutti i nomi
Sono 24 gli ex amministratori che rischiano di non potersi più candidare dopo le vicende che hanno colpito il Comune di Torre Annunziata
Il prossimo 8 novembre potrebbe essere un'altra data spartiacque per la città di Torre Annunziata. Ventiquattro persone compariranno dinanzi al giudice del tribunale civile, Raffaella Cappiello. Non si tratta di persone comuni ma di ex amministratori oplontini che in camera di consiglio discuteranno dinanzi al magistrato la loro posizione per volere del presidente della prima sezione Marianna Lopiano. Al vaglio del tribunale c'è l'ipotesi di incandidabilità nei loro confronti. Di fatto a un'intera generazione di politici torresi potrebbe essere interdetta la possibilità di ripresentarsi alle elezioni al termine dei 18 mesi di lavoro dei commissari prefettizzi, chiamati ad amministrare la città dopo lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni camorristiche. Sull'atto di notifica dell'udienza ci sono i 24 nomi delle persone coinvolte che di fatto svelano anche tutti gli omissis presenti nella relazione del prefetto, inviata al ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese e alla base dello scioglimento del consiglio comunale. Molti di loro erano già venuti fuori perché facilmente individuabili ma adesso un atto formale li colloca in una lista da cui proveranno a uscire per non perdere un diritto civile fondamentale.
I nomi degli amministratori coinvolti
Ci sono il sindaco Vincenzo Ascione, che ha già presentato ricorso al Tar contro lo scioglimento, i suoi due ex vicesindaco Luigi Ammendola e Gaetano Veltro, gli ex assessori Luisa Refuto e Gioacchino Langella, i due ex presidenti del consiglio comunale Rocco Manzo e Giuseppe Raiola, i consiglieri comunali Michele Avitabile, Angela Nappi, Antonio Pallonetto, Maria Longobardi, Maria Oriunto, Brunone Avitabile, Marcello Vitiello, Salvatore Solimeno, Pasquale Iapicca, Francesco Nella, Massimo Papa, Francesco Colletto, Germaine Popolo, Davide e Ciro Alfieri, Pierpaolo Telese e Raffaele Izzo. Tutti finiti nello stesso calderone anche se con ruoli e responsabilità completamente diversi. Ai fini dell'incandidabilità, però, così come successo con lo scioglimento, vengono valutate parentele, contatti, frequentazioni, singoli atti amministrativi e tutto ciò che può gettare un'ombra sull'attività politica. Non serve essere coinvolti in un'indagine penale che pure ha coinvolto alcuni dei 24 amministratori citati. Indagine che c'è stata e ha rappresentato il primo passo verso il baratro della città.
L'inchiesta per camorra
Lo scorso 10 febbraio l'Antimafia scuote il Comune di Torre Annunziata: indagato sindaco e altri amministratori. Un vero e proprio terremoto, se possibile peggiore di quelli che si sono succeduti a partire dal 2020, sull'amministrazione comunale di Torre Annunziata. A gravare stavolta sulla macchina comunale è anche l'infamante accusa disciplinata dal nuovo reato che risponde al nome di 416 ter: scambio elettorale politico-mafioso. Politici, cioè, che nell'esercizio delle loro funzioni hanno favorito un clan camorristico. È il reato principe alla base dell'inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia che porta a una serie di perquisizioni domiciliari e negli uffici del Comune di Torre Annunziata. Perquisizioni a cui sono seguiti anche il sequestro di atti e dispositivi elettronici personali. Coinvolte le massime sfere dell'amministrazione. A cominciare dal sindaco Vincenzo Ascione che risulta indagato e destinatario dell'informazione di garanzia, anche per una perquisizione domiciliare, insieme ad altri politici di spicco. Con lui è indagato l'ex vicesindaco Luigi Ammendola, già arrestato e scarcerato nell'inchiesta sulle mazzette al Comune, l'attuale presidente del consiglio comunale Giuseppe Raiola e il suo predecessore Rocco Manzo. L'assessore al porto Luisa Refuto, l'ex assessore Gecchi Langella e l'ex capo dell'ufficio tecnico Nunzio Ariano, già condannato sempre per l'inchiesta sulla corruzione al Comune. C'è poi anche la consigliera comunale Maria Oriunto insieme a suo cognato Salvatore Onda, nipote del boss del clan Gionta, Umberto Onda. È proprio questo nome che accende i riflettori dell'antimafia partenopea. I magistrati contestano a vario titolo anche il reato dell'induzione alla corruzione. L'inchiesta punta sulle dinamiche tra consiglio comunale e formazione di una delle giunte Ascione, sui passaggi dalla maggioranza all'opposizione e su eventuali contatti con membri vicini alla criminalità organizzata torrese.
Il ruolo del nipote del boss Onda
Proprio il nome di Onda per i magistrati è il fulcro dell'inchiesta. Onda è il nipote, di Umberto, killer del clan Gionta detenuto al 41bis e condannato all'ergastolo. Un cognome che, a distanza di anni, fa ancora tremare i polsi ai cittadini oplontini. Un cognome che però non creava problemi a diversi rappresentanti delle istituzioni con cui era in contatto. C'è un passaggio politico, però, da tenere ben presente per capire le dinamiche che lo hanno portato ad avere i contatti giusti. Lo spartiacque è il passaggio in maggioranza della consigliera comunale Maria Oriunto. Si tratta della cognata di Salvatore Onda, che ottiene come contropartita per il suo cambio di schieramento un assessorato nella giunta oplontina. Il nome che viene espresso dalla sua corrente è quello di Gioacchino “Gecchi” Langella. Un politico con altre esperienze amministrative che venne segnalato nella relazione della commissione d'inchiesta che si insediò nel 2013 a Torre Annunziata. Nella relazione al termine dell'attività ispettiva, i commissari segnalarono il rapporto stretto tra Langella e Salvatore Onda. Anche stavolta è risultato essere la chiave d'accesso nell'amministrazione comunale. Nel decreto con il quale vengono disposte le perquisizioni, i magistrati dell'Antimafia, Valentina Sincero e Ivana Fulco, coordinati dall'aggiunto Rosa Volpe e dal procuratore capo Giovanni Melillo, fanno riferimento a una serie di intercettazioni telefoniche e rapporti tra gli indagati che delineano un quadro preoccupante.
A cominciare da due contatti telefonici, finora scoperti nel provvedimento, tra Onda e il sindaco Vincenzo Ascione. Uno è datato 15 novembre 2021 e Onda chiede un appuntamento ad Ascione dicendogli di “prendere un caffè, devo farti vedere delle cose”. Il secondo contatto telefonico risale al 16 gennaio 2022 nel corso del quale si parla di una riunione per la composizione delle liste per la Città Metropolitana. Il decreto parla, inoltre, della circostanza secondo cui Onda si sarebbe offerto di presentare dei funzionari della Regione Campania al sindaco. I magistrati dell'Antimafia si spingono a ipotizzare che Onda si muovesse per procurare all'amministrazione i contatti giusti per i progetti da presentare in vista dei finanziamenti per il Pnrr. Ascione non era l'unico membro dell'amministrazione a essere entrato in contatto con Onda. I magistrati scrivono testualmente che Onda era “l’interlocutore di Ascione per verificare l’esistenza di fondi Pnnr per il comune” e avrebbe “un ruolo chiave nella vita politica di Torre Annunziata, costituendo l’elemento di raccordo e collegamento tra amministratori pubblici del comune di Torre Annunziata, consiglieri regionali ed imprenditori che gestiscono i vari servizi concessi in appalto dal Comune”, esercitando “un’influenza costante, con altrettanto costante opera di condizionamento”. Stando alle intercettazioni telefoniche citate nelle 15 pagine del decreto, Onda aveva contatti molto più diretti con altri membri dell'esecutivo e tecnici comunali. I suoi obiettivi erano alcuni importanti appalti comunali sospesi poi per anomalie. In particolare ha dimostrato un interessamento per l'appalto per le strisce blu in città che l'ha portato ad avere contatti telefonici con l'ex vicesindaco Luigi Ammendola, con l'ex assessore Langella e con l'ex capo dell'Ufficio tecnico, Nunzio Ariano.
Oltre a contattare direttamente i membri dell'esecutivo poteva contare sull'influenza che aveva sulla cognata e consigliera comunale Oriunto. Onda era, inoltre, interessato anche all'appalto per la videosorveglianza, anch'esso sospeso per gravi anomalie. Entrambi gli appalti vennero segnalati tra quelli con procedure poco trasparenti dall'ex assessore alla Legalità, Lorenzo Diana, rimasto in carica per pochi mesi a Torre Annunziata e che al termine del proprio mandato aveva lanciato un grave atto d'accusa contro l'amministrazione comunale, oltre che denunciare tutto in procura. La sfera di influenza di Onda, secondo gli investigatori, si allargava anche a professionisti torresi. Proprio indagando su due episodi riguardanti due professionisti torresi che si è sviluppata l'indagine che ha come reati ipotizzati lo scambio politico-mafioso ed episodi corruttivi. Le indagini sono partite il 31 ottobre 2019 per effetto del ritrovamento di una bomba a mano a Torre Centrale. Un ritrovamento che sembrò strano in un primo momento ma che poi gli investigatori hanno collegato ai nomi di due commercialisti, Marco Varvato e Francesco Conte. La bomba doveva essere, infatti, destinata al loro studio a cui furono poi fatti “recapitare” diversi colpi d'arma da fuoco pochi giorni dopo. Il 2 novembre sempre del 2019 vennero esplosi dei proiettili contro il locale che ospita il loro studio. I due commercialisti risultano non estranei al nome di Onda visto che si occuperebbero di diverse società riconducibili a Onda. Un legame che ha poi portato all'approfondimento delle forze dell'ordine che ha dato vita a un'indagine che oggi ha mosso un passo importante, scoprendo le prime carte, e mandando nel caos la vita politica cittadina. Una vita politica già profondamente segnata dalle inchieste di corruzione all'interno dell'ufficio tecnico e dal successivo arrivo della commissione d'inchiesta. Con questo quadro, sembra essere più vicino lo scioglimento del consiglio comunale paventato più volte in sedi istituzionali.
I motivi dello scioglimento
Un vero e proprio terremoto sulla città oplontina su cui già aleggiavano venti di scioglimento e di cui l'inchiesta della Dda risulta essere il colpo di grazia. Già una commissione d'accesso aveva indagati per mesi analizzando le carte di via Provinciale Schiti. Il loro lavoro finisce sulla scrivania del ministro Lamorgese che comunica al parlamento, il 5 maggio scorso, lo scioglimento del comune oplontino spiegandone i motivi con una lunga relazione. Il ministro, prendendo in analisi la relazione della prefettura di Napoli, evidenzia tutti i motivi per i quali si ritiene che ci siano stati dei condizionamenti della camorra sull'attività amministrativa. Alla base viene riconosciuta la “sostanziale debolezza politico-amministrativa delle amministrazioni comunali succedutesi nel tempo, compresa l'ultima uscente, dimostratesi incapaci di contrastare gli interessi ed evitare i condizionamenti della criminalità organizzata. Una colpa che il ministro si adopera a ricostruire partendo da argomenti di carattere generale per poi entrare nello specifico.
Ricorda che già nel 2013 venne disposta un'ispezione che non decise lo scioglimento ma impose delle prescrizioni. Un primo dato inquietante è dato dal fatto che all'interno dell'amministrazione sedessero elementi con parentele o frequentazioni con elementi della criminalità organizzata o con persone denunciate per vari reati. Rifacendosi sempre a un episodio risalente alla scorsa legislatura, la relazione ricorda che il sindaco Vincenzo Ascione, all'epoca dei fatti assessore, per due volte, non si era presentato a testimoniare nel corso di un procedimento disciplinare ai danni di un dipendente comunale con rapporti di parentela con elementi della criminalità locale. Ascione assistette a un'aggressione da parte di questo dipendente nei confronti di un collega ma non testimoniando contro di lui, pregiudicò la “possibilità di accertare le responsabilità dell'aggressore”. Secondo il ministro si tratterebbe di una “chiara manifestazione di soggezione della politica all'assoluta predominanza dei mafiosi locali”. La relazione poi si concentra sull'inchiesta che ha travolto l'amministrazione Ascione e le accuse per concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare fa riferimento a colui che l'Antimafia ritiene l'elemento di congiunzione tra la politica cittadina e il clan Gionta: Salvatore Onda.
Il ministro sottolinea come Onda avesse un ruolo importante nella vita politica cittadina e fosse “in grado di influenzare le nomine di assessori favorendo persone a lui gradite e di condizionare in maniera occulta e costante la gestione dell'amministrazione comunale di Torre Annunziata”. Secondo gli investigatori avrebbe svolto un ruolo di pressione anche sulla minoranza in consiglio comunale e in linea generale si sarebbe adoperato per fare da collante e tenere in piedi la giunta Ascione. Partecipava ai consigli comunali, debitamente avvertito e sollecitando altri consiglieri, e in alcune occasioni risultava anche assente a lavoro in quanto in malattia. Onda è dipendente della società multiservizi “Prima Vera” anche se distaccato in consiglio regionale. La relazione sottolinea un episodio che dimostrerebbe il suo “peso” all'interno della vita cittadina. In occasione di un'aggressione subita dall'ex vicesindaco Luigi Ammendola, quest'ultimo “avvicinato da loschi individui non ha provveduto a richiedere l'intervento delle forze di polizia o comunque a denunciare il fatto, ma ha avvertito di quanto accaduto il menzionato dipendente, vicenda che attesta l'elevata considerazione e comunque l'influenza che il soggetto in questione, riconducibile alla criminalità organizzata, esercita sui componenti dell'amministrazione locale”.
Oltre alle indagini per camorra sugli ex assessori vengono rilevate anche delle frequentazioni degli stessi con esponenti della criminalità locale. La relazione apre poi uno spaccato sull'azione amministrativa degli uffici comunali evidenziando una serie di criticità nella gestione degli appalti. Logicamente non sono mancati i riferimenti all'ex capo dell'ufficio tecnico Nunzio Ariano arrestato condannato per corruzione a sei anni di carcere, oltre che le accuse mosse nei confronti di Ammendola. Poi si sofferma sul fatto che il sindaco abbia ignorato i ripetuti inviti ad accelerare nella realizzazione dell'impianto di videosorveglianza tanto da far “presumere una precisa volontà di ritardare l'installazione di un valido ausilio alle forze di polizia il cui funzionamento avrebbe potuto fungere da deterrente di taluni gravi fatti di sangue verificatisi a Torre Annunziata. Inoltre viene indicato anche “che la predetta procedura di gara viene indicata nel decreto di perquisizione emesso dalla Direzione distrettuale antimafia il 7 febbraio 2022 evidenziando che su tale procedimento aveva manifestato interesse il sopracitato soggetto controindicato rivelatosi piuttosto influente sull'attività politico-amministrativa dell'ente locale” facendo riferimento sempre a Onda.
Il ministro si sofferma poi sulla “Prima Vera”, società in house del comune su cui aleggiano ombre inquietanti. Per prima cosa rileva che “la maggior parte dei dipendenti di tale società, molti dei quali assunti negli ultimi anni con contratti anche a tempo determinato, sono legati da vincoli di parentela o di frequentazione con esponenti appartenenti alla locale criminalità organizzata”. Ma è sul fronte degli appalti e degli affidamenti diretti che risultano le ombre più gravi. La relazione rileva per esempio come la “Prima Vera” si sia servita di alcune ditte per la fornitura o per il noleggio a freddo di automezzi che avevano problemi con la normativa antimafia. In particolare la ditta, che per anni è risultata affidataria dei lavori di lavaggio e manutenzione ordinaria e straordinaria degli automezzi, è risultata di proprietà del fratello di due consiglieri comunali. Sempre rispetto al noleggio a freddo di 15 automezzi per l'igiene urbana, che vengono forniti da un'altra società dal 2015, la relazione fa notare come questa ditta sia stata colpita nel 2021 da un'interdittiva antimafia. Inoltre risulta un'altra grave anomalia rispetto a un'altra ditta che gestisce il servizio di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro in affidamento diretto a partire dal 2017 e ininterrottamente. Oltre a contravvenire alla regola della rotazione degli appalti, la ditta risulta amministrata e di proprietà di una persona con legami familiari con una nota famiglia camorristica. Ombre anche su altri affidamenti diretti. Come quello che riguarda la pulizia degli arenili pubblici per due mesi affidato per due mesi a una ditta di cui non risulta la richiesta della certificazione antimafia e l'iscrizione alla “white list” della prefettura
. L'amministratore della società aveva anche gravi precedenti penali ed è stato controllato insieme a un soggetto condannato all'ergastolo e appartenente a un clan locale. L'appalto più importante dove sono risultate delle anomalie riguarda una procedura di gara con il Mepa per la piantatura e incremento del verde cittadino. Valore totale, quasi 530mila euro. A seguito dell'assegnazione dell'appalto però la ditta vincitrice è risultata colpita da un'interdittiva antimafia datata 31 marzo 2020. Nonostante questo, la giunta Ascione ha deliberato un aumento della spesa, con una perizia di variante, per il lavoro di altri 33mila euro arrivando a un appalto totale di circa 560mila euro, il 22 luglio 2020. I lavori si sono conclusi il 31 luglio, dopo pochissimi giorni dalla variante ritenuta illegittima e l'11 agosto 2020 l'amministrazione ha anche liquidato per quasi 470mila la società. Sotto la lente d'ingrandimento anche la concessione demaniale balneare a soggetti ritenuti “controindicati” e già segnalati nella procedura d'accesso del 2013. Concessione del valore di quasi un milione di euro. Inoltre il bene da anni risulta amministrato dai familiari di un esponente della criminalità organizzata ucciso in un agguato camorristico nel novembre 2006. La relazione si conclude con un fatto già segnalato da Napolitoday. Un appartamento confiscato risulta essere occupato da un soggetto con legami con i clan locali a dimostrazione della generale assenza amministrativa rispetto alla gestione dei 13 beni confiscati nelle mani del comune. Tutto questo scenario rappresenta la base, secondo i magistrati, per interdire l'attività politica alla quasi totalità dei membri che hanno avuto un ruolo nell'amministrazione della città. Come sempre sarà l'attività giudiziaria a segnare i prossimi passi di una vicenda che rischia di pregiudicare il futuro della città.